Paolo Borsellino: " Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo". Quella situazione, molto spesso, è stata addirittura superata: come ci racconta Roberto Galullo nel suo articolo, nel patto mafie-politica ora sono le mafie a scegliere su chi puntare, dalla culla (comunali) alla tomba (politiche). E' davvero il caso dire : la 'ndrangheta è viva!..e marcia e "vota" insieme a noi". Noi, anche in Piemonte, dobbiamo eliminare "quella politica di merda"
La catena politica dalla culla (comunali) alla tomba (politiche), secondo “san” Giuseppe Pelle da San Luca.
Pochi giorni fa – il 29 aprile per l’esattezza – la Calabria si è
svogliatamente risvegliata al suono dell’ennesima operazione
anti-‘ndrangheta (denominata “Reale 6”).
L’operazione, delegata ai Carabinieri del Ros e al Gico della Guardia di finanza dai pm della Dda di Reggio Calabria Antonio Gratteri, Antonio De Bernardo e Giovanni Musarò, che l’hanno coordinata, ha strapazzato, ancora una volta, mister preferenze Santi Zappalà,
candidato (eletto) per il Popolo della libertà alle regionali del 2010.
Costui, secondo l’accusa, avrebbe fatto il giro delle sette parrocchie
mafiose pur di raccattare gli indegni e miserevoli voti controllati
dalla ‘ndrangheta.
Rimando al link a fondo pagina per il servizio di ieri.
Oggi cavalchiamo ancora l’onda del patto tra ‘ndrangheta e politica
(questo connubio è indissolubile in quel sistema criminale che infesta
l’Italia e che va molto oltre, come ho scritto mille volte, la singola
mafia come siamo abituati a conoscerla).
Per farlo partiamo da quanto i pm dicono e il Gip Cinzia Barillà, che il 17 aprile 2015 ha firmato l’ordinanza, sottoscrive a pagina 138 del provvedimento: «L’analisi
delle emergenze in atti consente di affermare, inoltre, che in
occasione delle elezioni é assai diffusa la pratica di rivolgersi alla
‘ndrangheta erogando somme di denaro in cambio della promessa di voti e
che, da questo punto di vista, Santi Zappalà era notoriamente un candidato disposto a pagare profumatamente il “pacchetto voti” a disposizione dell’organizzazione mafiosa…».
Non è un “così fan tutti” (il Gip e così i pm non lo scrivono e non
so se lo pensano) ma poco ci manca…
Comunque sottoscrivono che rivolgersi
ai padrini delle cosche è «una pratica diffusa». Se l’italiano ha un senso vuol dire che Zappalà
(se sarà giudicato definitivamente colpevole) non è un’eccezione. E’
chiaro questo? Nessuno può spingersi (tantomeno sulla base delle
evidenze giudiziarie) a scrivere che è la regola ma per un giudice e tre
pm della Repubblica italiana fare il giro tra i quaquaraqua delle cosche non è un eccezione.
Andiamo avanti perché nelle pagine di questa interessantissima ordinanza c’è un risvolto importantissimo.
Ho sempre pensato – ancora una volta controcorrente – che non è
affatto vero che la cancellazione del voto di preferenza indebolisce le
mafie nel momento del voto alle elezioni politiche. Che il voto di
preferenza gli agevoli il compito è indubbio ma che la cancellazione
della preferenza li faccia disperare beh, proprio no.
Ho sempre pensato, infatti, che le mafie allevino come polli da
batteria i politici o, viceversa, puntino su alcuni di loro, tra i tanti
che bussano alle loro porte. Questi si chiamano “investimenti”. Se
questo è vero (ed è vero, credetemi) le mafie sono pronte a seguire i
propri “cavalli in erba” dalla culla alla tomba. In altre parole: dalle
comunali su per li rami alle elezioni provinciali, regionali e infine
politiche, con un ricambio necessario e vitale non solo per le cosche
(che avrebbero in questo modo sempre più leve riconoscenti da manovrare
in ogni Palazzo che conta) ma per le stesse aspirazioni di chi si vende o
si fa comprare.
Liberi di non credermi (tanto non cambio idea) ma vi chiedo di
soffermarvi su alcuni interessantissimi dialoghi captati il 14 marzo
2010 a casa di Giuseppe Pelle, nel corso dei quali “gambazza” figliolo classe ‘60, introduce la necessità che la ‘ndrangheta si
proponga di agire in maniera unitaria in occasione delle consultazioni
elettorali future, sostenendo un ristretto numero di candidati, al
dichiarato fine di non disperdere voti.
“Gambazza” introduce il discorso così: «ogni paese chi ne ha due, chi ne ha tre, chi ne ha quattro .. o per
me è una cosa che non la condivido, sapete perché? Perché poi ognuno ha
le sue, voi avete le vostre, quello ha le sue, l’altro ha le sue e
questi voti compare si disperdono tutti…Perché se voi portate, voi
dovete stabilire, che portiamo due, tre persone l’anno prossimo nella
Provincia, che si può o…due, tre e c’è la possibilità, c’è una
possibilità che si va, ma se qua c’è tutta sta…».
Tutti i presenti, si legge a pagina 161 dell’ordinanza, si dichiarano d’accordo con Giuseppe Pelle (avrei voluto vedere il contrario…). Uno di loro, in particolare, evidenziò che spettava alla ‘ndrangheta e
non ai partiti, scegliere le candidature (giusto, cazzu-cazzu!), in
quanto un candidato che avesse potuto contare sui voti dell’intera
organizzazione (o, quantomeno, di un mandamento sui tre) sarebbe
stato certamente eletto alla Provincia; per cui i voti dei singoli
locali di ‘ndrangheta (vale a dire cellule strutturate con almeno 50
affiliati) avrebbero dovuto essere gestiti indipendentemente dai partiti
e convogliati in modo unitario su determinati candidati («però
è una cosa che dobbiamo gestire noi in tutto il nostro locale, nel
paese nostro dobbiamo gestircela noi, no che la gestiscono loro … Perché
a noi ci tirano… un paese piccolo come Natile. Noi con i voti se si porta uno, d’accordo, noi con i voti nostri lo mandiamo alla Provincia»). Il problema era dovuto proprio alla mancanza di una strategia unitaria che indirizzasse i voti su un solo candidato («Quando ci sono le provinciali, non è che dicono: “d’accordo, mandiamone uno”»).
L’argomento sarà affrontato nuovamente il 27 marzo 2010 da Giuseppe Pelle con
altri interlocutori. In quella circostanza il “boss” (?!) (come si
legge nell’ordinanza, che lo definisce anche capo indiscusso ma vedrete
nel servizio di domani che la parola diventerà questione di finissima
interpretazione non ancora conclusa) di San Luca si espresse in termini
ancora più espliciti con riferimento alla strategia unitaria che la
‘ndrangheta avrebbe dovuto adottare in occasione delle future
elezioni politiche, criticando quello che fino a quel momento era stato
fatto: affermava, in particolare, che per il consiglio regionale
l’organizzazione avrebbe dovuto appoggiare candidati ben precisi, scelti
fra soggetti appartenenti ai diversi mandamenti in cui l’organizzazione
è strutturata («la politica nostra è sbagliata…omissis…se noi
eravamo una cosa più compatta compà, noi dovevamo fare una cosa, quanti
possono andare? Da qua…diciamo qua dalla jonica, quando raccogliete
tutti i voti che avete, vanno tre persone per volta, altre tre vanno
alla piana e sono sei, e vanno già sei per il consiglio regionale»).
Poi Pelle aggiunse che i candidati scelti dalla ‘ndrangheta ed
eletti con i voti dell’organizzazione, se avessero dimostrato di
meritarne la fiducia, sarebbero stati successivamente appoggiati per le
elezioni politiche : «La prossima volta quei sei che dovevano
andare…che escono dalle regionali, se si portavano bene andavano a
Roma…andavano a Roma e andavano altri sei al posto di quelli, in questa
maniera si può andare avanti, potevamo ottenere una cosa, uno…c’era chi
ci guardava le spalle, poco dopo aveva … ». Altro che listone
bloccato e listini: ci pensano loro, cazzu cazzu, a dare le consegne a
chi deve redigere le liste elettorali!
E c’è chi è entusiasta della riflessione di Pelle (sfido io il contrario…). Così uno dei presenti evidenziò che per i politici l’appoggio della ‘ndrangheta era assolutamente fondamentale: «Compare,
sapete quale è il fatto? Che noi siamo due di quelli che hanno bisogno,
di noi, perché noi siamo una “valvola di scarico”, loro hanno bisogno
di noi».
Già gli uni hanno bisogno degli altri ma noi, persone oneste e
perbene, non abbiamo bisogno né della ‘ndrangheta e dei suo quaquaraqua
né di quella politica di merda.
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