Se venisse riscontrato il contenuto del documento frutto del lavoro del pool coordinato da Antonio Ingroia, la memoria inviata dalla Procura di Palermo al gip Piergiorgio Morosini, si confermerebbe, ancora una volta, l'intreccio -perverso e drammatico- di interessi fra mafie e "pezzi" delle istituzioni e della società di questo Paese.
In determinati e cruciali momenti storici del nostro Paese, l'intreccio mafie-(mala)politica-affari entra in gioco per determinare, indirizzare, "suggerire e agevolare" cambiamenti e situazioni: dalla strage di Portella della Ginestre alle stragi degli anni '90.
fonte: La Repubblica
I Pm di Palermo: "La trattativa Stato-Cosa nostra finì con le garanzie
di Berlusconi"
La memoria della Procura di Palermo al Gip chiamato a
decidere su 12 rinvii a giudizio. Richiesto il processo per politici come
Mancino e mafiosi come Riina. I pm: Scalfaro cedette sul carcere duro
PALERMO - In gioco non c'era solo la revoca del carcere duro: nella drammatica
stagione delle bombe del '92-'93 i capi di Cosa nostra puntavano a un
"nuovo patto di convivenza Stato-mafia per traghettare dalla prima alla
seconda Repubblica", cercavano soprattutto "Nuovi referenti
politici".
E nel '94 li avrebbero trovati,
ne è convinto il pool coordinato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia: "Il
lungo iter di una travagliata trattativa trovò finalmente il suo approdo nelle
garanzie assicurate dal duo Dell'Utri-Berlusconi, come emerge dalle convergenti
dichiarazioni dei collaboratori Spatuzza, Brusca e Giuffrè".
Così viene riassunto nella
memoria inviata dalla Procura di Palermo al gip Piergiorgio Morosini, che nelle
prossime settimane dovrà decidere sul rinvio a giudizio di dodici imputati, fra
boss e uomini delle istituzioni. In 27 pagine c'è la storia di un'inchiesta
durata quattro anni, che oggi chiama in causa anche l'allora presidente della
Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, un ex capo della polizia e un ex vice
direttore del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, tutti non più in
vita. Così scrivono i pm Di Matteo, Sava, Del Bene e Tartaglia: "Vincenzo
Parisi e Francesco Di Maggio, agendo entrambi in stretto rapporto con il
presidente Scalfaro, contribuirono al deprecabile cedimento sul tema del
carcere duro".
"Un'amnesia durata vent'anni"
La Procura denuncia "i tanti, troppi
depistaggi istituzionale" che hanno ostacolato la ricerca della verità
sulla "scellerata trattativa". E accusa: "Non si è del tutto
rimossa quella forma di grave amnesia collettiva della maggior parte dei
responsabili politico-istituzionali dell'epoca, un'amnesia durata vent'anni".
Qualche "testimone eccellente", alla fine, è arrivato: "Ma solo
dopo le dichiarazioni di Massimo Ciancimino", ricordano i pm. Così,
nell'inchiesta sulla trattativa il figlio dell'ex sindaco di Palermo si
guadagna il positivo giudizio di "testimone privilegiato dei fatti",
nonostante sia imputato di calunnia, e per questo definito anche "fonte di
prova dalla controversa attendibilità intrinseca".
"Un nuovo patto"
Sullo sfondo dell'inchiesta, i pm
tratteggiano un quadro storico ben preciso: la crisi economica, il crollo del
muro di Berlino, Tangentopoli. "È in questo contesto - scrivono - che va
inserita la strategia di alleanze che Cosa nostra organizzò in quella nebulosa
fase di transizione e concepì il piano destabilizzante del quadro politico
nazionale, iniziato con l'omicidio di Salvo Lima". I magistrati spiegano:
"Quel piano sfociò nella logica della trattativa per costruire un nuovo
patto di convivenza fra Stato e mafia".
"Uomini politici cerniera"
Eccoli, gli uomini della
trattativa oggi imputati. I pm chiamano l'ex ministro Calogero Mannino e il senatore Marcello
Dell'Utri "gli uomini politici-cerniera, le cinghie di trasmissione
delle minacce mafiose".
L'ultima minaccia di nuove bombe sarebbe stata
rivolta all'allora presidente del Consiglio Berlusconi appena insediato, nel
'94: "Tramite Vittorio Mangano
e Dell'Utri", spiega la memoria: "Fu l'ultimo messaggio intimidatorio
prima della stipula definitiva del patto politico-mafioso". Parole che
sembrano riaprire il capitolo giudiziario della nascita di Forza Italia.
Degli ex ministri Nicola Mancino e Giovanni Conso i pm
dicono invece: "Si è acquisita la prova di una grave e consapevole
reticenza".
Chi si è opposto
Ma questa non è solo la storia di
uomini dello Stato sul banco degli imputati. Nel suo ultimo giorno da pm a
Palermo, prima di partire per il Guatemala, Ingoria scrive: "Chi condusse
la trattativa fece un'attenta valutazione. Il ministro dell'Interno in carica Vincenzo Scotti era ritenuto un
potenziale ostacolo, mentre Mancino veniva ritenuto più utile in quanto
considerato più facilmente influenzabile".
Anche l'ex guardasigilli Claudio Martelli "viene percepito
come un ostacolo alla trattativa, e finisce per essere politicamente
eliminato". Così, dopo la morte di Giovanni Falcone, "irrompe sulla
scena una male intesa (e perciò mai dichiarata) ragion di Stato", è questa
la conclusione dei pm di Palermo: "E venne fornita apparente
legittimazione alla trattativa".
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