Processo Minotauro: la 'ndrangheta "alla piemontese"
Nell’aula Bunker delle Vallette
ha esordito l’aspetto più pericoloso dell’infiltrazione mafiosa nel territorio:
il rapporto tra politica e ‘ndrangheta.
Si parla dell'ex sindaco di
Leinì, Nevio Coral, colui che gli inquirenti considerano il "biglietto da
visita presentabile"della 'ndrangheta in Piemonte, il colletto bianco,
l'insospettabile.
A seguire, l'analisi del
procuratore di Torino Gian Carlo Caselli: " La criminalità è come un
liquido: si insinua ovunque". Dall'omicidio di Bruno Caccia ( 1983) ad oggi
fonte: Libera piemonte
Processo Minotauro: Il Profilo Di Nevio Coral, Re Di Leinì
Grazie alla ricostruzione del Capitano dei Carabinieri Vincenzo Bertèè stato tratteggiato il profilo di Nevio Coral, a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa, per anni sindaco del Comune di Leinì, paese sciolto per infiltrazione mafiosa.
L’investigatore torna alla cena all’Hotel Verdina, a quelle promesse di lavori fatte da Coral in cambio di voti per il figlio Ivano, candidato alle provinciali del 2009.
Quelli che Coral chiami imprenditori quella sera hanno – già all’epoca – svariati precedenti penali, molti di loro saranno arrestati nell’operazione Minotauro e poi processati.
Dalla cena per favorire l’elezione del figlio al potere esercitato da Coral, meglio conosciuto come Re di Leinì. Secondo il capitano che ha partecipatto alle redazione della redazione che ha poi portato allo scioglimento del comune, Nevio Coral gestiva, di fatto, la macchina comunale, nonostante non fosse più sindaco, dopo la successione del figlio.Da consigliere comunale, infatti, aveva ottenuto due deleghe speciali, quanto anomale: quella allo scomputo sugli oneri di urbanizzazione e quella per la gestione dei rapporti con la Provana, municipalizzata incaricata in città di gestire la quasi totalità degli appalti. Nomine solo consultive, ha precisato Bertè che ha però aggiunto un dato: Nevio Coral si comportava come fosse il Sindaco di Leinì, cittadina raggiunta dal decreto di scioglimento per infiltrazione mafiosa.
fonte: La Stampa
“La criminalità è come un liquido si insinua silenziosamente ovunque”
Procuratore Caselli, cosa ha dimostrato l’inchiesta Minotauro?
«Che la penetrazione delle mafie al Nord è una realtà in atto da molto tempo: per quanto riguarda il Piemonte la prova tragica ma evidente la fornisce l’omicidio del procuratore Bruno Caccia, ucciso 30 anni fa. L’espansione della criminalità mafiosa è con assoluta certezza un pericolo gravissimo, da molti punti di vista. Spesso questo pericolo non viene percepito, a causa della straordinaria capacità della ’ndrangheta di mimetizzarsi. Per capire meglio bisogna pensare all’immagine di una “mafia liquida” capace di insinuarsi ovunque come l’acqua».
A proposito di Bruno Caccia che differenza c’è tra la Torino di allora e quella di oggi?
«Allora si arrivava all’omicidio, oggi la violenza è l’extrema ratio: la ’ndrangheta preferisce restare sott’acqua, per cercare di controllare parti consistenti del territorio. Non per questo bisogna sottovalutarla, perché c’è una continuità tra passato e presente. E i figli di Bruno Caccia lo hanno ricordato di recente, scrivendo una lettera che lega il clima di trent’anni fa con i fatti svelati da Minotauro».
Qual è il bilancio dell’inchiesta?
«Innanzi tutto i 150 provvedimenti cautelari: metà hanno scelto riti alternativi, gli altri sono a giudizio dibattimentale. In sede di rito abbreviato ci sono state condanne dai 5 ai 14 anni. Le pene più elevate riguardano non solo il reato associativo ma anche la commissione di reati scopo, come l’estorsione. Questo risultato ha fornito la prova che l’organizzazione c’è ed è pericolosa, benché spesso silente».
Siamo di nuovo in tempo di elezioni. Minotauro ha svelato intrecci inopportuni tra candidati è criminalità.
Serve una politica più etica?
«Occorre consapevolezza. Forse prima è mancata per superficialità o per distacco aristocratico che ha portato a pensare che certe cose al Nord non capitano. Oggi ci sono segnali nuovi: ad esempio la commissione d’inchiesta al Comune di Torino e le numerose costituzioni di parte civile al processo».
Di recente ha osservato che a Torino si parla poco di ’ndrangheta. È davvero così?
«Alle inchieste della procura di Milano, e non parlo per invidia, si è dato ampio rilievo. Mi riferisco a quando alcuni testimoni hanno ritrattato o ridimensionato le loro testimonianze: prova evidente di intimidazioni ancora attuali, che là ha suscitato clamore e qui da noi non ha avuto grande rilievo. Questo per dire che senza l’antimafia della cultura, favorita dal contributo prezioso dell’informazione, i magistrati da soli non possono combattere la criminalità organizzata».
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