Queste le parole del manifesto che ogni anno viene affisso sul muro nei pressi dell'abitazione dell'imprenditore Libero Grassi, ucciso a Palermo dai killer di Cosa Nostra ventidue fa, per essersi ribellato alla "legge" mafiosa del racket.
Riportiamo Il testo della lettera che Libero Grassi pubblicò sul Giornale di Sicilia in data 10 gennaio 1991
“Caro estortore,
volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui.“ Libero Grassi
Questo l'articolo pubblicato dall'Unita in data 28 agosto 2011 e nel quale si raccontava l'intervista di Miche Santoro a Libero Grassi, nella trasmissione Samarcanda:
«Caro estortore...non ti pago»: la lettera che diede inizio alla battaglia
Il 10 gennaio 1991 Libero Grassi scrisse una lettera al “Giornale di Sicilia”: «Caro estorsore...non ti pago». Dopo 8 mesi, il 29 agosto 1991, Cosa nostra lo ucciderà con cinque colpi di pistola calibro 38. La lettera è una pubblica rottura dell'omertà: l’imprenditore, il cittadino, sottoposto alle minacce degli estorsori, non solo rifiuta di pagare, ma accusa commercianti ed imprenditori siciliani di soggiacere passivamente alla coercizione mafiosa: il pizzo accettato come una tassa dovuta ad un sistema di potere parallelo, in cui sguazzano politici, imprenditori e mafiosi. La cui efficacia impositiva si misura in termini di silenziosa rassegnazione.
intervista di Libero Grassi ."Samarcanda". 11 aprile 1991
La presa di posizione lo espone ad uno sconcertante isolamento: il presidente palermitano di Assindustria, Salvatore Cozzo, legato a Salvo Lima, minimizza la denuncia: una tammurriata per farsi un po’ di pubblicità. Michele Santoro lo invita a raccontare la sua storia a Samarcanda. È l’11 aprile 1991. Libero è di fronte alle telecamere. Lo sguardo è attento dietro gli occhiali da lettura. Alla domanda del conduttore: Lei si è trovato faccia a faccia con queste richieste di tangenti? Risponde: «Mi sono trovato più volte… ho subito due estorsioni, una rapina e altre intimidazioni».
Poi Libero Grassi sposta il discorso su un tema scottante rivolgendosi al giudice Di Maggio presente in studio: «Il giudice di Maggio ha detto il primato della legge, il primato della politica, il primato della morale. Ma c’è un primato superiore quello della qualità del consenso… la formazione del consenso che poi è l’arma della mafia. La prima cosa che controlla la mafia… è il voto… ad una cattiva raccolta di voti corrisponde una cattiva democrazia… la legge la fanno i politici… se i politici hanno un cattivo consenso faranno delle cattive leggi e allora noi dobbiamo curare la qualità del consenso. La mafia in Sicilia è il maggior interlocutore del problema politico in quanto dispone del voto, dei soldi e degli inserimenti nell’amministrazione, perché oramai è diventata ceto dominante».
Santoro lo interrompe e lo stuzzica: "Perché non vuol pagare, lei è pazzo?"
Libero non ha sussulti, non si scompone, è quasi immobile: «Non sono pazzo, non mi piace pagare perché è una rinunzia alla mia dignità di imprenditore (significherebbe che) io divido le mie scelte con il mafioso». Si ferma per un istante prende un foglio dalla cartellina e legge una dichiarazione del giudice Luigi Russo in merito alle estorsioni: «Si può anche non pagare, ma chi non paga deve sapere bene cosa gli succede prima o poi… se tutti facessero così (non pagando) dalla Sicilia sparirebbero le imprese e migliaia di piccole aziende andrebbero in fiamme».
Ora Libero si agita sulla poltrona e sgrana gli occhi guardando fisso il giornalista: «Dico al dott. Luigi Russo che lui dice se tutti si comportassero come me si distruggono le industrie, se tutti si comportano come me si distruggono gli estorsori non le industrie». Con un gesto d’impeto toglie gli occhiali e tira un sospiro ad occhi chiusi.
Marcello Ravvedut
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