Il 10 agosto 1982 Giorgio Bocca, allora giornalista de La Repubblica, intervista il gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa, nominato Prefetto di Palermo.
Nell'intervista, il generale Dalla Chiesa mostra a quale profondità fosse giunta la sua analisi del fenomeno mafioso. Nelle risposte del generale sono presenti tutti i temi, tutti i filoni, su cui si doveva indirizzare l'azione dello Stato, se davvero si voleva combattere la mafia: dall'inutilità del "soggiorno obbligato", all'espansione delle mafie al Nord; dall'accumulazione primitiva del capitale mafioso all'attività di riciclaggio per mezzo di attività e soggetti "insospettabili". Infine, l'affermazione che più di altre sottolinea l'inefficienza e le mancate risposte ai cittadini da parte delle istituzioni: "(...)Credo di aver capito la nuova regola del gioco: si uccide il potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso ma si può uccidere perché è isolato."(...)Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla Mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati".
Nell'intervista, il generale Dalla Chiesa mostra a quale profondità fosse giunta la sua analisi del fenomeno mafioso. Nelle risposte del generale sono presenti tutti i temi, tutti i filoni, su cui si doveva indirizzare l'azione dello Stato, se davvero si voleva combattere la mafia: dall'inutilità del "soggiorno obbligato", all'espansione delle mafie al Nord; dall'accumulazione primitiva del capitale mafioso all'attività di riciclaggio per mezzo di attività e soggetti "insospettabili". Infine, l'affermazione che più di altre sottolinea l'inefficienza e le mancate risposte ai cittadini da parte delle istituzioni: "(...)Credo di aver capito la nuova regola del gioco: si uccide il potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso ma si può uccidere perché è isolato."(...)Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla Mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati".
PALERMO, 10 agosto 1982.
La Mafia non fa vacanza,
macina ogni giorno i suoi delitti; tre morti ammazzati giovedì 5 fra Bagheria,
Casteldaccia e Altavilla Milicia, altri tre venerdì, un morto e un sequestrato
sabato, ancora un omicidio domenica notte, sempre lì, alle porte di Palermo,
mondo arcaico e feroce che ignora la Sicilia degli svaghi, del turismo
internazionale, del "wind surf" nel mare azzurro di Mondello. Ma è
soprattutto il modo che offende, il "segno" che esso dà al generale
Carlo Alberto dalla Chiesa e allo Stato: i killer girano su potenti
motociclette, sparano nel centro degli abitati, uccidono come gli pare, a
distanza di dieci minuti da un delitto all'altro.
Dalla Chiesa è nero: “Da oggi la
zona sarà presidiata, manu militari. Non spero certo di catturare gli assassini
ad un posto di blocco, ma la presenza dello Stato deve essere visibile,
l'arroganza mafiosa deve cessare”.
Questo Dalla Chiesa in doppio petto blu prefettizio vive con un certo disagio
la sua trasformazione: dai bunker catafratti di Via Moscova, in Milano,
guardati da carabinieri in armi, a questa villa Wittaker, un po’ lasciata
andare, un po’ leziosa, fra alberi profumati, poliziotti assonnati, un vecchio
segretario che arriva con le tazzine del caffè e sorride come a dire: ne ho
visti io di prefetti che dovevano sconfiggere la Mafia.
- Generale, vorrei farle una domanda
pesante. Lei è qui per amore o per forza? Questa quasi impossibile scommessa
contro la Mafia è sua o di qualcuno altro che vorrebbe bruciarla? Lei cosa è
veramente, un proconsole o un prefetto nei guai ?
Beh, sono di certo nella storia italiana il primo generale dei carabinieri che ha detto chiaro e netto al governo: una prefettura come prefettura, anche se di prima classe, non mi interessa. Mi interessa la lotta contro la Mafia, mi possono interessare i mezzi e i poteri per vincerla nell'interesse dello Stato
- Credevo che il governo si fosse impegnato, se ricordo bene il Consiglio dei Ministri del 2 aprile scorso ha deciso che lei deve ”coordinare sia sul piano nazionale che su quello locale” la lotta alla Mafia.
Beh, sono di certo nella storia italiana il primo generale dei carabinieri che ha detto chiaro e netto al governo: una prefettura come prefettura, anche se di prima classe, non mi interessa. Mi interessa la lotta contro la Mafia, mi possono interessare i mezzi e i poteri per vincerla nell'interesse dello Stato
- Credevo che il governo si fosse impegnato, se ricordo bene il Consiglio dei Ministri del 2 aprile scorso ha deciso che lei deve ”coordinare sia sul piano nazionale che su quello locale” la lotta alla Mafia.
Non mi risulta che questi impegni siano stati ancora codificati.
- Vediamo un po’ generale, lei forse vuol
dirmi che stando alla legge il potere di un prefetto è identico a quello di un
altro prefetto ed è la stessa cosa di quello di un questore. Ma è implicito che
lei sia il sovrintendente, il coordinatore.
Preferirei l'esplicito
- Se non ottiene l'investitura formale che
farà? Rinuncerà alla missione?
Vedremo a settembre. Sono venuto qui per dirigere la lotta alla Mafia, non per
discutere di competenze e di precedenze. Ma non mi faccia dire di più.
- No, parliamone, queste faccende
all'italiana vanno chiarite. Lei cosa chiede? Una sorta di dittatura antimafia?
I poteri speciali del prefetto Mori?
Non chiedo leggi speciali, chiedo chiarezza. Mio padre al tempo di Mori
comandava i carabinieri di Agrigento. Mori poteva servirsi di lui ad Agrigento
e di altri a Trapani a Enna o anche Messina, dove occorresse. Chiunque pensasse
di combattere la Mafia nel "pascolo" palermitano e non nel resto
d'Italia non farebbe che perdere tempo.
Lei cosa chiede? L'autonomia e
l'ubiquità di cui ha potuto disporre nella lotta al terrorismo?
Ho idee chiare, ma capirà che non è il caso di parlarne in pubblico. Le dico
solo che le ho già, e da tempo, convenientemente illustrate nella sede
competente. Spero che si concretizzino al più presto. Altrimenti non si potranno
attendere sviluppi positivi.
Ritorna con la Mafia il modulo
antiterrorista? Nuclei fidati, coordinati in tutte le città calde?
Il generale fa un gesto con la mano, come a dire, non insista, disciplina
giovinetto: questo singolare personaggio scaltro e ingenuo, maestro di
diplomazie italiane ma con squarci di candori risorgimentali. Difficile da
capire.
- Generale, noi ci siamo conosciuti qui
negli anni di Corleone e di Liggio, lei è stato qui fra il '66 e il '73 in funzione antimafia, il
giovane ufficiale nordista de Il giorno della civetta. Che cosa ha capito
allora della Mafia e che cosa capisce oggi, 1982?
Allora ho capito una cosa, soprattutto: che l'istituto del soggiorno
obbligatorio era un boomerang, qualcosa superato dalla rivoluzione tecnologica,
dalle informazioni, dai trasporti. Ricordo che i miei corleonesi, i Liggio, i
Collura, i Criscione si sono tutti ritrovati stranamente a Venaria Reale, alle
porte di Torino, a brevissima distanza da Liggio con il quale erano stati da me
denunziati a Corleone per più omicidi nel 1949. Chiedevo notizie sul loro conto
e mi veniva risposto: " Brave persone". Non disturbano. Firmano
regolarmente. Nessuno si era accorto che in giornata magari erano venuti qui a
Palermo o che tenevano ufficio a Milano o, chi sa, erano stati a Londra o a
Parigi.
-E oggi?
Oggi mi colpisce il policentrismo della Mafia, anche in Sicilia, e questa è
davvero una svolta storica. È finita la Mafia geograficamente definita della
Sicilia occidentale. Oggi la Mafia è forte anche a Catania, anzi da Catania viene alla conquista di Palermo. Con
il consenso della Mafia palermitana, le quattro maggiori imprese edili catanesi
oggi lavorano a Palermo. Lei crede che potrebbero farlo se dietro non ci fosse
una nuova mappa del potere mafioso?
- Scusi la curiosità, generale. Ma quel Ferlito mafioso, ucciso nell'agguato
sull'autostrada, si quando ammazzarono anche i carabinieri di scorta, non era
il cugino dell'assessore ai lavori pubblici di Catania ?
Sì
- E come andiamo generale, con i piani regolatori delle grandi città? È vero che
sono sempre nel cassetto dell'assessore al territorio e all'ambiente?
Così mi viene denunziato dai sindaci costretti da anni a tollerare
l'abusivismo.
IL CASO MATTARELLA
- Senta Generale, lei ed io abbiamo la
stessa età e abbiamo visto, sia pure da ottiche diverse, le stesse vicende
italiane, alcune prevedibili, altre assolutamente no. Per esempio che il figlio
di Bernardo Mattarella venisse ucciso dalla Mafia. Mattarella junior è stato
riempito di piombo mafioso. Cosa è successo, generale?
- È accaduto questo: che il figlio, certamente consapevole di qualche ombra
avanzata nei confronti del padre, tutto ha fatto perché la sua attività
politica e l'impegno del suo lavoro come pubblico amministratore fossero esenti
da qualsiasi riserva. E quando lui ha dato chiara dimostrazione di questo suo
intento, ha trovato il piombo della Mafia. Ho fatto ricerche su questo fatto
nuovo: la Mafia che uccide i potenti, che alza il mirino ai signori del
"palazzo". Credo di aver capito la nuova regola del gioco: si uccide
il potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo
pericoloso ma si può uccidere perché è isolato.
- Mi spieghi meglio.
Il caso di Mattarella è ancora oscuro, si procede per ipotesi. Forse aveva
intuito che qualche potere locale tendeva a prevaricare la linearità
dell'amministrazione. Anche nella DC aveva più di un nemico. Ma l'esempio più
chiaro è quello del procuratore Costa, che potrebbe essere la copia conforme
del caso Coco.
- Lei dice che fra filosofia mafiosa e
filosofia brigatista esistono affinità elettive?
Direi di sì. Costa diventa troppo pericoloso quando decide, contro la
maggioranza della procura, di rinviare a giudizio gli Inzerillo e gli Spatola.
Ma è isolato, dunque può essere ucciso, cancellato come un corpo estraneo. Così
è stato per Coco: magistratura, opinione pubblica e anche voi garantisti
eravate favorevoli al cambio fra Sossi e quelli della XXII ottobre. Coco disse
no. E fu ammazzato.
- Generale, mi sbaglio o lei ha una idea
piuttosto estesa dei mandanti morali e dei complici indiretti? No, non si
arrabbi, mi dica piuttosto perché fu ucciso il comunista Pio La Torre.
Per tutta la sua vita. Ma, decisiva, per la sua ultima proposta di legge, di
mettere accanto alla "associazione a delinquere" la associazione
mafiosa.
- Non sono la stessa cosa? Come si può perseguire una associazione mafiosa se non si hanno le prove che sia anche a delinquere?
- Non sono la stessa cosa? Come si può perseguire una associazione mafiosa se non si hanno le prove che sia anche a delinquere?
E' materia da definire. Magistrati, sociologi, poliziotti, giuristi sanno
benissimo che cosa è l'associazione mafiosa. La definiscono per il codice e
sottraggono i giudizi alle opinioni personali.
- Come si vede lei generale Dalla Chiesa di fronte al padrino del Giorno della civetta?
Stiamo studiandoci, muovendo le prime pedine. La Mafia è cauta, lenta, ti misura, ti ascolta, ti verifica alla lontana. Un altro non se ne accorgerebbe, ma io questo mondo lo conosco.
- Mi faccia un esempio.- Come si vede lei generale Dalla Chiesa di fronte al padrino del Giorno della civetta?
Stiamo studiandoci, muovendo le prime pedine. La Mafia è cauta, lenta, ti misura, ti ascolta, ti verifica alla lontana. Un altro non se ne accorgerebbe, ma io questo mondo lo conosco.
Certi inviti. Un amico con cui hai avuto un rapporto di affari, di ufficio, ti
dice, come per combinazione: perché non andiamo a prendere il caffè dai tali.
Il nome è illustre. Se io non so che in quella casa l'eroina corre a fiumi ci
vado e servo da copertura. Ma se io ci vado sapendo, è il segno che potrei
avallare con la sola presenza quanto accade.
- Che mondo complicato. Forse era meglio
l'antiterrorismo.
In un certo senso si, allora avevo dietro di me l'opinione pubblica,
l'attenzione dell'Italia che conta. I gambizzati erano tanti e quasi tutti
negli uffici alti, giornalisti, magistrati, uomini politici. Con la Mafia è
diverso, salvo rare eccezioni la Mafia uccide i malavitosi, l'Italia per
bene può disinteressarsene. E sbaglia.
- Perché sbaglia, generale?
- Perché sbaglia, generale?
La Mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi
investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. Vede, a me interessa
conoscere questa "accumulazione primitiva" del capitale mafioso,
questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che
architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o
alberghi e ristoranti a la page.
Ma mi interessa ancora di più la rete mafiosa
di controllo, che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci
magari passati a mani insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura
i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere.
- E deposita nelle banche coperte dal segreto bancario, no, generale ?
- E deposita nelle banche coperte dal segreto bancario, no, generale ?
Il segreto bancario. La questione
vera non è lì. Se ne parla da due anni e ormai i mafiosi hanno preso le loro
precauzioni. E poi che segreto di Pulcinella è? Le banche sanno benissimo da
anni chi sono i loro clienti mafiosi. La lotta alla Mafia non si fa nelle
banche o a Bagheria o volta per volta, ma in modo globale.
- Generale dalla Chiesa, da dove nascono le sue grandissime ambizioni ? Mi guarda incuriosito.
- Generale, sinceramente, ma a lei i
garantisti piacciono ?
Voglio dire, generale: questa lotta alla Mafia l'hanno persa tutti, da secoli, i Borboni come i Savoia, la dittatura fascista come le democrazie pre e post fasciste , Garibaldi e Petrosino, il prefetto Mori e il bandito Giuliani, l'ala socialista dell'Evis indipendente e la sinistra sindacale dei Rizzuto e dei Cannavale, la Commissione parlamentare di inchiesta e Danilo Dolci. Ma lei Carlo Alberto dalla Chiesa si mette il doppio petto blu prefettizio e ci vuole riprovare.
Ma sì, e con un certo ottimismo sempre che venga al più presto definito il carattere
della specifica investitura con la quale mi hanno fatto partire. Io, badi, non
dico di vincere, di debellare, ma di contenere. Mi fido della mia
professionalità, sono convinto che con un abile, paziente lavoro psicologico si
può sottrarre alla Mafia il suo potere. Ho capito una cosa, molto semplice ma
forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi
certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti.
Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla Mafia, facciamo dei suoi
dipendenti i nostri alleati.
Si va a pranzo in un ristorante della Marina con la signora dalla Chiesa, oggetto misterioso della Palermo del potere. Milanese, giovane, bella. Mah! In apparenza non ci sono guardie, precauzioni. Il generale assicura che non c'erano neppure negli anni dell'antiterrorismo. Dice che è stata la fortuna a salvarlo le tre o quattro volte che cercarono di trasferirlo a un mondo migliore.
(gen. Dalla Chiesa)-Doveva uccidermi Piancone la sera che andai al convegno
dei Lyons. Ma ci andai in borghese e mi vide troppo tardi. Peci, quando lo
arrestai, aveva in tasca l'elenco completo di quelli che avevano firmato il
necrologio per la mia prima moglie. Di tutti sapevano indirizzo, abitudini,
orari. Nel caso mi fossi rifugiato da uno di loro, per precauzione. Ma io
precauzioni non ne prendo. Non le ho prese neppure nei giorni in cui su
"Rosso" appariva la mia faccia al centro del bersaglio da
tirassegno,con il punteggio dieci, il massimo Se non è istigazione ad
uccidere questa?.
Dagli altri tavoli ci osservano in tralice. Quando usciamo qualcuno accenna un inchino e mormora: “Eccellenza”.
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