19 luglio 1992 - Strage di Via D'Amelio: il
dovere di fare memoria sullo scandalo di una strage di Stato,
sull'infamia di "pezzi" di Stato collusi con mafie e "zona
grigia". Anche la Strage di Via D'amelio, come le altre
che hanno insanguinato la storia del nostro Paese, attende piena Verità e piena Giustizia.
Questo il debito che abbiamo nei confronti di coloro che persero la vita per essere, sino in fondo, fedeli servitori dello Stato e della comunità.
“È uno dei più gravi depistaggi della
storia giudiziaria italiana”. Così I giudici della corte d’assise
di Caltanissetta si sono espressi nelle motivazioni della sentenza del processo "Borsellino quater" depositate poco più di due settimane orsono (la sentenza era stata emessa
nell'aprile 2017). In quelle motivazioni si evidenzia l'esistenza
di misteri e depistaggi condotti da personalità appartenenti
allo Stato. I giudici imputano il depistaggio agli
investigatori dell’epoca e parlano espressamente di “disegno
criminoso”, dove il movente sarebbe proprio da cercare nel quadro
di una convergenza di interessi tra Cosa nostra e
altri centri di potere che percepivano come un pericolo l’opera del
magistrato: "un proposito criminoso degli investigatori,
che esercitarono in modo distorto i loro poteri". L'ex questore
La Barbera, deceduto nel dicembre 2002, è stato accusato anche della
sparizione del diario di Borsellino e la procura ha chiesto il rinvio
a giudizio per tre poliziotti. (leggi qui)
Vengono confermate le parole di Agnese Piraino
Leto, moglie di Paolo Borsellino: «Paolo mi disse: “Mi
ucciderà la mafia ma solo quando altri glielo
consentiranno”».
Dure le dichiarazioni rilasciate in queste ore anche da Fiammetta Borsellino, una delle figlie del giudice Paolo: "Ci
sono tante persone che devono dare spiegazioni e nessuna delle
persone interessate ce ne ha date. Il depistaggio iniziò subito,
dalle indagini affidate a un appartenente al Sisde a una procura
impreparata"
Dichiarazioni dure quelle di Fiammetta Borsellino tanto che Attilio Bolzoni, uno dei giornalisti più impegnati a comprendere le vicende delle mafie italiane, si chiede nell'articolo comparso oggi su La Repubblica: "Lo Stato cosa può restituire a uno di quegli italiani "fuori posto" in Italia come Paolo Borsellino? Cosa può dare o dire alla sua famiglia più di un quarto di secolo dopo e dopo tutti quei depistaggi, la clamorosa revisione di un processo, i "pupi" vestiti da pentiti, gli spioni travestiti da poliziotti, le indagini che rovistano nelle indagini? Lo Stato, come sempre, ha mostrato i suoi due volti anche davanti a uno dei suoi figli migliori(...)".
Agostino Catalano (43 anni) assistente-capo Polizia di Stato
Emanuela Loi ( 24 anni) agente della Polizia di Stato
Walter Eddie Cosina (31 anni) agente scelto Polizia di Stato
Traina Claudio (27 anni) agente scelto Polizia di Stato
Vincenzo Li Muli (22 anni) agente Polizia di Stato
PER AMORE
L'edizione straordinaria in cui si dava la notizia della strage di via D'Amelio.
L'edizione straordinaria in cui si dava la notizia della strage di via D'Amelio.
Fonte: ANTIMAFIADUEMILA
di Saverio Lodato: "(...) molti mandanti carnefici di allora, restano nell’ombra, incappucciati. Sono ancora fra noi."Guarderemo con molto interesse a questo ventiseiesimo anniversario della strage di via d’Amelio. Non possiamo, infatti, ricordare Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina e Agostino Catalano, sempre allo stesso modo. Con le stesse stucchevoli parole adoperate in quest’ultimo quarto di secolo. Con la medesima alluvione di retorica alla quale in troppi hanno fatto ricorso, pur di non cercare mai la verità a un palmo del loro naso.
Diciamolo una volta per tutte: ci siamo nutriti di favolette buone per tutte le stagioni antimafia. Che spiegavano tutto e niente. Che ci aiutavano a tirare a campare.Ci siamo nutriti della favoletta che uno come Paolo Borsellino, ucciso ad appena 57 giorni dall’uccisione di uno come Falcone, avesse pagato con la vita per esclusiva decisione di un gruppo di sanguinari pecorai, guidati da Totò Riina. Questa favoletta, non si offenda nessuno, ci è servita da ninna nanna che conciliava il sonno, quando qualche soprassalto di coscienza ci faceva dire che le cose invece erano andate assai diversamente.
Ora lo sappiamo ufficialmente. Ora lo dicono le carte delle corti d’assise: non per mano di soli pecorai, non per mano di solo Riina, morì il giudice Paolo Borsellino. È vero, verissimo, che tanto ancora resta da scoprire.
E vero, verissimo, che pochi tasselli, per quanto dirompenti, non disegnano ancora il puzzle complessivo; che un quarto di secolo rappresenta un’eternità, e si poteva arrivare alle conclusioni di oggi molto prima.
È altrettanto vero, altrettanto verissimo, che molti mandanti carnefici di allora, restano nell’ombra, incappucciati. Sono ancora fra noi.
Quei pochi tasselli, ormai acquisiti, ci fanno dire che Paolo Borsellino pagò per essersi messo di traverso mentre altri, rappresentanti del Potere statuale e dei Poteri Occulti, stavano trattando alla grande, in gran segreto, predisponendosi al tradimento, con i capi di Cosa Nostra.
Quei pochi tasselli oggi ci fanno dire che fu proprio questa “causale” ad imprimere l’accelerazione temporale della strage.
Paolo Borsellino doveva morire subito. Al più presto possibile. Perché troppo aveva capito. E dunque, troppo presto avrebbe tirato le fila di quell’indagine appuntata sinteticamente nella sua agenda rossa.
Quell’agenda rossa che non è mai stata trovata.
Che non fu fatta scomparire dai pecorai o da Totò Riina. Ma da azzimati uomini in divisa, molto probabilmente gli stessi, anche se non tutti, che si diedero da fare - per dirla con le parole dei giudici della corte d’assise di Caltanissetta, presieduta da Antonio Balsamo, giudice a latere, Janos Barlotti, - per il “più grande depistaggio giudiziario della storia d’Italia”.
Ci sarà spazio, in questo anniversario, per una lettura, di quanto accadde in via d’Amelio, che metta per sempre alla porta la retorica e le favolette?
Campeggerà, almeno ventisei anni dopo, quella parola “Stato”, tanto presente nella sentenza della corte d’assise di Palermo, presidente Alfredo Montalto, giudice a latere, Stefania Brambille, che si è recentemente conclusa con pesantissime condanne per gli imputati proprio del processo sulla trattativa Stato-Mafia?
Ce l’auguriamo.
E su tutti i familiari di Paolo Borsellino, mai come in questo anniversario, incombe il peso di dare sino in fondo il loro contributo affinché la favoletta finisca per sempre.
Tutti dovremmo almeno cominciare a dire, con nettezza, in pochissime e chiare parole, perché Paolo Borsellino andò a morire.
Anche Paolo Borsellino, Catalano Agostino, Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina, Traina Claudio, Vincenzo Li Muli , sono vivi!
Sono vivi nelle coscienze di coloro che accettano di assumersi la responsabilità di lottare per la Verità e la Giustizia in un paese corroso dal cancro delle mafie e del "pensiero mafioso". Sono vivi nelle coscienze di coloro che, ancora oggi, si sforzano di condurre una vita onesta e dignitosa, senza paura.
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