venerdì 25 giugno 2021

Paolo Borsellino, Palermo, 25 giugno 1992: "I giorni di Giuda"

Il 25 giugno 1992 Paolo Borsellino interviene ad un dibattito organizzato dalla rivista MicroMega presso l'atrio della Biblioteca Comunale di Palermo; sarà il suo ultimo intervento pubblico.

La giornata di giovedì 25 giugno 1992 era stata l'ennesima stazione del "calvario" patito da Paolo Borsellino: fu gli ufficiali Sinico e Baudo dei carabinieri di Palermo si recano con il collega maresciallo Lombardo al carcere di Fossombrone per interrogare Girolamo D‟Adda sulle circostanze inerenti la strage di Capaci ed i possibili sviluppi futuri. Sinico e Baudo non partecipano al colloquio, ma apprendono dal maresciallo Lombardo che “negli ambienti carcerari si dà il Dott. Borsellino per morto”. Non appena rientrato a Palermo il Cap. Sinico riferisce la notizia a Borsellino il quale afferma di essere a conoscenza del progetto di attentato ai suoi danni, ma fa capire che preferisce accentrare su di sé i pericoli per risparmiarli alla propria famiglia.*
Alla biblioteca comunale di Palermo si svolge nella serata di quel giorno serata un pubblico dibattito organizzato dalla rivista MicroMega a cui partecipa anche Borsellino. Quella sera, nell‟atrio della biblioteca comunale, il Procuratore aggiunto di Palermo si definisce apertamente un testimone, e rivela di essere a conoscenza di “alcune cose” che riferirà direttamente “a chi di competenza”, all‟autorità giudiziaria. Sono elementi utili a chiarire l‟intreccio criminale che in quei giorni minaccia la tenuta delle Istituzioni democratiche in Italia? Non lo sapremo mai perchè Paolo Borsellino non sarà mai interrogato.
Rita Borsellino sottolinea come mai, nella sua lunga carriera di magistrato, il fratello Paolo avesse lanciato “un avvertimento così esplicito”. A chi? E perché?
La moglie Agnese, che da casa segue l‟intervento della biblioteca comunale su un‟emittente locale, impallidisce e salta sulla sedia: “Ma che dice Paolo?” mormora con un filo di voce: “Se fa così, lo ammazzano...”*
Mentre Borsellino parla, il silenzio del pubblico è assoluto. Ma quando il magistrato ricostruisce la vicenda della mancata nomina da parte del CSM a Consigliere Istruttore di Palermo nel 1988 e parla apertamente di un qualche Giuda che si impegnò subito a prendere in giro Falcone un lungo applauso lo interrompe. Il cronista del Corriere della Sera scrive il giorno successivo: “Chi è Giuda? La gente, in piedi ad applaudire, lo identifica subito in Vincenzo Geraci, allora componente del Csm”.
Tornato a casa si ritrovò Paolo Borsellino si ritorvò le tasche della giacca piene di bigliettini che gli avevano infilato alcuni cittadini commossi.

Il video è frutto del lavoro del giornalista Pippo Ardini, scomparso l'8 dicembre 2009.



Paolo Borsellino: "Io sono venuto questa sera soprattutto per ascoltare. Purtroppo ragioni di lavoro mi hanno costretto ad arrivare in ritardo e forse mi costringeranno ad allontanarmi prima che questa riunione finisca. Sono venuto soprattutto per ascoltare perché ritengo che mai come in questo momento sia necessario che io ricordi a me stesso e ricordi a voi che sono un magistrato. E poiché sono un magistrato devo essere anche cosciente che il mio primo dovere non è quello di utilizzare le mie opinioni e le mie conoscenze partecipando a convegni e dibattiti ma quello di utilizzare le mie opinioni e le mie conoscenze nel mio lavoro. In questo momento inoltre, oltre che magistrato, io sono testimone. Sono testimone perché, avendo vissuto a lungo la mia esperienza di lavoro accanto a Giovanni Falcone, avendo raccolto, non voglio dire più di ogni altro, perché non voglio imbarcarmi in questa gara che purtroppo vedo fare in questi giorni per ristabilire chi era più amico di Giovanni Falcone, ma avendo raccolto comunque più o meno di altri, come amico di Giovanni Falcone, tante sue confidenze, prima di parlare in pubblico anche delle opinioni, anche delle convinzioni che io mi sono fatte raccogliendo tali confidenze, questi elementi che io porto dentro di me, debbo per prima cosa assemblarli e riferirli all’autorità giudiziaria, che è l’unica in grado di valutare quanto queste cose che io so possono essere utili alla ricostruzione dell’evento che ha posto fine alla vita di Giovanni Falcone, e che soprattutto, nell’immediatezza di questa tragedia, ha fatto pensare a me, e non soltanto a me, che era finita una parte della mia e della nostra vita.
Quindi io questa sera debbo astenermi rigidamente – e mi dispiace, se deluderò qualcuno di voi – dal riferire circostanze che probabilmente molti di voi si aspettano che io riferisca, a cominciare da quelle che in questi giorni sono arrivate sui giornali e che riguardano i cosiddetti diari di Giovanni Falcone. Per prima cosa ne parlerò all’autorità giudiziaria, poi – se è il caso – ne parlerò in pubblico. Posso dire soltanto, e qui mi fermo affrontando l’argomento, e per evitare che si possano anche su questo punto innestare speculazioni fuorvianti, che questi appunti che sono stati pubblicati dalla stampa, sul “Sole 24 Ore” dalla giornalista – in questo momento non mi ricordo come si chiama… – Milella, li avevo letti in vita di Giovanni Falcone. Sono proprio appunti di Giovanni Falcone, perché non vorrei che su questo un giorno potessero essere avanzati dei dubbi.
Ho letto giorni fa, ho ascoltato alla televisione – in questo momento i miei ricordi non sono precisi – un’affermazione di Antonino Caponnetto secondo cui Giovanni Falcone cominciò a morire nel gennaio del 1988. Io condivido questa affermazione di Caponnetto. Con questo non intendo dire che so il perché dell’evento criminoso avvenuto a fine maggio, per quanto io possa sapere qualche elemento che possa aiutare a ricostruirlo, e come ho detto ne riferirò all’autorità giudiziaria; non voglio dire che cominciò a morire nel gennaio del 1988 e che questo, questa strage del 1992, sia il naturale epilogo di questo processo di morte. Però quello che ha detto Antonino Caponnetto è vero, perché oggi che tutti ci rendiamo conto di quale è stata la statura di quest’uomo, ripercorrendo queste vicende della sua vita professionale, ci accorgiamo come in effetti il paese, lo Stato, la magistratura che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò proprio a farlo morire il primo gennaio del 1988, se non forse l’anno prima, in quella data che ha or ora ricordato Leoluca Orlando: cioè quell’articolo di Leonardo Sciascia sul “Corriere della Sera” che bollava me come un professionista dell’antimafia, l’amico Orlando come professionista della politica, dell’antimafia nella politica.
Ma nel gennaio del 1988, quando Falcone, solo per continuare il suo lavoro, propose la sua candidatura a succedere ad Antonino caponetto il Consiglio superiore della magistratura con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. C’eravamo tutti resi conto che c’era questo pericolo e a lungo sperammo che Antonino Caponnetto potesse restare ancora a passare gli ultimi due anni della sua vita professionale a Palermo. Ma quest’uomo, Caponnetto, il quale rischiava, perché anziano, perché conduceva una vita sicuramente non sopportabile da nessuno già da anni, il quale rischiava di morire a Palermo, temevamo che non avrebbe superato lo stress fisico cui da anni si sottoponeva. E a un certo punto fummo noi stessi, Falcone in testa, pure estremamente convinti del pericolo che si correva così convincendolo, lo convincemmo riottoso, molto riottoso, ad allontanarsi da Palermo. Si aprì la corsa alla successione all’ufficio istruzione al tribunale di Palermo. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Consiglio superiore della magistratura ci fece questo regalo: preferì Antonino Meli.
Giovanni Falcone, dimostrando l’altissimo senso delle istituzioni che egli aveva e la sua volontà di continuare comunque a fare il lavoro che aveva inventato e nel quale ci aveva tutti trascinato, cominciò a lavorare con Antonino Meli nella convinzione che, nonostante lo schiaffo datogli dal Consiglio superiore della magistratura, egli avrebbe potuto continuare il suo lavoro. E continuò a crederlo nonostante io, che ormai mi trovavo in un osservatorio abbastanza privilegiato, perché ero stato trasferito a Marsala e quindi guardavo abbastanza dall’esterno questa situazione, mi fossi reso conto subito che nel volgere di pochi mesi Giovanni Falcone sarebbe stato distrutto. E ciò che più mi addolorava era il fatto che Giovanni Falcone sarebbe allora morto professionalmente nel silenzio e senza che nessuno se ne accorgesse.
Questa fu la ragione per cui io, nel corso della presentazione del libro "La mafia d’Agrigento", denunciai quello che stava accadendo a Palermo con un intervento che venne subito commentato da Leoluca Orlando, allora presente, dicendo che quella sera l’aria ci stava pesando addosso per quello che era stato detto. Leoluca Orlando ha ricordato cosa avvenne subito dopo: per aver denunciato questa verità io rischiai conseguenze professionali gravissime, ma quel che è peggio il Consiglio superiore immediatamente scoprì quale era il suo vero obiettivo: proprio approfittando del problema che io avevo sollevato, doveva essere eliminato al più presto Giovanni Falcone. E forse questo io lo avevo pure messo nel conto perché ero convinto che lo avrebbero eliminato comunque; almeno, dissi, se deve essere eliminato, l’opinione pubblica lo deve sapere, lo deve conoscere, il pool antimafia deve morire davanti a tutti, non deve morire in silenzio.
L’opinione pubblica fece il miracolo, perché ricordo quella caldissima estate dell’agosto 1988, l’opinione pubblica si mobilitò e costrinse il Consiglio superiore della magistratura a rimangiarsi in parte la sua precedente decisione dei primi di agosto, tant’è che il 15 settembre, se pur zoppicante, il pool antimafia fu rimesso in piedi. La protervia del consigliere istruttore, l’intervento nefasto della Cassazione cominciato allora e continuato fino a ieri (perché, nonostante quello che è successo in Sicilia, la Corte di cassazione continua sostanzialmente ad affermare che la mafia non esiste) continuarono a fare morire Giovanni Falcone. E Giovanni Falcone, uomo che sentì sempre di essere uomo delle istituzioni, con un profondissimo senso dello Stato, nonostante questo, continuò incessantemente a lavorare. Approdò alla procura della Repubblica di Palermo dove, a un certo punto ritenne, e le motivazioni le riservo a quella parte di espressione delle mie convinzioni che deve in questo momento essere indirizzata verso altri ascoltatori, ritenne a un certo momento di non poter più continuare ad operare al meglio.
Giovanni Falcone è andato al ministero di Grazia e Giustizia, e questo lo posso dire sì prima di essere ascoltato dal giudice, non perché aspirasse a trovarsi a Roma in un posto privilegiato, non perché si era innamorato dei socialisti, non perché si era innamorato di Claudio Martelli, ma perché a un certo punto della sua vita ritenne, da uomo delle istituzioni, di poter continuare a svolgere a Roma un ruolo importante e nelle sue convinzioni decisivo, con riferimento alla lotta alla criminalità mafiosa. Dopo aver appreso dalla radio della sua nomina a Roma (in quei tempi ci vedevamo un po’ più raramente perché io ero molto impegnato professionalmente a Marsala e venivo raramente a Palermo), una volta Giovanni Falcone alla presenza del collega Leonardo Guarnotta e di Ayala tirò fuori, non so come si chiama, l’ordinamento interno del ministero di Grazia e Giustizia, e scorrendo i singoli punti di non so quale articolo di questo ordinamento cominciò fin da allora, fin dal primo giorno, cominciò ad illustrare quel che lì egli poteva fare e che riteneva di poter fare per la lotta alla criminalità mafiosa.
Certo anch’io talvolta ho assistito con un certo disagio a quella che è la vita, o alcune manifestazioni della vita e dell’attività di un magistrato improvvisamente sbalzato in una struttura gerarchica diversa da quelle che sono le strutture, anch’esse gerarchiche ma in altro senso, previste dall’ordinamento giudiziario. Si trattava di un lavoro nuovo, di una situazione nuova, di vicinanze nuove, ma Giovanni Falcone è andato lì solo per questo. Con la mente a Palermo, perché sin dal primo momento mi illustrò quello che riteneva di poter e di voler fare lui per Palermo. E in fin dei conti, se vogliamo fare un bilancio di questa sua permanenza al ministero di Grazia e Giustizia, il bilancio anche se contestato, anche se criticato, à un bilancio che riguarda soprattutto la creazione di strutture che, a torto o a ragione, lui pensava che potessero funzionare specialmente con riferimento alla lotta alla criminalità organizzata e al lavoro che aveva fatto a Palermo. Cercò di ricreare in campo nazionale e con leggi dello Stato quelle esperienze del pool antimafia che erano nate artigianalmente senza che la legge le prevedesse e senza che la legge, anche nei momenti di maggiore successo, le sostenesse. Questo, a torto o a ragione, ma comunque sicuramente nei suoi intenti, era la superprocura, sulla quale anch’io ho espresso nell’immediatezza delle perplessità, firmando la lettera sostanzialmente critica sulla superprocura predisposta dal collega Marcello Maddalena, ma mai neanche un istante ho dubitato che questo strumento, sulla cui creazione Giovanni Falcone aveva lavorato, servisse nei suoi intenti, nelle sue idee, a torto o a ragione, per ritornare, soprattutto, per consentirgli di ritornare a fare il magistrato, come egli voleva.
Il suo intento era questo e l’organizzazione mafiosa – non voglio esprimere opinioni circa il fatto se si è trattato di mafia e soltanto di mafia, ma di mafia si è trattato comunque – e l’organizzazione mafiosa, quando ha preparato ed attuato l’attentato del 23 maggio, l’ha preparato ed attuato proprio nel momento in cui, a mio parere, si erano concretizzate tutte le condizioni perché Giovanni Falcone, nonostante la violenta opposizione di buona parte del Consiglio superiore della magistratura, era ormai a un passo, secondo le notizie che io conoscevo, che gli avevo comunicato e che egli sapeva e che ritengo fossero conosciute anche al di fuori del Consiglio, al di fuori del Palazzo, dico, era ormai a un passo dal diventare il direttore nazionale antimafia.
Ecco perché, forse, ripensandoci, quando Caponnetto dice cominciò a morire nel gennaio del 1988 aveva proprio ragione anche con riferimento all’esito di questa lotta che egli fece soprattutto per potere continuare a lavorare. Poi possono essere avanzate tutte le critiche, se avanzate in buona fede e se avanzate riconoscendo questo intento di Giovanni Falcone, si può anche dire che si prestò alla creazione di uno strumento che poteva mettere in pericolo l’indipendenza della magistratura, si può anche dire che per creare questo strumento egli si avvicinò troppo al potere politico, ma quello che non si può contestare è che Giovanni Falcone in questa sua breve, brevissima esperienza ministeriale lavorò soprattutto per potere al più presto tornare a fare il magistrato.
Ed è questo che gli è stato impedito, perché è questo che faceva paura".
Paolo Borsellino
Palermo, 25 giugno 1992

mercoledì 16 giugno 2021

La "maturità" in alcuni giovani di questo Paese, in quest'anno con tanti "senza", ancor col bisogno di fare "cento passi".

Siamo giunti alla seconda "notte prima degli esami" nel tempo della pandemia. Che sia l'ultima! Per coloro che sono giunti alla soglia delle sessanta primavere, vi sono prossimi o l'hanno da poco superata, queste notti continuano ad avere il sapore lontano de "la notte prima degli esame" descritta nella celebre canzone di Antonello Venditti. Inutilmente, anche "sessantenni", proviamo ad immaginare le notti delle giovani e dei giovani d'oggi,  forse trincerandoci dietro la comoda scusa che tanto "sono così diversi da noi".  Che la pandemia non sia servita a migliorare le comunità, quanto piuttosto a fortificare egoismi ed aumentare diseguaglianze, è un dato di fatto su cui la Storia forse interrogherà le classi dirigenti dei nostri giorni. Dal mondo della Scuola, uno dei gangli essenziali di una comunità, dai giovani protagonisti di quel mondo, giungono due notizie che a nostro parere dovrebbero far riflettere su cosa significhi veramente Scuola: su cosa deve essere "scuola", su cosa deve insegnare, sui valori che la Scuola deve esprimere e trasmettere, del bisogno ancora impellente -anche in alcuni giovani- di dover fare memoria di quei "cento passi" che un giovane siciliano, Peppino Impastato, giovane per sempre,  ha provato a fare per costruire una vita diversa, migliore, per se stesso e per la comunità.

La prima notizia: Giorgia Lo Schiavo, diciottenne studentessa di Bari, di cui L'ESPRESSO n.  pubblica una sua riflessione sulla maturità. E in quella riflessione come non cogliere il nesso con la "maturità" a cui tutti saremmo chiamati ad affrontare, come cittadine e cittadine, come parti di una comunità: "(...) siamo Scuola quando e dove siamo insieme e insieme costruiamo, ragioniamo, pensiamo il futuro, accudendo i nostri sogni e coltiviamo i nostri sogni e coltivando la speranza; siamo Scuola quando capiamo che responsabilità è prendersi cura gli uni degli altri, e lottare, tenaci, per cambiare il presente (aveva ragione la mia professoressa che, mentre spiegava gli anni '70, ha detto: la storia di uno Stato è la storia dei cittadini e l'unico modo per cambiarla è il loro impegno).

La seconda notizia: i "centopassi del Maurolico". Il coro del liceo classico di Messina offre un segno tangibile di memoria viva, interpretando in maniera originale ed emozionante la canzone composta dai Modena City Ramblers per il film che ebbe il grande merito di far scoprire la figura di peppino Impastato. "L'emozione più grande è stato il messaggio della nipote di Peppino Impastato. Ci ha chiesto di poter condividere il video e di andare a ripetere la canzone nella casa di Cinisi dedicata alla memoria di Impastato. Un ringraziamento ai ragazzi del Maurolico è giunto anche da parte di Claudio Fava (figlio di Beppe Fava) fra gli sceneggiatori del film ed ora è presidente della Commissione antimafia della regione Sicilia: "(...) un grazie a tutti coloro che si impegnano lontani dalla solita retorica dell'antimafia a mantenere vivo il ricordo di chi la mafia l'ha combattuta sul serio. (...) Troppe volte, infatti, nel ricordo delle tante- troppe- vittime della mafia tendiamo a focalizzarci sull’atto finale. Sulle efferate dinamiche degli omicidi e degli attentati. Io credo, invece, che occorra sempre di più ricordarne la vita. Ricordare l’impegno e le azioni. Perchè queste sono il lascito più importante che abbiamo.  Il vostro lavoro, la gioia nel realizzarlo che traspare, è qualcosa di più di un semplice tributo.(....)".



Giorgia Lo Schiavo, 18 anni, studentessa del liceo Gaetano Salvemini di Bari. Fonte: Blog ilgranteatrodelmondo2.weebly.com ORIPRODUZIONE, articolo pubblicato su L'ESPRESSO 

La nostra maturità in questo anno senza"


"Non voglio sapere che giorno è: il tempo corre e io non so fermarlo. Manca poco alla maturità, di questo sono certa: lo dicono i libri aperti davanti ai miei occhi, spalmati sulla scrivania fra le bozze dell'elaborato che ho preparato per la prova orale. Il ruolo della scienza nella costruzione della pace, con uno sguardo al Cern di Ginevra. E Daniele Del Giudice, autore di un romanzo straordinario ambientato proprio nei laboratori scientifici di Ginevra, l'atlante che Italo Calvino avrebbe sicuramente amato, un romanzo portatore di una nuova poetica dello sguardo (c'est le regard qui fait le monde) e del rispetto per le cose. Un testo che racconta una sfida meravigliosa: sforzarsi di vedere in un tempo in cui le cose stanno scomparendo, non troppo diverso da questo nostro presente (passato, speriamo) impazzito fatto di non luoghi virtuali. È un esperimento che forse un po' assomiglia al modo in cui abbiamo fatto scuola in questo nostro ultimo anno, impegnandoci ad esserci in assenza di corpi, banchi, sedie, baci, corridoi, gite, abbracci, panini mangiati di nascosto mentre la prof disperata spiega Seneca.
Di quest'anno difficile costruito con molti “senza” non voglio dimenticare nulla, perché tutto è stato prezioso, persino il buio (è dal buio che dobbiamo ripartire per ricostruire cosa si è spezzato, cosa non ha funzionato). Mentre la politica metteva la scuola (e l'università) all'ultimo posto del la lista delle priorità, noi abbiamo continuato a camminare: si tratta di vivere il tempo che ci è dato vivere con tutte le sue difficoltà, ha scritto Aldo Moro.
Porto via con me una lezione importante, forse la più preziosa di tutte: siamo Scuola quando e dove siamo insieme e insieme costruiamo, ragioniamo, pensiamo il futuro, accudendo i nostri sogni e coltivando nostri sogni e coltivando la speranza; siamo Scuola quando capiamo che responsabilità è prendersi cura gli uni degli altri, e lottare, tenaci, per cambiare il presente (aveva ragione la mia professoressa che, mentre spiegava gli anni '70, ha detto: la storia di uno Stato è la storia dei cittadini e l'unico modo per cambiarla è il loro impegno).
E poi porto via anche con me il senso di smarrimento, la paura, la rabbia e la tristezza. La difficoltà di provare a progettare il domani quando pensi che ti sia stato tolto tutto e non esiste un colpevole, l'affetto inestimabile nascosto nei «Ti capisco», «Mi sento proprio così», il tentativo di esercita re la prossimità nella lontananza. I quattro ultimi-primi giorni di scuola che ci sono stati concessi, tutti i momenti nostri in cui ci siamo riconosciuti dietro le mascherine, col nostro bagaglio di speranze e timori.
Ma finirà, e noi andremo. Guarderemo questo groviglio di emozioni con un po' di tenerezza e lo metteremo in tasca. Piange remo un po', perché salutare i ricordi fa questo effetto. E poi lì, sulla soglia, ci guarderemo negli occhi, compagni per l'ultima volta e per sempre, col mondo fra le dita. C'è una poesia di Apollinaire che parla della paura di volare, del momento prima della partenza in cui il nodo in gola appesantisce il corpo. È l'attimo prima di crescere, credo: "Avvicinatevi all'orlo", disse. / "Non possiamo, abbiamo paura." / "Avvicinatevi all'orlo." / "Non possiamo, cadremo giù." / "Avvicinatevi all'orlo." / Si avvicinarono... lui li spinse. E volarono». 
Non voglio dimenticare nemmeno questa paura qui, il momento in cui siamo diventati grandi per davvero. Colleghi, amici, compagni, insegnanti (persino e soprattutto): adesso tocca a noi.


I "centopassi"del Maurolico, il linguaggio della musica per educare alla legalità: “L'emozione più grande è stato il messaggio della nipote di Peppino Impastato. Ci ha chiesto di poter condividere il video e di andare a ripetere la canzone nella casa di Cinisi dedicata alla memoria di Impastato”. 


I "centopassi"del Maurolico

Fonte: MESSINA TODAY: 
L'emozione più grande è stato il messaggio della nipote di Peppino Impastato. Ci ha chiesto di poter condividere il video e di andare a ripetere la canzone nella casa di Cinisi dedicata alla memoria di Impastato”. 
Il video è quello degli studenti del liceo classico Maurolico. Si intitola "I cento passi" ed è tratto dal brano dei Modena City Ramblers. A parlare invece è l'anima di questo coro, Agnese Carrubba, musicista e maestra da quattro anni dell'ormai celebre coro del liceo classico messinese che quest'anno ha voluto porre l'accento sul valore della legalità, la stessa che si coltiva a scuola, obiettivo primario per la formazione dei giovani. A due giorni dalla pubblicazione, ha già ottenuto oltre ventimila visualizzazioni. Emoziona e racconta la storia di Peppino Impastato, vittima di mafia.
E' stata davvero una delle esperienze più belle da quando lavoro con i ragazzi del Maurolico - spiega Agnese Carrubba a MessinaToday - e certo non possiamo dire che anche prima non ci siamo presi le nostre soddisfazioni. I ragazzi non studiano musica al liceo ma il coro è una istituzione da vent'anni. Lo scorso anno abbiamo festeggiato infatti il ventennale con i tre direttori che si sono susseguiti da quando è nato. E' stato un grande concerto con oltre cento coristi che hanno rappresentato la storia del Maurolico. Io sono l'ultima arrivata ma abbiamo già fatto tante grandi cose insieme. Due anni fa abbiamo vinto il primo premio Gef a Sanremo e da lì abbiamo continuato il nostro percorso. Purtroppo il Covid ci ha fermati nelle lezioni in presenza ma questo video è la prova che l'arte trova altre strade per farsi largo anche davanti a mille difficoltà. Da casa abbiamo sempre continuato a lavorare. Io creo l'arrangiamento, le voci guida, e loro mi mandano le registrazioni fatte con il telefonino. Poi la straordinaria Deborah Bernava, che ha curato anche la regia, riesce a montare il tutto con grande maestria”.
Ma come nasce l'idea dei Centopassi?Nasce su input della dirigente Giovanna De Francesco che da tempo, con la 'storica' coordinatrice del progetto Silvana Salandra, mi sollecitava a lavorare sul tema della legalità. Ci ho pensato e ripensato ma niente come questo ragazzo che ha sacrificato la sua vita all’impegno sociale e civile mi è sembrato più vicino a nostri giovani. Ho visto il film e ho scritto quasi di getto 56 pagine di arrangiamento corale e percussioni legati a suoni della scuola. La parte ritmica che sentite nel video è fatta tutta di suoni legati proprio al mondo della scuola. Matite, gessetti alla lavagna, pugni battuti sui banchi. E le voci. Quelle in coro che mi danno sempre più soddisfazioni. Ho chiesto l'autorizzazione alla dirigente a fare le riprese tra i banchi di scuola e, a piccoli gruppi, mantenendo tutte le misure di precauzione legati al Covid, abbiamo fatto le riprese”. 
Ma l'emozione più grande è stata proprio quella di sentirli cantare. Sì, cantare con tale sincerità è la cosa che mi emoziona di più - continua Carrubba -  Si sono sentiti subito dentro il tema. Vestiti anni Settanta, cercando negli armadi dei genitori per ricostruire quel periodo anche scenicamente. E l'emozione è contagiosa. Il video è stato condiviso dagli stessi Modena City Ramblers nelle loro pagine. La nipote di Peppino Impastato mi ha contattata chiedendo di poter pubblicare il video e invitandoci a cantare nella loro casa della memoria. Ma ci ha scritto anche la sottosegretaria del ministero dell'Istruzione Barbara Floridia e Claudio Fava, il presidente della commissione parlamentare antimafia”.
Le parole di Claudio Fava resteranno nel cuore anche di tutti i ragazzi che hanno partecipato al progetto ed è un messaggio che vale la pena riportare perché è un grazie a tutti coloro che si impegnano lontani dalla solita retorica dell'antimafia a mantenere vivo il ricordo di chi la mafia l'ha combattuta sul serio. “Ho avuto modo di ascoltare e vedere il lavoro realizzato dalle alunne e dagli alunni del vostro istituto - scrive il deputato - Dico subito che sono stato colpito, piacevolmente, dall’ottimo livello di quanto da voi realizzato. Un lavoro non scontato e non banale che evidenzia una competenza artistica notevole. Nella sceneggiatura de “i cento passi” c’era la volontà di far emergere la vita di Peppino Impastato, non la storia della sua morte ma la storia della sua vita. Delle profonde ragioni politiche, etiche, civili che hanno caratterizzato il suo impegno e che sono il motivo per cui la mafia ha deciso il suo omicidio.  Troppe volte, infatti, nel ricordo delle tante- troppe- vittime della mafia tendiamo a focalizzarci sull’atto finale. Sulle efferate dinamiche degli omicidi e degli attentati. Io credo, invece, che occorra sempre di più ricordarne la vita. Ricordare l’impegno e le azioni. Perchè queste sono il lascito più importante che abbiamo.  Il vostro lavoro, la gioia nel realizzarlo che traspare, è qualcosa di più di un semplice tributo. Rappresenta una generazione nuova che ha colto l’insegnamento, anche gioioso, di Peppino. Per questo è un lavoro prezioso, che celebra la vita di Impastato e rappresenta la speranza di questa terra di Sicilia”.




mercoledì 2 giugno 2021

2 GIUGNO - FESTA DELLA REPUBBLICA ITALIANA nata dalla RESISTENZA ANTIFASCISTA



ll ricordo di quella giornata storica nei racconti di chi c’era e un appello da parte di Maria Lisa (Marisa) Cinciari Rodano: " Ho un appello da fare per questo 2 giugno, ed è proprio a loro, le più giovani: impegnatevi in politica, scendete in campo, non solo per il vostro interesse personale (oggi vedo troppo individualismo in politica), ma per quello di tutti, per lo sviluppo democratico del nostro Paese e dell’Europa"


Maria Lisa (Marisa) Cinciari Rodano:
un secolo di vita antifascista, vissuta in difesa dei diritti delle donne: partigiana, deputata e senatrice comunista, tra le fondatrici dell'Udi, l'Unione donne italiane. “Gli episodi di odio e razzismo mi hanno riportato ai giorni più bui della nostra storia. Ma chi li ha vissuti non dimentica

LA PRIMA VOLTA AL VOTO DELLE DONNE
È il 2 giugno del 1946. Lunghissime file di donne attendono di fronte ai seggi elettorali.
È una giornata storica per loro e per l’intero Paese, e non c’è nord o sud che faccia differenza.
Difatti, proprio in quella giornata, le donne vengono chiamate, per la prima volta, alle urne, per esprimere il loro voto su Monarchia o Repubblica e per eleggere i membri dell’Assemblea costituente.
Una data importante, che segna un punto di svolta: sino a quel momento alle donne è sempre stato proibito qualsiasi “avvicinamento” al mondo politico.
Nel corso degli anni precedenti al 1946, erano state numerose le lotte animate dallo spirito di emancipazione femminile. Nella loro ribellione a questo “sistema”, le donne avevano sempre chiesto il diritto di accesso all’istruzione e quindi alle università, cercando di ottenere la tanto agognata parità dei diritti.
Prima dell’Unità d’Italia, infatti, i vari Stati italiani avevano legislazioni molto diverse e contrastanti in materia: alcuni concedevano pochi diritti alle donne, mentre altri glieli negavano totalmente. Successivamente, con la nascita del Regno d’Italia e l’adozione del Codice Albertino, risalente al re Carlo Alberto, si decise di limitare quasi totalmente tutti i diritti delle donne.
Ho un appello da fare per questo 2 giugno, ed è proprio a loro, le più giovani: impegnatevi in politica, scendete in campo, non solo per il vostro interesse personale (oggi vedo troppo individualismo in politica), ma per quello di tutti, per lo sviluppo democratico del nostro Paese e dell’Europa».


  • Adele Bei
  • Bianca Bianchi
  • Laura Bianchini
  • Elisabetta Conci
  • Maria De Unterrichter Jervolino
  • Filomena Delli Castelli
  • Maria Federici
  • Nadia Gallico Spano
  • Angela Gotelli
  • Angela M. Guidi Cingolani
  • Leonilde Iotti
  • Teresa Mattei
  • Angelina Livia Merlin
  • Angiola Minella
  • Rita Montagnana Togliatti
  • Maria Nicotra Fiorini
  • Teresa Noce Longo
  • Ottavia Penna Buscemi
  • Elettra Pollastrini
  • Maddalena Rossi
  • Vittoria Titomanlio

VIVA L'ITALIA CHE NON HA PAURA



martedì 1 giugno 2021

(...) Brusca non è libero, sono invece liberi quelli che hanno architettato ciò che poi la mafia ha realizzato"

La notizia del giorno è di certo l'avvenuta scarcerazione di Giovanni Brusca, l'uomo che ha premuto il telecomando a Capaci e fatto sciogliere nell'acido il piccolo Giuseppe Di Matteo. Brusca ha lasciato il penitenziario di Rebibbia, con 45 giorni di anticipo rispetto alla scadenza della condanna. Adesso sarà sottoposto a 4 anni di libertà vigilata.
La riflessione di Umberto Ottone, membro dell'Associazione Rita Atria sin dalla sua fondazione, indica con precisione quale sia il vero scandalo: "Molti gridano allo scandalo, leggiamo titoloni scandalizzati: "Brusca torna libero!”. Ma quando mai! Brusca non è libero, sono invece liberi quelli che hanno architettato ciò che poi la mafia ha realizzato".

Per coerenza allo "stato di diritto" a cui tanti insigni commentatori fanno oggi riferimento, ricordando addirittura che la legge che riconosce benefici ai "collaboratori di giustizia " venne concepita dallo stesso Giovanni Falcone, noi vorremmo modestamente ricorda che in un reale Stato di diritto una comunità che si volesse definire realmente "civile" avrebbe il dovere di pretendere dallo Stato Verità e Giustizia per le tante vittime dei giochi di potere, oscuri e miserabili, in cui le mafie - da sempre- sono uno degli attori sulla scena: come "braccio armato" o come "società di servizi".
Questo sarebbe la prova di vivere in uno "Stato di diritto"; questo ci renderebbe davvero "una società civile"; questo ci renderebbe davvero differenti dai mafiosi e da coloro che, pur non essendo "formalmente mafiosi", usano e fanno proprio il "pensiero mafioso" ( ottenere -con tutti i mezzi possibili- quel che non ci meritiamo).
Lo scandalo, l'oscenità che si cerca sempre di relegare in un angolo buio è il non aver voluto giungere alla Verità sulle stragi, le tanti stragi, che hanno insanguinato l'Italia. "(...) Brusca non è libero, sono invece liberi quelli che hanno architettato ciò che poi la mafia ha realizzato"!
Di seguito, una selezione dei commenti  che si sono susseguiti nella giornata di oggi:

Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone: "Umanamente è una notizia che mi addolora, ma questa è la legge, una legge che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata. Mi auguro solo che magistratura e le forze dell'ordine vigilino con estrema attenzione in modo da scongiurare il pericolo che torni a delinquere, visto che stiamo parlando di un soggetto che ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia assai tortuoso. Ogni altro commento mi pare del tutto inopportuno". Lo ha detto Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone, dopo la notizia della scarcerazione per fine pena di Giovanni Brusca, l'ex capomafia, poi pentito, che ha premuto il telecomando che ha innescato l'esplosivo nella strage di Capaci. Nell'attentato morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.

Salvatore Borsellino, fratello del giudice paolo Borsellino:"La liberazione di Brusca, che per me avrebbe dovuto finire i suoi giorni in cella, è una cosa che umanamente ripugna. Però, quella dello Stato contro la mafia è, o almeno dovrebbe essere, una guerra e in guerra è necessario anche accettare delle cose che ripugnano. Bisogna accettare la legge anche quando è duro farlo, come in questo caso. Questa legislazione premiale per i collaboratori di giustizia fa parte di un pacchetto voluto da un grande stratega, Giovanni Falcone, per combattere la mafia, dentro ci sono l'ergastolo ostativo, il 41 bis. Va considerata nella sua interezza ed è indispensabile se si vuole veramente vincere questa guerra contro la criminalità organizzata. L'alternativa, in assenza dell'ergastolo ostativo, sarebbe stato vedere tra cinque anni questa persona libera senza neppure aver collaborato con la giustizia e senza aver permesso di assicurare alla giustizia tanti altri criminali come lui. Non credo al pentimento di Brusca, anche perché la sua collaborazione con la giustizia è stata molto travagliata: in un primo tempo aveva cercato di fingere per minare le istituzioni. Non credo si sia veramente pentito, come, invece, ha fatto Gaspare Mutolo, assassino anche lui, che ha ucciso, strangolandole, 50 persone a mani nude, ma che oggi penso sia una persona veramente cambiata. Di Brusca non ho questa impressione. Anche perché non ha raccontato neanche tutto quello che sa e che avrebbe potuto dire. Sicuramente, però, quello che ha detto è stato tanto e ha permesso di fare tanti processi, di assicurare tanti criminali come lui alla giustizia". Brusca E' fondamentalmente un criminale, di una persona che uccide un bambino e lo scioglie nell'acido dicendo che era come un cagnolino non ci si può fidare appieno. Ma non credo che possa costituire oggi un pericolo".



 

Rita Dalla Chiesa: "La scarcerazione di Giovanni Brusca è una vergogna di Stato. Sono sconvolta per quanto accaduto. Non mi aspettavo l'ennesima vergogna della giustizia in Italia", ha dichiarato Rita Dalla Chiesa dopo la diffusione della notizia. L'amarezza di

Giuseppe Costanza, il funzionario scampato alla strage di Capaci, colui che avrebbe dovuto essere alla guida dell'auto del giudice Falcone: "Che Paese è il nostro? È una notizia che sicuramente non mi fa piacere. È un'offesa per le persone che sono morte in quella strage. Secondo me dovevano buttare via le chiavi. Sono trascorsi 29 anni da quel giorno, ma né Falcone, né la moglie, né i ragazzi della scorta potranno mai ritornare in vita - aggiunge -. Che Paese è il nostro? Chi si macchia di stragi del genere per me non deve più uscire dalla galera". Se avesse la possibilità di farlo cosa direbbe all'uomo che azionò il telecomando che causò l'esplosione? "Niente. Non mi sento neppure di avvicinarmi a una persona del genere".

Antonio Ingroia: "È comprensibile che possa fare impressione che l'uomo che ha ucciso Giovanni Falcone, che è stato il responsabile della morte orribile del piccolo Giuseppe Di Matteo possa tornare in libertà, ma un conto è la condanna morale, un conto quello che prevede l'ordinamento giuridico. E va accettato".

Tina Montinaro, vedova di Antonio Montinaro, caposcorta di Falcone: "Sono indignata, sono veramente  indignata. Lo Stato ci rema contro. Noi dopo 29 anni non conosciamo  ancora la verità sulle stragi e Giovanni Brusca, l'uomo che ha  distrutto la mia famiglia, è libero. Sa qual è la verità? Che questo  Stato ci rema contro. Io adesso cosa racconterò al mio nipotino? Che l'uomo che ha ucciso il nonno gira liberamente?...Dovrebbe indignarsi tutta l'Italia e non solo io che ho perso mio  marito. Ma non succede. Queste persone vengono solo a commemorare il 23 maggio Falcone e si ricordano di 'Giovanni e Paolo'. Ma non si indigna nessuno. Sono davvero indignata e amareggiata - dice -  Quando questi signori prendono queste decisioni, come la scarcerazione di Brusca, non pensano a noi familiari, non pensano alle vittime. Lo Stato non sta dando un grande esempio. Abbiamo uno Stato  che ha fatto memoria per finta. Mancano le parole. Cosa c'è sotto? A  noi la verità non è stata detta e lui è fuori e loro continuano a dire perché ha collaborato... E' incredibile. O ha detto una verità che a  noi non è stata raccontata. C'è una  giustizia che non è giustizia, allora è inutile cercare Matteo Messina Denaro, noi continuiamo a fare memoria, mi sa che c'è uno Stato che ci rema contro, una politica che ci rema contro...".

Pietro Grasso, senatore ed ex procuratore nazionale antimafia: "Con Brusca lo Stato ha vinto non una ma tre volte. La prima quando lo ha arrestato, perché era e resta uno dei peggiori criminali della nostra storia per numero di reati e ferocia. La seconda quando lo ha convinto a collaborare: le sue dichiarazioni hanno reso possibili processi e condanne e hanno fatto emergere pezzi di verità fondamentali sugli anni in cui Cosa nostra ha attaccato frontalmente lo Stato. La terza ieri, quando ne ha disposto la liberazione dopo 25 anni di carcere, rispettando l`impegno preso con lui e mandando un segnale potentissimo a tutti i mafiosi che sono rinchiusi in cella e la libertà, se non collaborarono, non la vedranno mai. Ora lo Stato dovrà proteggere Brusca: è un dovere perché è importante che Brusca resti vivo e possa andare a testimoniare nei processi. Oltre al punto morale c'è un interesse specifico, quasi egoistico, affinché le sue parole possano essere ripetute nelle aule di giustizia dove servono per condannare mandanti ed esecutori di omicidi e stragi. L'indignazione di molti politici che di codice penale e di lotta alla mafia capiscono ben poco mi spaventa. Se davvero facessero quello che dicono, ovvero ridurre gli sconti per chi collabora con la giustizia, diminuirebbe l`incentivo a pentirsi. Se a questo aggiungiamo che si sta cercando di limitare l`ergastolo ostativo, e lavorerò affinché questo non avvenga, potremo anche dichiarare chiuso il capitolo del contrasto a Cosa nostra. Al contrario, servono sconti di pena forti per chi aiuta lo Stato e prospettiva di ergastolo senza sconti per chi non collabora".

Nicola Morra, Presidente della Commissione antimafia:"A 64 anni ha la capacità di tornare a essere immediatamente efficiente, vero è che resta in libertà vigilata per quattro anni ma ricordo che ci sono 70enni che continuano a guidare i sodalizi mafiosi". Così "L'autore della strage di Capaci, assassino fra gli altri del piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell'acido perché figlio di un pentito. Dopo 25 anni di carcere, il boss mafioso Giovanni Brusca torna libero. Non è questa la 'giustizia' che gli Italiani si meritano". Lo dice il leader della Lega Matteo Salvini. "E' una notizia che lascia senza fiato e fa venire i brividi. L'idea che un personaggio del genere sia di nuovo in libertà è inaccettabile, è un affronto per le vittime, per i caduti contro la mafia e per tutti i servitori dello Stato che ogni giorno sono in prima linea contro la criminalità organizzata. 25 anni di carcere sono troppo pochi per quello che ha fatto. E' una sconfitta per tutti, una vergogna per l'Italia intera". Lo dichiara il presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni. ''Il percorso è chiaro come il suo obiettivo e va avanti da anni sostenuto da menti criminali e da utili idioti: delegittimare lo Stato e minimizzare il ruolo della mafia nelle stragi, e di conseguenza ridurre la percezione della sua  pericolosità nell'opinione pubblica e in tutte le sedi. Dobbiamo alzare la guardia perché ci stanno riuscendo''. Così all'AdnKronos il colonnello

Sergio De Caprio, alias Capitano Ultimo: 'Brusca fa il suo gioco, nulla di nuovo, le istituzioni devono fare la loro parte. Il presidente Mattarella non ci abbandonerà in questo degrado''.

Claudio Fava, Presidente dell'Antimafia all'Assemblea regionale siciliana: "Che Brusca, scontata la sua pena, venga scarcerato è un fatto normale, è la legge. Quello che non è normale, invece, è che dopo 30 anni la verità sulle stragi sia ancora tenuta ostaggio di reticenze, viltà e menzogne. Brusca avrebbe potuto dire molto di più di quanto ha detto, avrebbe potuto contribuire molto di più per arrivare alla verità di quella stagione, di certo ora non lo farà più".