Dodò aveva 11 anni e né lui né la sua famiglia c'entravano con faide e 'ndrangheta. Stava solo giocando a calcetto insieme al papà, il 25 giugno 2009, ed entrambi erano ignari che sullo stesso campo della periferia di Crotone ci fosse un uomo finito nel mirino delle cosche locali. Gli sciagurati sicari si misero a sparare all'impazzata, uccidendo il loro obiettivo ma ferendo anche altre 9 persone che si trovavano lì per caso. Il piccolo Domenico, Dodò per chi lo conosceva, rimase in coma per tre mesi. Poi morì. Venerdì i suoi genitori, Giovanni Gabriele e Francesca Anastasio, saranno a Roma, nella chiesa di San Gregorio VII, per partecipare alle 17 e 30 alla veglia di preghiera con i familiari delle vittime innocenti delle mafie, organizzata da Libera. E ascolteranno le parole di papa Francesco, che ha raccolto l'invito di don Luigi Ciotti e presiederà la funzione. "La voce del pontefice darà forza alle nostre nel gridare che la tragedia di mio figlio non deve capitare ad altri", afferma Giovanni Gabriele, che racconta: "Andiamo nelle scuole, incontriamo la gente per portare la nostra testimonianza e ora vedere il Papa che si schiera con noi ci dà forza nel credere che qualcosa davvero può cambiare e anche la nostra terra può avere un futuro".

Saranno almeno 700 le persone che si ritroveranno alla veglia. Ognuno di loro arriverà all'incontro con il Papa portando il ricordo, il senso del vuoto affettivo e quello dell'ingiustizia subita, ma anche l'orrore dell'oblio. Secondo don Ciotti l'incontro con il pontefice è "un dono, tanto più grande perché precede, anzi apre", la Giornata della memoria e dell'impegno che sabato a Latina vedrà migliaia di persone sfilare in corteo e poi dividersi per partecipare a uno dei 15 seminari sulla realtà mafiosa. "Sarebbe bello - aggiunge il sacerdote fondatore di Libera - che il 21 marzo diventasse istituzionalmente per tutti gli italiani il giorno in cui le vittime innocenti di mafia, in tante città d'Italia, vengono chiamate per nome, uno a uno, in un appello rivolto alle coscienze di tutti".  

Stefania Grasso, una delle referenti nazionali di Libera, spera che "l'attenzione di questi giorni serva a sostenere il cammino delle famiglie anche quando tutti sembrano dimenticare le storie dei loro cari". A lei le mafie hanno ucciso il papà ma l'inchiesta è stata archiviata e per quel delitto non c'è nemmeno il nome di un colpevole. Proprio oggi ricorrono i 25 anni dal giorno in cui i due killer spararono a Locri. Vendeva auto, Vincenzo Grasso. E davanti alle richieste del racket aveva deciso di non pagare e denunciare. "Non era un eroe, era un uomo comune: aveva paura, ma anche un rispetto degli altri e un amore per la vita sulla base dei quali riteneva che comportarsi bene fosse l'unico modo per sentirsi felici", racconta Stefania. È stato dopo il delitto che lei e la sua famiglia hanno conosciuto don Ciotti. Chiamò a casa, secondo uno stile che con Bergoglio è diventato consueto anche in Vaticano. Poi andò a trovarli, li fece sentire parte della grande comunità di Libera. "È un percorso che ci ha accompagnati e che si ripete ancora in decine di altri casi", dice Stefania, che aveva 19 anni quando suo padre morì e che col tempo proprio all'interno di Libera ha trovato la forza di dar voce alla sua testimonianza. Da 4 anni è referente nazionale dei familiari delle vittime, ma intanto porta avanti la sua vita: "Sono rimasta a lavorare a Locri. E, con me, i miei fratelli e i miei nipotini, come desiderava mio padre". 

Dice che la disponibilità del pontefice ad incontrarli è una fonte di grande speranza: "Questo Papa ha scelto la vicinanza agli ultimi". E per Stefania i familiari delle vittime innocenti sono proprio tra gli ultimi: "È così: nella nostra terra devi essere tu ad abbassare lo sguardo. Anziché amplificare il messaggio delle vittime innocenti si cerca di affossarlo, forse perché ricordare ciò che loro hanno subito significa dover ammettere che non si sta facendo nulla. Ci vuole coraggio nel ricordare. Per noi non è una responsabilità né un dovere. Certo non lo scegli, ma è un modo per vedere vivo il sogno dei nostri cari che sono stati uccisi".