giovedì 29 agosto 2013

Memoria e impegno."Il 29 agosto 1991 è stato assassinato Libero Grassi, imprenditore, un uomo coraggioso, ucciso dalla mafia, dall'omerta', dalle associazioni degli industriali, dall'indifferenza dei partiti e dall'assenza dello Stato"

Queste le parole del manifesto che ogni anno viene affisso sul muro nei pressi dell'abitazione dell'imprenditore Libero Grassi, ucciso a Palermo dai killer di Cosa  Nostra  ventidue fa,  per essersi ribellato alla "legge" mafiosa del racket.


Riportiamo Il testo della lettera che Libero Grassi pubblicò sul Giornale di Sicilia in data 10 gennaio 1991
Caro estortore,
volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui.“ Libero Grassi  


Questo l'articolo pubblicato dall'Unita in data 28 agosto 2011 e nel quale si raccontava l'intervista di Miche Santoro a Libero Grassi, nella trasmissione Samarcanda:


«Caro estortore...non ti pago»:  la lettera che diede inizio alla battaglia 

Il 10 gennaio 1991 Libero Grassi scrisse una lettera al “Giornale di Sicilia”: «Caro estorsore...non ti pago». Dopo 8 mesi, il 29 agosto 1991, Cosa nostra lo ucciderà con cinque colpi di pistola calibro 38. La lettera è una pubblica rottura dell'omertà: l’imprenditore, il cittadino, sottoposto alle minacce degli estorsori, non solo rifiuta di pagare, ma accusa commercianti ed imprenditori siciliani di soggiacere passivamente alla coercizione mafiosa: il pizzo accettato come una tassa dovuta ad un sistema di potere parallelo, in cui sguazzano politici, imprenditori e mafiosi. La cui efficacia impositiva si misura in termini di silenziosa rassegnazione. 

intervista di Libero Grassi ."Samarcanda". 11 aprile 1991

La presa di posizione lo espone ad uno sconcertante isolamento: il presidente palermitano di Assindustria, Salvatore Cozzo, legato a Salvo Lima, minimizza la denuncia: una tammurriata per farsi un po’ di pubblicità. Michele Santoro lo invita a raccontare la sua storia a Samarcanda. È l’11 aprile 1991. Libero è di fronte alle telecamere. Lo sguardo è attento dietro gli occhiali da lettura. Alla domanda del conduttore: Lei si è trovato faccia a faccia con queste richieste di tangenti? Risponde: «Mi sono trovato più volte… ho subito due estorsioni, una rapina e altre intimidazioni».

Poi Libero Grassi sposta il discorso su un tema scottante rivolgendosi al giudice Di Maggio presente in studio: «Il giudice di Maggio ha detto il primato della legge, il primato della politica, il primato della morale. Ma c’è un primato superiore quello della qualità del consenso… la formazione del consenso che poi è l’arma della mafia. La prima cosa che controlla la mafia… è il voto… ad una cattiva raccolta di voti corrisponde una cattiva democrazia… la legge la fanno i politici… se i politici hanno un cattivo consenso faranno delle cattive leggi e allora noi dobbiamo curare la qualità del consenso. La mafia in Sicilia è il maggior interlocutore del problema politico in quanto dispone del voto, dei soldi e degli inserimenti nell’amministrazione, perché oramai è diventata ceto dominante». 




Santoro lo interrompe e lo stuzzica: "Perché non vuol pagare, lei è pazzo?"

Libero non ha sussulti, non si scompone, è quasi immobile: «Non sono pazzo, non mi piace pagare perché è una rinunzia alla mia dignità di imprenditore (significherebbe che) io divido le mie scelte con il mafioso». Si ferma per un istante prende un foglio dalla cartellina e legge una dichiarazione del giudice Luigi Russo in merito alle estorsioni: «Si può anche non pagare, ma chi non paga deve sapere bene cosa gli succede prima o poi… se tutti facessero così (non pagando) dalla Sicilia sparirebbero le imprese e migliaia di piccole aziende andrebbero in fiamme». 

Ora Libero si agita sulla poltrona e sgrana gli occhi guardando fisso il giornalista: «Dico al dott. Luigi Russo che lui dice se tutti si comportassero come me si distruggono le industrie, se tutti si comportano come me si distruggono gli estorsori non le industrie». Con un gesto d’impeto toglie gli occhiali e tira un sospiro ad occhi chiusi. 

Dopo oltre vent’anni la testimonianza di Libero Grassi ci ricorda quanta strada è stata fatta nel campo della prevenzione e dell’assistenza alle vittime del racket. Rimane, tuttavia, di cocente attualità ed insoluto il tema della qualità del consenso elettorale, proprio ora che la «linea della palma», come scriveva Sciascia, ha raggiunto i lembi estremi del profondo nord.

 Marcello Ravvedut

martedì 6 agosto 2013

Ninì Cassarà e Roberto Antiochia 6 agosto 1985. Gaetano Costa, 6 agosto 1980.

Fare Memoria. "Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano". Erano state queste le parole di Ninì Cassarà pronunciate durante i funerali del commissario  Beppe Montana ucciso pochi giorni prima, il 28 luglio 1985., nell'estate in cui la mafia decapitò il vertice della Squadra Mobile palermitana. Quelle parole, una tragica profezia, vennero  ricordate anni dopo dallo stesso Paolo Borsellino nella sua ultima intervista rilasciata nel luglio 1992, pochi giorni prima di essere a sua volta ucciso. 
Paolo Borsellino e Ninì Cassarà

Ninì Cassarà non doveva avere scampo: tre killer, protetti da altri uomini nella strada, si erano appostati nei mezzani di tre piani della palazzina dove Cassarà viveva insieme alla moglie Laura e ai due figli: Cassarà aveva avvertito del suo arrivo sua moglie che, come sempre, era affacciata al baloce per controllare che nella strada tutto fosse tranquillo. Un traditore celato fra gli uomini della Questura, e mai scoperto,rinforò i killer dell'arrivo di Cassarà: 9 uomini e 200 pallottole di kalashnikov fecero a brandelli l'Alfetta del Commissario Cassarà che riuscì solo a lanciarsi verso l'ingresso della palazzina, invano. Il poliziotto Roberto Antiochia, 23enne, fece da scudo con il suo corpo a Ninni e morì subito. Solo l'agente Natale Mondo restò illeso ma sarebbe stato ucciso anch'egli il 14 gennaio 1988 davanti al negozio gestito dalla moglie.
Saveria Antiochia, madre di Roberto ucciso insieme a Ninni Cassarà il 6 agosto 1985, dopo i funerali scrisse una lettera aperta di denuncia al ministro dell'Interno Scalfaro, che la Repubblica pubblicò sotto il titolo "Li avete abbandonati"Gli occhi di quella madre, che successivamente avrebbe girato instancabilmente tutta l'Italia, furono sempre presenti ai processi, e quando toccò lei testimoniare, senza un attimo di esitazione, guardarono dritto quelli degli esecutori e dei mandanti.
In questo video, l'intervista di Mauro Rostagno.



Gaetano Costa

fonte Wikipedia
Di lui scrisse un suo sostituto che era un uomo “di cui si poteva comperare solo la morte”.
Alle 19:30 del 6 agosto 1980, mentre passeggiava da solo ed a piedi, morì dissanguato sul marciapiede di via Cavour a Palermo. Al funerale parteciparono poche persone soprattutto pochi magistrati.[
Non va dimenticato che, pur essendo l'unico magistrato a Palermo al quale, in quel momento, erano state assegnate un'auto blindata ed una scorta, non ne usufruiva ritenendo che la sua protezione avrebbe messo in pericolo altri e che lui era uno di quelli che “aveva il dovere di avere coraggio”.
Nessuno è stato condannato per la sua morte ancorché la Corte di assise di Catania ne abbia accertato il contesto individuandolo nella zona grigia tra affari, politica e crimine organizzato.
Da molti settori, compresa la Magistratura, si è cercato di farlo dimenticare anche, forse, per nascondere le colpe di coloro che lo lasciarono solo e, come disse Sciascia, lo additarono alla vendetta mafiosa.
Il suo impegno fu continuato da Rocco Chinnici, allora tra i pochi che lo capirono e ne condivisero gli intenti e l'azione. E a cui, per questo, toccò la stessa sorte.

lunedì 5 agosto 2013

Fare Memoria: la Strage dell'Italicus. 4 agosto 1974.

La strage dell'Italicus: l' attentato terroristico compiuto nella notte del 4 agosto 1974 a San Benedetto Val di Sambro ( Bo)  
Tre giorni fa l’Italia si è fermata per commemorare la strage della stazione di Bologna. Quella commemorazione si accomuna a un altro tragico anniversario, quello della strage del treno Italicus, avvenuta nel 1974, anche quella agli inizi d’agosto Una strage ancora senza colpevoli, soprattuto senza mandanti! Questa come tutte le stragi perpetrate in Italia. 
Una strategia, quella delle stragi, nella quale i protagonisti paiono maschere, attori differenti che recitato tuttavia un copione che ha un identico fine: impedire o indirizzare i  cambiamenti della società italiana. Da Portella delle Ginestre alle stragi siciliane, una scia di sangue ha mietuto vittime innocenti e ignare, servitori dello stato, cittadini che compivano il loro dovere. 
Ignoti i mandanti, oramai chiaro l'obiettivo. Ancora oggi, possiamo starne certi, quei mandanti occupano stanze del potere oscuro che domina l'Italia, coperti da segreti inconfessabili, difesi da depistaggi e occultamento di prove, segreti di stato. Lo Stato. Quale Stato?
Si scelse il treno, la stazione ferroviaria, il mese di agosto, il periodo delle vacanze di quello che allora era un paese simbolo della produzione industriale ed economica, per compiere stragi orrende che avevano lo scopo di annichilire la società italiana, farla sentire in balia di un potere che non è mai stato al servizio del popolo italiano: la strage di Bologna, la strage del Rapido 904, la strage dell’Italicus.
Rimangono i nomi il  dolore delle famiglie distrutte dalla perdita degli affetti più cari, rimane lo scandalo di un Paese che non è capace di difendere la dignità dei suoi cittadini e la trasparenza delle sue istituzioni.

Fonte. del testo: Wikipedia
Una bomba ad alto potenziale esplose alle 1:23 nella vettura 5 dell espresso Roma.-Monaco di Baviera .Nell'attentato morirono 12 persone e altre 48 rimasero ferite.
La strage avrebbe avuto conseguenze più gravi, si ipotizza anche nell'ordine di centinaia di morti, se l'ordigno fosse esploso all'interno della grande galleria dell'Appenninonei pressi di San Benedetto Val di Sambro, come avvenuto dieci anni dopo nella strage del Rapido 904


Le indagini
L'attentato venne rivendicato dall'organizzazione Ordine Nero attraverso un volantino che dichiarava:
« Giancarlo Esposti è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per l'autunno; seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti. »
 I colpevoli della strage non sono mai stati individuati, ma la Commissione Parlamentare sulla Loggia P2 ha dichiarato in merito:
« Tanto doverosamente premesso ed anticipando le conclusioni dell'analisi che ci si appresta a svolgere, si può affermare che gli accertamenti compiuti dai giudici bolognesi, così come sono stati base per una sentenza assolutoria per non sufficientemente provate responsabilità personali degli imputati, costituiscono altresì base quanto mai solida, quando vengano integrati con ulteriori elementi in possesso della Commissione, per affermare: che la strage dell'Italicus è ascrivibile ad una organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscanache la Loggia P2 svolse opera di istigazione agli attentati e di finanziamento nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare toscana; che la Loggia P2 è quindi gravemente coinvolta nella strage dell'Italicus e può ritenersene anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale"
Relazione di maggioranza della Commissione Parlamentare sulla Loggia P2
Il processo si concluse con l'assoluzione generale di tutti gli imputati sebbene, stante l'impossibilità di determinare concretamente le personalità dei mandanti e dei materiali esecutori, la sentenza di assoluzione attesti comunque la correttezza dell'attribuzione della strage a Ordine Nero e a P2 definendo come pienamente comprovata una notevole serie di circostanze del tutto significative e univoche in tal senso, al punto da venire esplicitamente richiamata dalla Relazione della Commissione Parlamentare per via di circostanze relative alla strage dell'Italicus e indirizzanti verso l'eversione neofascista e la Loggia P2

Le vittime 
Elena Donatini (58)
Nicola Buffi (51)
Herbert Kotriner (35)
Nunzio Russo (49)
Marco Russo (14)
Maria Santina Carraro (47)
Tsugufumi Fukada (32)
Antidio Madaglia (70)
Elena Celli (67)
Raffaela Garosi (22)
Wìlbelmus Jacobus Hanema (20)
Silver Sirotti (25)

venerdì 2 agosto 2013

2 AGOSTO 1980. BOLOGNA. LA STRAGE ALLA STAZIONE

2 AGOSTO 1980   BOLOGNA 
Fare memoria. Ripetiamo quello che abbiamo già detto più volte: "Morti innocenti, delitti oscuri perpetrati da mani a cui abbiamo dato il nome di mafie, bande, terroristi, servizi segreti deviati, golpisti. E’successo e forse potrebbe succedere ancora: delitti commessi pensando che, in Italia, potesse servire “a qualcosa e a qualcuno” spargere sangue innocente, seminare paure e insicurezza per annientare persone, idee, valori".
Secondo quanto riporta "LA Repubblica" di oggi,  Paolo Bolognesi, l'attuale presidente dell’Unione Vittime Stragi, nell'ambito delle manifestazioni che si terranno oggi a Bologna per commemorare le vittime, pronuncerà dal palco un messaggio di ottimismo, almeno sul fronte delle agognate verità sinora negate. Secondo Paolo Bolognese, grazie alla tenacia di quanti in questi anni hanno proseguito le indagini dovendo superare depistaggi e strategie di occultamento di prove, pezzi di verità stanno emergendo e si sarebbe vicini a individuare addirittura i mandanti di quella strage.
 Oggi Bologna e l'Italia ricordano la strage alla Stazione e le sue vittime innocenti.



Cortometraggio disponibile per gentile concessione dell'Associazione tra i familiari delle vittime strage alla stazione di Bologna del 2 Agosto 1980.



fonte del testo
ASSOCIAZIONE TRA I FAMIGLIARI DELLE VITTIME DELLA STRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA 2 AGOSTO 1980

Il 2 agosto 1980, alle ore 10,25una bomba esplose nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione di Bologna. 
Lo scoppio fu violentissimo, provocò il crollo delle strutture sovrastanti le sale d'aspetto di prima e seconda classe dove si trovavano gli uffici dell'azienda di ristorazione Cigar e di circa 30 metri di pensilina. L'esplosione investì anche il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario.
Il soffio arroventato prodotto da una miscela di tritolo e T4 tranciò i destini di persone provenienti da 50 città diverse italiane e straniere.
Il bilancio finale fu di 85 morti e 200 feriti.(testimonianze di Biacchesi e da "Il giorno")
La violenza colpì alla cieca cancellando a casaccio vite, sogni, speranze.
Marina Trolese, 16 anni, venne ricoverata all'ospedale Maggiore, il corpo devastato dalle ustioni. Con la sorella Chiara, 15 anni, era in partenza per l'Inghilterra. Le avevano accompagnate il fratello Andrea e la madre Anna Maria Salvagnini. Il corpo di quest'ultima venne ritrovato dopo ore di scavo tra le macerie. Andrea e Chiara portano ancora sul corpo e nell'anima i segni dello scoppio. Marina morì dieci giorni dopo l'esplosione tra atroci sofferenze.

Angela Fresu, la vittima
più giovane  della strage
Maria Fresu si trovava nella sala della bomba con la figlia Angela di tre anni. Stavano partendo con due amiche per una breve vacanza sul lago di Garda. Il corpicino della piccola, la più giovane delle vittime, venne ritrovato subito. Solo il 29 dicembre furono riconosciuti i resti della madre.

Torquato Secci, impiegato alla Snia di Terni, venne allertato dalla telefonata di un amico del figlio Sergio, Ferruccio, che si trovava a Verona. Sergio lo aveva informato che a causa del ritardo del treno sul quale viaggiava, proveniente dalla Toscana, aveva perso una coincidenza a Bologna e aveva dovuto aspettare il treno successivo.
Poi non ne aveva più saputo nulla.
Solo il giorno successivo, telefonando all'Ufficio assistenza del Comune di Bologna, Secci scoprì che suo figlio era ricoverato al reparto Rianimazione dell'ospedale Maggiore.
"Mi venne incontro un giovane medico, che con molta calma cercò di prepararmi alla visione che da lì a poco mi avrebbe fatto inorridire", ha scritto Secci, "la visione era talmente brutale e agghiacciante che mi lasciò senza fiato. Solo dopo un po' mi ripresi e riuscii a dire solo poche e incoraggianti parole accolte da Sergio con l'evidente, espressa consapevolezza di chi, purtroppo teme di non poter subire le conseguenze di tutte le menomazioni e lacerazioni che tanto erano evidenti sul suo corpo".
Nel 1981 Torquato Secci diventò presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage.
La città si trasformò in una gigantesca macchina di soccorso e assistenza per le vittime, i sopravvissuti e i loro parenti.
I vigili del fuoco dirottarono sulla stazione un autobus, il numero 37, che si trasformò in un carro funebre.
E' lì che vennero deposti e coperti da lenzuola bianche i primi corpi estratti dalle macerie.
Alle 17,30, il presidente della Repubblica Sandro Pertini arrivò in elicottero all'aeroporto di Borgo Panigale e si precipitò all'ospedale Maggiore dove era stata allestita una delle tre camere mortuarie.
Per poche ore era circolata l'ipotesi che la strage fosse stata provocata dall'esplosione di una caldaia ma, quando il presidente arrivò a Bologna, era già stato trovato il cratere provocato da una bomba.
Incontrando i giornalisti Pertini non nasconse lo sgomento: "Signori, non ho parole" disse,"siamo di fronte all'impresa più criminale che sia avvenuta in Italia".
Ancora prima dei funerali, fissati per il 6 agosto, si svolsero manifestazioni in Piazza Maggiore a testimonianza delle immediate reazioni della città.
Il giorno fissato per la cerimonia funebre nella basilica di San Petronio, si mescolano in piazza rabbia e dolore.
Solo 7 vittime ebbero il funerale di stato.
Il 17 agosto "l'Espresso" uscì con un numero speciale sulla strage. In copertina un quadro a cui Guttuso ha dato lo stesso titolo che Francisco Goya aveva scelto per uno dei suoi 16 Capricci: "Il sonno della ragione genera mostri". Guttuso ha solo aggiunto una data: 2 agosto 1980.
Cominciò una delle indagini più difficili della storia giudiziaria italiana.
 Marina Gamberini appena estratta dalle macerie della stazione di Bologna. 
Una delle immagine-simbolo della strage di Bologna. 
Nella strage Marina ha perso sei colleghe e per anni ha combattuto contro il senso di colpa
“perché io ero viva e le mie colleghe no?" 

l'urlo disperato di una donna sopravvissuta alla strage