venerdì 26 giugno 2020

Anche per Bruno Caccia si deve chiedere Verità e Giustizia.

“Vogliamo conoscere la verità”. 

Era quanto chiedevano i figli di Bruno Caccia nel trentennale dell'uccisione del procuratore capo di Torino. Anche per Bruno Caccia, ucciso il 26 giugno 1983 a  Torino, si deve ancora chiedere Verità e Giustizia

Bruno Caccia è l'unico magistrato ucciso dalle mafie al di fuori delle regioni meridionali.  Nella sentenza di condanna di Domenico Belfiore, referente di primo piano per le ‘ndrine calabresi in Piemonte, di Bruno Caccia  i magistrati scriveranno: «Egli [Bruno Caccia, nda], poté apparire ai suoi assassini eccessivamente intransigente soltanto a causa della benevola disposizione che il clan dei calabresi riconosceva a torto o a ragione in altri giudici. Perché questo clan aveva ottenuto in quegli anni la confidenza o addirittura l’amicizia di alcuni magistrati».

Nei mesi scorsi le parole pronunciate nel corso dell'audizione nella Commissione Legalità del Comune di Torino dall'avvocato Fabio Repici, legale della famiglia del procuratore capo Bruno Caccia ucciso il 26 giugno 1983, suonavano come un atto d'accusa nei confronti di una regione, il Piemonte, che mostra di aver smarrita, dimenticata, persino oltraggiata, l'eredità e la memoria di Bruno Caccia. Così si è espresso Fabio Repici: "Credo che il delitto Caccia vada riqualificato col termine di cospirazione, che qualifica i delitti che vedono contributi plurimi mirati allo stesso fine. Il caso classico è l'omicidio Kennedy e l'omicidio Caccia fu una cospirazione più o meno con analoghe caratteristiche". Il legale è tornato a parlare di "lacune" dell'attività di indagine e giudiziaria che fanno sì che "dopo 37 anni non conosciamo i nomi dei due killer e non conosciamo esattamente le ragioni né l'identità di tutti i mandanti". Repici ha aggiunto che "quello di Caccia è l'omicidio più importante e delicato nella storia torinese, l'unico procuratore distrettuale ucciso fuori dalla Sicilia, e un delitto così delicato avrebbe dovuto implicare l'impegno massimo di tutte le istituzioni che avessero un ruolo per far qualcosa di utile per accertamento della verità. La verità in archivio non può andare", ha concluso Repici definendo "uno sfregio alla memoria di Caccia che queste lacune vengano tuttora mantenute".

Parole che ribadivano quanto già dichiarato in passato dallo stesso Francesco Saluzzo, procuratore generale del Piemonte e considerato “l'allievo” di Caccia: secondo Francesco Saluzzo l'omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia fu la controffensiva scatenata da un sistema di poteri composto da intoccabili, 'ndranghetisti, criminali e figure ambigue che beneficiavano della complicità o della non opposizione di magistrati opachi per non dire di peggio". 


«I cittadini hanno diritto di conoscere la verità su ciò che è successo». Questo l’appello di Guido, Paola e Cristina Caccia, figli di Bruno Caccia, ucciso il 26 giugno 1983 dalla `ndrangheta, contenuto nella lettera aperta che avevano indirizzata alla Città di Torino nel trentennale della morte del giudice.  La commemorazione dello scorso anno iniziativa, dicevano i figli di Bruno Caccia, «onora la memoria di nostro padre e ci fa profondamente piacere», ma che non può ridursi soltanto a retorica: serve, sostengono, una «analisi storica». 
«Ciò che durante questi trent’anni sta diventando sempre più chiaro, è che l’assassinio di Bruno Caccia non è stato solo un gesto isolato, progettato in autonomia da un boss locale, l’unico condannato, e compiuto dalla mano di due sicari ancora oggi sconosciuti, ma è stato qualcosa di più complesso, un delitto commesso non tanto e non solo perché Bruno Caccia era un magistrato integerrimo, quanto per tutelare concretamente gli enormi interessi che dal suo operato potevano essere messi a rischio. (...) Torino è città-laboratorio, sarebbe bello che, ricordando il sacrificio di nostro padre, diventasse da quest’anno anche un laboratorio di verità».  

Bruno Caccia
Bruno Caccia aveva iniziato la sua carriera in magistratura nel 1941 nel Palazzo di giustizia torinese. Nel capoluogo piemontese rimase sino al 1964 ricoprendo la carica di Sostituto Procuratore, per poi passare ad Aosta come Procuratore della Repubblica. Nel 1967 Caccia ritornò nelle aule torinesi con l’incarico di sostituto Procuratore della Repubblica. Nominato nel 1980 Procuratore della Repubblica di Torino, si occupò di indagare sulle violenze ed i pestaggi che all'epoca puntualmente si verificavano in occasione di ogni sciopero. Come ricorda l'allora suo collega Marcello Maddalena: "Fu, nel settore, il primo segno di presenza dello Stato dopo anni di non indolore assenza". Le indagini di Bruno Caccia si indirizzarono quindi sui terroristi delle Brigate Rosse e Prima Linea e fu lui a condurre le indagini sui primi grandi scandali italiani che coinvolgevano"(...) i grandi petrolieri e i generali delle Fiamme Gialle corrotti, i politici torinesi della prima tangentopoli di Adriano Zampini, gli uomini della Fiat e le mafie trapiantate al Nord". Così Nicola Gratteri ricorda la figura di Bruno Caccia nel libro "Fratelli di sangue". 
Indagini che, come accerterà la storia processuale, dovettero rivelarsi così incisive da decretare la condanna a morte di Bruno Caccia. Ad oggi, Bruno caccia rimane l'unico giudice ucciso per mano delle mafie fuori dalle terre di Sicilia e Calabria. 
E' solo mafia? 
"Vogliamo conoscere la verità", proclamavano i figli del giudice assassinato


l'assassinio di Bruno Caccia
Il 26 giugno 1983, Bruno Caccia si era recato con la famiglia fuori città rientrando a Torino soltanto nella serata. Essendo una domenica, aveva deciso di lasciare a riposo la propria scorta. La decisione facilitò il compito ai sicari della 'ndrangheta. Verso le 23,15 mentre Bruno Caccia portava da solo a passeggio il proprio cane, in via Sommacampagna  venne affiancato da una macchina con due uomini a bordo. Questi, senza scendere dall'auto, spararono 14 colpi e, per essere certi della morte del magistrato, lo finirono con 3 colpi di grazia.

Le indagini
Dapprima le indagini presero la via delle Brigate Rosse: erano quelli gli "anni di piombo" e diverse indagini di Bruno Caccia avevano riguardato proprio brigatisti. Il giorno seguente, le Brigate Rosse rivendicarono l'omicidio, ma presto si scoprì che la rivendicazione risultava essere falsa. Inoltre nessuno dei brigatisti in carcere rivelò che fosse mai stato pianificato l'omicidio del magistrato cuneese. Le indagini puntarono allora l'attenzione sui neofascisti del NAR, ma anche questa pista si rivelò ben presto infondata. L'imbeccata giusta arrivò da un mafioso in galera, Francesco Miano, boss della cosca catanese che si era insediata a Torino. Grazie all'intermediazione dei servizi segreti, Miano decise di collaborare per risolvere il caso e raccolse le confidenze del 'ndranghetista Domenico Belfiore, uno dei capi della 'ndrangheta a Torino, anch'egli in galera. Belfiore ammise che era stata la 'ndrangheta ad uccidere Bruno Caccia e il motivo principale fu che "con il procuratore Caccia non ci si poteva parlare", come disse lo stesso Belfiore. Una frase inquietante al punto che i magistrati nella sentenza di condanna di colui che era diventato un referente di primo piano per le ‘ndrine calabresi in Piemonte, scriveranno «Egli [Bruno Caccia, nda], poté apparire ai suoi assassini eccessivamente intransigente soltanto a causa della benevola disposizione che il clan dei calabresi riconosceva a torto o a ragione in altri giudici. Perché questo clan aveva ottenuto in quegli anni la confidenza o addirittura l’amicizia di alcuni magistrati».

Palazzo di Giustizia "Bruno caccia" - Torino
A Bruno Caccia sono stati intitolati il Palazzo di Giustizia di Torino, il 26 giugno 2001, e il cascinale "Cascina Bruno e Carla Caccia",  a San Sebastiano da Po, sulle colline torinesi, gestito dall'associazione Libera,. Il cascinale fu sequestrato proprio alla famiglia Belfiore, più precisamente a Salvatore Belfiore, fratello di Domenico, grazie alla legge 109/96.

Aggiungi didascalia

lunedì 15 giugno 2020

comunicato stampa inerente il confronto del 10 giugno fra Associazioni e Amministratori locali sul futuro della ferrovia Pinerolo-Torre Pellice


L'incipit è sempre lo stesso: "Continuiamo ad occuparci di gestione del territorio poiché, a nostro parere, questo può rappresentare un indicatore utile ad individuare gli scopi, gli indirizzi,  il “progetto generale” che guida e determina non solo il carattere di una amministrazione locale ma anche della sua comunità. Non solo: avere cura e amore per i territori è un primo ma fondamentale strumento per opporsi a "mafie e pensiero mafioso".

Torniamo ad occuparci della difesa della linea ferroviaria Pinerolo-Torre Pellice perché, dopo quasi un mese e mezzo di attesa, il 10 giugno scorso si è potuto svolgere l'incontro fra le associazioni che si battono per la riattivazione della linea ferroviaria e gli Amministratori locali. Di seguito il comunicato delle associazioni: 



Il confronto, svoltosi nella sala polivalente “Giorgio Odetto” di Rorà, è stato costruttivo e sono state rese note dai presenti le posizioni e le conoscenze sull’argomento. 
Gli Amministratori locali hanno detto di avere ancora interesse per il treno e hanno tenuto a sottolineare il fatto che sino ad ora tutte le loro prese di posizione ufficiali sono andate in tale direzione. Ma dopo alcune riunioni in cui il neo Assessore regionale ai trasporti ha comunicato loro l’intenzione di non voler riattivare la linea, hanno preferito fare un passo indietro, nella speranza di ottenere almeno una soluzione di ripiego alternativa all’abbandono, senza però avere alcuna certezza sulla proposta da presentare e sul suo esito. In quel momento erano però all’oscuro di quanto previsto dagli atti della gara d’appalto vinta da Trenitalia che prevedono la riattivazione della tratta ferroviaria, e del fatto che la Regione ha già impegnato le somme necessarie a tale scopo. A seguito del confronto di Rorà, sembra che gli Amministratori locali vogliano comunque procedere con lo studio di fattibilità, ancora ad uno stadio molto embrionale, su una proposta di mobilità alternativa, per onorare l’impegno preso con l’Assessore Gabusi, ma hanno anche intenzione di ritrovarsi nuovamente per discutere sulle proposte portate avanti dalle associazioni.

Le associazioni hanno spiegato come e perché Trenitalia abbia ritenuto economicamente sostenibile il ripristino del servizio ferroviario sulla Pinerolo-Torre Pellice (e per questo motivo l’ha proposto nella sua offerta alla Regione Piemonte) e l’inesistenza di motivazioni valide che permettano all’Assessore regionale di dirottare le risorse destinate alla mobilità del nostro territorio ad un’altra area del Piemonte, oltre tutto in contrasto con gli atti della gara d’appalto. Inoltre Le associazioni sottolineano che in un’epoca in cui è sempre più chiara l’importanza della lotta al cambiamento climatico, del perseguimento della transizione energetica e della riduzione dell’inquinamento atmosferico, non è più pensabile continuare a basare la mobilità della Valle su autobus inefficienti che congestionano il traffico (110 corse al giorno sulla direttrice per Pinerolo) o sull’uso del mezzo privato (16.000 auto al giorno in transito alla rotatoria di Luserna). Un trasporto pubblico locale inefficiente ha ripercussioni importanti dal punto di vista ambientale, sociale ed economico:

  • ad oggi, non esistono mezzi di trasporto che siano una valida alternativa al treno dal punto di vista della sostenibilità ambientale e dell’efficienza energetica.

  • si ritiene che proporre ipotesi di mobilità alternativa in questo momento, in cui si è ad un passo dalla riattivazione della linea, sia altamente controproducente, non essendoci tra l’altro alcuna garanzia di ottenere in tempi brevi alcunché di sostitutivo.

  • Il servizio su rotaia sicuramente può e deve essere migliorato per rispondere alle vere esigenze di spostamento verso Pinerolo e Torino, ma solo con il treno si avrà la garanzia di un futuro della mobilità di Valle rispettosa dell’ambiente.

Le associazioni hanno quindi invitato le Amministrazioni locali a perseguire insieme i seguenti due obiettivi:

1) Richiedere tempestivamente, con forza e in modo compatto, senza dare adito ad ipotesi di frammentazione del territorio, l’immediato ripristino del servizio ferroviario sulla linea  Pinerolo-Torre Pellice, come previsto dalla gara d’appalto aggiudicata a Trenitalia, perché economicamente sostenibile e già finanziato dalla Regione.

2) Istituire gruppi di lavoro, a cui le associazioni proponenti sono disponibili a partecipare sin da subito, che prevedano studi e azioni volte a rendere afferente al treno di Valle la mobilità attualmente sconnessa o parallela.

Le associazioni non escludono a priori l’eventuale redazione di uno studio di fattibilità su un mezzo alternativo al treno, ma sono consce che anche in caso di individuazione di una nuova soluzione per la mobilità della Valle una sua eventuale realizzazione richiederebbe tempi molto lunghi, superiori alla durata dell’attuale contratto con Trenitalia, quindicennale, e investimenti elevati.


i circoli di LEGAMBIENTE:

-circolo Val Pellice

-circolo Pinerolo

-circolo Barge

-circolo greenTO

-Legambiente Piemonte-VdA

COMITATO TRENOVIVO

ASSOCIAZIONE FERROVIE PIEMONTESI

PROGETTO TRATTOXTRATTO

SALVAICICLISTI PINEROLO

ASSOCIAZIONE “RITA ATRIA” PINEROLO

OSSERVATORIO 0121-SALVIAMO IL PAESAGGIO

ASS. INVALPELLICE

FRIDAYS FOR FUTURE Val Pellice Pinerolo



domenica 7 giugno 2020

"Il treno interessa ai Pinerolesi!" Lettera aperta delle associazioni in replica a Luca Salvai, sindaco di Pinerolo.


L'incipit è sempre lo stesso: "Continuiamo ad occuparci di gestione del territorio poiché, a nostro parere, questo può rappresentare un indicatore utile ad individuare gli scopi, gli indirizzi,  il “progetto generale” che guida e determina non solo il carattere di una amministrazione locale ma anche della sua comunità. Non solo: avere cura e amore per i territori è un primo ma fondamentale strumento per opporsi a "mafie e pensiero mafioso".

Come aveva facilmente predetto Alberto Maranetto, vice-direttore dell'Eco del Chisone,  i contenuti dell'intervista a Luca Salvaisindaco di Pinerolo, non hanno mancato di suscitare sconcerto fra coloro che hanno a cuore il "bene essere" del nostro territorio. Luca Salvai, giunto alla "campanella" dell'ultimo anno dal termine del suo mandato amministrativo, nell'intervista si produce infatti in una serie di "giravolte" che paiono sconfessare le posizioni dichiarate -solo quattro anni orsono- su punti significativi del programma elettorale in virtù del quale era stato eletto. 

Nel programma del M5S pinerolese si legge infatti: "(...) Il pinerolese nell'ultimo decennio è stato un territorio abbandonato a se stesso. La crisi dell'industria è stata accompagnata da pesanti perdite di servizi fondamentali non solo per la città di Pinerolo, ma per tutto il territorio. Ad una situazione di crescente disoccupazione, si è associata la perdita del Tribunale, il progressivo depotenziamento dell'Ospedale E. Agnelli", la perdita della Camera di Commercio, la perdita del Nizza Cavalleria, la soppressione della linea ferroviaria Pinerolo-Torre(...). 

Per quanto riguarda l'urbanistica, l'edilizia, così  dichiarava il M5s pinerolese: "(...) può dirsi cessato l’aumento demografico della Città e il conseguente sviluppo urbanistico: a Pinerolo non servono più nuovi condomini. La quantità di invenduto è tale da coprire un incremento della popolazione che mai vedremo.(...)". 

Sembra esser passato "un secolo", tanto lontane e opposte appaiono ora le azioni tratteggiate da Luca Salvai nell'intervista . Oltre alla coerenza col programma elettorale ( è solo una questione di etica politico-partitica?) quel che ci preoccupa è il fatto che il contenuti dell'intervista contrastano alcuni dei cardini della difesa e della sostenibilità ambientale, obiettivo imprescindibile di qualsivoglia pratica politica lungimirante: fra quelle, la priorità da dare all'uso e sviluppo di mezzi di trasporto "virtuosi", il treno primo fra tutti; la riduzione del "consumo di suolo", "mangiato" dalla speculazione edilizia.  

Pertanto, a partire dalle parole di Salvai il quale afferma testualmente "(...) credo che la tratta  a Pinerolo non interessi a nessuno e in Val Pellice a pochi (...)", le associazioni che si stanno impegnando a difesa della linea ferroviaria hanno sentito il bisogno di esprimersi con la lettera il cui testo riportiamo integralmente e con l'info-grafica che segue: 

La lettera delle associazioni

Egregio Direttore

Abbiamo appreso, nell’intervista al vostro giornale, cosa pensa il Sindaco di Pinerolo sulla ferrovia Pinerolo-Torre Pellice. Finalmente, dopo vari incontri tra Sindaci e con l’assessore ai trasporti della Regione Piemonte, di cui la cittadinanza è stata informata solo dai giornali locali, è il primo Sindaco che si esprime pubblicamente, forse anche in virtù della campagna sulla linea fatta dalle associazioni del territorio in difesa della linea ferroviaria Pinerolo-Torre Pellice. 

La concessione a Trenitalia del servizio di trasporti metropolitano, di cui fa parte la linea Torino Torre Pellice, contiene il ripristino della linea Pinerolo-Torre Pellice con l’istituzione di 12 coppie di treni  ma anche il miglioramento della Pinerolo-Torino con ben 7 diretti  ed il trasporto gratuito delle biciclette in molte fasce orarie.

E’ abbastanza stupefacente affermare che questa linea non interessi a chi abita a Pinerolo per almeno quattro ragioni specifiche:

1) il miglioramento del collegamento tra Pinerolo e Torino con i treni diretti, che potrebbero perdere la loro utilità trasportistica se non ci sarà il prolungamento della linea;

2) le corse del treno potrebbero eliminare circa 100 pullman che entrano in Pinerolo e attraversano la città tutti i giorni (se si facesse in futuro una razionalizzazione anche per le linee che arrivano da Barge, con attestamento dei pullman alla fermata di Bibiana potrebbero essere molti di più); indubbiamente la qualità dell’aria della città viene migliorata, con conseguente riduzione di agenti inquinanti e polveri sottili;

3) molti pendolari della val Pellice, vista la scarsa qualità del servizio offerta dai bus, preferiscono prendere il treno per Torino a Pinerolo Olimpica; anche in questo caso avremo meno intasamento in Pinerolo.

4) la linea verso la val Pellice con la possibilità del treno+bici promuoverebbe il turismo di prossimità.  Pinerolo non può non essere interessata!

Per quanto riguarda lo sviluppo urbanistico della città, è facile obiettare che non lo si può progettare a favore di interessi di singole aree urbanistiche, prevalentemente private, ma a scapito di un sistema di trasporto collettivo e pubblico che ha in assoluto il minor impatto ambientale.

Inoltre l’eliminazione della linea ferroviaria in Pinerolo è condizionata dalla linea elettrica che dalla sottostazione di Bricherasio alimenta la linea Pinerolo-Torino, la cui eliminazione comporterebbe lo spostamento della sottostazione in Pinerolo. Forse sarebbe più funzionale, invece di eliminare la linea, istituire una fermata a servizio delle nuove zone urbanizzate.

Le associazioni:

Legambiente Circolo Pinerolo

Salvaiciclisti Pinerolo

Ass. Rita Atria Pinerolo

Osservatorio 0121-Salviamo il paesaggio

Legambiente Circolo Valpellice - Circolo Barge - Circolo greenTO

Legambiente Piemonte-VdA

Comitato Trenovivo

Associazione Ferrovie Piemontesi

Progetto Trattoxtratto

Ass. Invalpellice

FFF Val Pellice

FFF Pinerolo

FIAB Torino Bici&Dintorni


lunedì 1 giugno 2020

George Floyd e Kareem Abdul-Jabbar

Kareem Abdul-Jabbar, leggenda del basket mondiale, strappa la maschera dell'ipocrisia a coloro che giudicano "la tempesta" - l'uccisione a sangue freddo di un essere umano, la rivolta che ne segue- chiusi al riparo sicuro di più o meno comode esistenze: "(...) ciò che vedete quando volgete lo sguardo verso i manifestanti neri, dipende da dove vi trovate: se siete in quel palazzo ardente o piuttosto lo guardate dallo schermo della tv con una vaschetta di pop-corn mentre attendete l'inizio del prossimo episodio di NCIS". 

Assume valore universale la condizione posta da Kareem Abdul-Jabbar: "ciò che vedete quando volgete lo sguardo (verso i manifestanti neri), dipende da dove vi trovate..."

Kareem Abdul-Jabbar: Qual è stata la vostra prima reazione quando avete visto il video del poliziotto bianco inginocchiato sul collo di George Floyd mentre lui con voce rauca diceva “non posso respirare”?

Se siete bianchi avete probabilmente mormorato disgustati “Oh mio Dio” mentre scuotevate la testa davanti a un’ingiustizia crudele.

Se siete neri probabilmente vi siete inginocchiati, avete imprecato, forse avete lanciato qualcosa per aria (e sicuramente avreste voluto farlo) mentre gridavate: “Non di nuovo, cazzo”.Poi vi siete ricordati dei due vigilanti bianchi accusati dell’omicidio di Ahmaud Arbery mentre faceva jogging nel loro quartiere a febbraio e di come, se non fosse stato per quel video uscito qualche settimana fa, l’avrebbero fatta franca. E di come quei poliziotti bianchi a Minneapolis avessero detto che Floyd stava resistendo all’arresto, salvo poi essere smentiti dai video delle telecamere di un negozio. E di come il poliziotto sul collo di Floyd non fosse esattamente lo stereotipo di un redneck arrabbiato, ma un ufficiale che sembrava calmo e senza pietà. La ‘banalità del male fatta persona’.Vi rendete conto che non è semplicemente un presunto criminale nero che viene preso di mira, ma tutti i neri. Vi iniziate a chiedere se non debbano essere tutte le persone nere a indossare delle body-cam, e non i poliziotti.

Cosa vedete quando vedete le persone nere che protestano arrabbiate fuori ad una stazione di polizia con il pugno alzato?

Se siete bianchi probabilmente pensate “Beh, sicuramente non mantengono il distanziamento sociale”. Poi vedete le persone nere che saccheggiano i locali e pensate, “questo fa sicuramente male alla loro causa”. Poi vedete la stazione di polizia che va a fuoco, scuotete il dito e pensate: "La questione sta andando nella direzione sbagliata".

Non avete torto, ma non avete nemmeno ragione.

La comunità nera è abituata a quel razzismo connaturato nei sistemi dell'istruzione, della giustizia e del lavoro, e per quanto siamo impegnati in tutte quelle attività che puntano alla sensibilizzazione politica e dell'opinione pubblica - scriviamo analisi articolate e piene di significato su The Atlantic, spieghiamo alla CNN lo stato di devastazione continua che viviamo, supportiamo i candidati che promettono il cambiamento - praticamente non cambia nulla. Il virus ha amplificato le conseguenze di tutto questo: i nostri tassi di mortalità sono significativamente più alti di quelli dei bianchi, siamo i primi a perdere il lavoro e restiamo a guardare indifesi mentre i repubblicani cercano di non farci votare.

Proprio ora che il ventre molle del razzismo istituzionale emerge chiaramente, sembra che sia aperta la stagione della caccia contro i neri. E se mai ci fosse stato qualche dubbio, il presidente Trump con i suoi recenti tweet ha confermato l’orientamento istituzionale nel chiamare criminali i manifestanti e nel ritenere giusto che si possa sparare ai saccheggiatori.

Certo, spesso le proteste vengono strumentalizzate da qualcuno che ne trae profitto, come accade quando i tifosi celebrano la vittoria della loro squadra dando fuoco alle auto e distruggendo i negozi. Io non voglio vedere negozi saccheggiati o palazzi bruciare, ma la comunità nera vive da anni in un palazzo ardente, venendo soffocata dal fumo mentre le fiamme si fanno sempre più vicine.

Il razzismo in America è come la polvere nell’aria: sembra invisibile, anche se ti sta soffocando, fino a quando non permetti al sole di entrare. Allora, ti accorgi che è tutta intorno a te. Finché saremo in grado di mantenere viva quella luce, potremo fare pulizia e spazzare via quella polvere ovunque si posi. Ma occorre rimanere vigili, sapendo che resterà sospesa nell'aria.
Pertanto, forse la maggiore preoccupazione della comunità nera in questo momento non è se chi protesta sta a uno o due metri di distanza dall'altro, o se alcune anime disperate rubano delle magliette o persino mettono a fuoco una stazione della polizia. Piuttosto è se i loro figli, mariti, fratelli e padri saranno uccisi da poliziotti o aspiranti tali semplicemente perché si trovano in strada a camminare, a correre o a guidare. O se essere nero vuol dire rifugiarsi a casa per il resto della loro vita perchè il virus del razzismo che infetta la nazione è più letale del virus.

Ciò che dovreste vedere quando volgete lo sguardo verso i neri che protestano nell'epoca di Trump e del virus sono persone arrivate al limite non perchè chiedono che siano riaperti i bar e o i centri estetici, ma perchè vogliono vivere. Vogliono respirare.

E la cosa peggiore è che si pensa che noi dobbiamo giustificare la nostra indignazione ogni volta che il calderone ribolle. Circa 70 anni fa Langston Hughes si chiedeva nella sua poesia "Harlem" "Cosa succede ad un sogno rimandato? Forse affonda come un carico pesante oppure esplode?"

Cinquant'anni fa, in Inner City Blues, Marvin Gaye cantava: "Il modo in cui manipolano la mia vita mi fa venire voglia di urlare". E oggi, nonostante i discorsi appassionati di benintenzionati leader politici, bianchi o neri che siano, vogliono toglierci la voce, rubarci il respiro. Dunque, ciò che vedete quando volgete lo sguardo verso i manifestanti neri, dipende da dove vi trovate: se siete in quel palazzo ardente o piuttosto lo guardate dallo schermo della tv con una vaschetta di pop-corn mentre attendete l'inizio del prossimo episodio di NCIS.

Non voglio che si arrivi a giudizi affrettati. Ciò che mi interessa è che si vada spediti verso la giustizia”.

Kareem Abdul Jabbar insieme a Kobe Briant
Kareem Abdul Jabbar insieme a Kobe Briant