martedì 15 luglio 2014

Michela Murgia: "La sfida dei vecchi di oggi è trovare modi liberi per mettersi a servizio degli adulti di domani".

Riportiamo l'intervento che MICHELA MURGIA ha fatto a "Next - La Repubblica degli innovatori" il 10 luglio 2014 nella  sesta tappa del tour curato da Riccardo Luna: "sognatori, scienziati e inventori si sono alternati sul palco di Cagliari per raccontare la loro storia e la loro idea di futuro". 
Michela Murgia, donna-sarda-scrittrice, ha provato a tracciare il ritratto dell'Italia dei nostri giorni: "un paese di vecchi", nel quale la speranza di innovazione vera è quella di un cambiamento radicale a partire dalla vita nella società-comunità, dalla scuola. Altrimenti, soprattutto per i giovani, l'unica speranza (oscena) sembra essere il familismo amorale dei "potenti di turno" che -quando dicono di pensare per "i nostri figli"- in realtà pensano   proprio e solo ai "loro figli"!. 
"Ci occorrono incubatori di cuori, di anime, di speranze, di coraggio, luoghi in cui possano essere trasmessi quei saperi non produttivi che fanno di noi persone libere, cittadini responsabili e consapevoli. La sfida dei vecchi di oggi è trovare modi liberi per mettersi a servizio degli adulti di domani".
 
il pubblico di Piazza Palazzo a Cagliari
"Prima dello start up, c'è il live-up" MICHELA MURGIA 

Quando parliamo di innovazione dobbiamo pensare che lo stiamo facendo in un paese di vecchi, dove la parola vecchio non ha alcun significato denigratorio, ma è un puro dato socio-anagrafico. Da quel punto di vista siamo tutti vecchi qui, lo sono anche io che ho 42 anni, perché la Sardegna ha il tasso di natalità più basso d'Italia dopo il Molise e l'Italia stessa, con nove nati all'anno ogni mille abitanti, è vecchia ora ed è destinata a invecchiare ulteriormente.
Chi si preoccupa di questi tassi di natalità fa spesso un discorso di sostenibilità dei servizi di base: avere meno giovani vuol dire avere meno persone in età lavorativa che possono pagare le tasse per garantire lo stato sociale. Se non facciamo figli la mutua e la scuola gratuita ce la scorderemo, ci dicono. È vero, ma non è questo quello che dovrebbe farci più paura.
Dietro questi dati c'è l'evidenza che vivere in un paese di vecchi significa vivere in un paese di persone anziane che votano e che con il voto trasferiscono i loro bisogni nelle scelte degli investimenti di uno stato intero, orientandole alla conservazione.
Un popolo che ha più passato alle spalle che futuro davanti non può essere altro che conservatore: è una questione di bisogni. Chi è anziano si ammala di più e vuole ospedali e case di cura, non asili nido; possiamo stupirci se voterà chi gliele promette? Chi è anziano è più fragile e ha più paura della criminalità, del dissenso, del cambiamento; vuole investimenti in sicurezza sociale, non in scuole, e voterà chi glieli promette.
Non possiamo confidare nella generosità intergenerazionale, perché chi sente di avere poche risorse sviluppa un fortissimo egoismo sociale e progetterà il mondo a misura di sé e al massimo dei propri figli: dei figli di tutti gli importerà sempre meno.
In questo contesto non importa quanto è giovane il capo di un governo: se il suo consenso è mantenuto sul voto di una maggioranza che ha queste esigenze, le scelte politiche non potranno che andare in questa direzione. È quindi in questo contesto - vecchio, conservatore e destinato a radicalizzare questa posizione - che oggi parliamo di innovazione, anche relativamente al concetto di formazione.
La scuola come la conosciamo svanirà, sta già svanendo. Le ragioni le conosciamo: gli accorpamenti a tavolino su base puramente numerica, le cosiddette riforme che da destra e da sinistra hanno svilito socialmente ed economicamente il ruolo degli insegnanti, la programmazione obsoleta, il calo progressivo degli investimenti e la scarsa cultura di rete sono solo alcune delle cause che l'hanno minata alla base della sua funzione. Oggi la scuola pubblica è eroicamente tenuta in piedi da chi la vive, ma la solitudine in cui è stata lasciata l'ha resa inadeguata a rispondere alle sfide di un presente sempre più rapido nei suoi cambiamenti. Il risultato è che chi esce oggi dalla scuola dell'obbligo italiana sa forse dieci cose in più di quelle che gli serve sapere, ma è quasi sempre privo degli strumenti per acquisire quelle che gli serviranno.
Fuori dalle pericolanti mura scolastiche i ragazzi e le ragazze sono soli, abbandonati a sé stessi in un paese che ha già fatto strame delle ultime quattro generazioni di laureati e diplomati. I loro bisogni saranno diversi da quelli dei vecchi, cioè dai nostri, ma loro davanti a noi saranno sempre una minoranza, anzi essi sono già la minoranza del presente, progressivamente privata del diritto a sperare.
Se tra i vecchi a cui appartengo ci sono anche uomini e donne che non vogliono rassegnarsi al destino di morire conservatori, che risposta saranno capaci di dare al futuro di questi ragazzi?
Uno dei modi è organizzare liberamente, fuori dal recinto istituzionale, un nuovo concetto di rete sociale tra generazioni. Non facciamo figli? Ok. Perchè questo dovrebbe impedirci di fare un investimento di tempo e di relazione sui figli altrui? Se la formazione è relazione, il primo nodo da risolvere è quello della solitudine sociale che i ragazzi sperimentano una volta messo piede fuori dalla scuola, una solitudine che i loro genitori sono spesso altrettanto disarmati a risolvere.
Chi tra noi oggi vuole aiutare il percorso di un giovane, offrirgli saperi e risorse, aiutarlo a orientarsi e sostenerlo nel suo percorso che strade istituzionali ha? Nessuna.
Chi tra i ragazzi oggi cercasse un riferimento adulto per capire, conoscere, intraprendere e crescere nel suo percorso, che strade istituzionali ha? Nessuna.
Ma un paese che non prevede reti di supporto tra le generazioni come fa a sviluppare responsabilità sociale al di fuori dal sistema-famiglia?
Un paese incapace di mettere in relazione la scuola propria delle istituzioni con la scuola impropria dei saperi e dei valori sociali può sviluppare al massimo le reti del “familismo amorale”, quello dove le risorse e le regole sono messe a servizio dei miei figli, privilegiati senza merito di cui -non a caso!- sono pieni i luoghi di comando d'Italia, a qualunque livello.
Gli incubatori d'impresa sono importanti e se ne parla tanto e giustamente, ma non ci bastano: non esistono solo le imprese. Prima delle imprese ci sono le persone, che vanno messe in grado di progettarsi. 
Prima dello start up, c'è il live-up.
Ci occorrono incubatori di cuori, di anime, di speranze, di coraggio, luoghi in cui possano essere trasmessi quei saperi non produttivi che fanno di noi persone libere, cittadini responsabili e consapevoli. La sfida dei vecchi di oggi è trovare modi liberi per mettersi a servizio degli adulti di domani.





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