giovedì 24 gennaio 2013

Prosegue a Torino il Processo Minotauro: a cena con la 'ndrangheta


Quelle cene elettorali con la ’ndrangheta. La collaboratrice di giustizia Rosetta Todaro  ripercorre i rapporti tra il clan Iaria e alcuni politici piemontesi

Torino. l'aula bunker al Lorusso-Cotugno
Fonte: LA STAMPA
MASSIMILIANO PEGGIO
Caterina Ferrero
Fabrizio Bertot
«Giovanni e Bruno parlavano spesso di politica e votazioni. Portavano i santini agli amici e dicevano chi votare. Mi ricordo i santini di Fabrizio Bertot. In occasione di una campagna elettorale siamo andati al ristorante Mandracchio di Rivarossa, dove c’era Caterina Ferrero. C’erano 150 persone, tanti calabresi. Dopo la presentazione della Ferrero ci siamo messi a mangiare, gli uomini da una parte, le donne d’altra».  

Giovanni e Bruno fanno Iaria di cognome. Sono zio e nipote, condannati lo scorso ottobre a 7 e 13 anni di carcere con rito abbreviato nel primo atto di Minotauro. A raccontare i retroscena della famiglia Iaria è Rosetta Todaro, compagna di Bruno fino all’estate 2011 quando, per amore della loro figlia Giulia, ha deciso di diventare collaboratrice di giustizia, mentre lui era in carcere. È stata lei ieri la protagonista del processo Minotauro: per quasi 8 ore ha risposto da un luogo protetto alle domande del pm Dionigi Tibone, in videoconferenza. A fine udienza è stata messa «ko» dal controesame dei difensori degli imputati. Si è sentita male quando l’avvocato Carlo Romeo, ultimo a prendere la parola, l’ha incalzata ripercorrendo i suoi ricordi. «Signora, lei ha detto di essere andata in carcere da Bruno per...». La frase del legale è arrivata diretta al di là del microfono: Rosetta, 52 anni, tre infarti alle spalle, s’è accasciata. È stata soccorsa dagli uomini di scorta, poi il collegamento si è interrotto costringendo il presidente del collegio, il giudice Paola Trovati, a sospendere l’esame.  

Nevio Coral
 Si è chiusa così, con un colpo di scena, la giornata processuale del maxiprocesso alla ’ndrangheta, dopo ore di racconti criminali, cocaina a fiumi, pistole nascoste tra la biancheria della piccola Giulia e in cucina, soldi. Ma anche rivelazioni su sostegni elettorali. «Bruno diceva di comandare lui a Cuorgnè» dice Rosetta. In aula, ad ascoltarla, c’era anche Nevio Coral, ex sindaco di Leini, accusato di aver intrecciato rapporti con la criminalità organizzata, suocero di Caterina Ferrero. Ma mentre la nuora e l’ex sindaco di Rivarolo, Bertot, non sono finiti tra gli indagati, lui si è ritrovato tra le decine di imputati. 

Secondo Rosetta, Bruno e suo zio Giovanni (in passato esponente del Psi) si occupavano di politica per «ottenere favori». Per i santini Bruno riceveva buoni «benzina». Un giorno ha sentito i due parlare di certi «lavori» con Coral. Nella casa di Bruno si tenevano incontri e cene con presunti affiliati. Nella loro tavernetta si sarebbe celebrato un «battesimo», investitura di ’ndrangheta. Bruno era «capo locale» a Cuorgnè. L’uomo che, parlando in libertà nella sua Golf farcita di cimici, ha svelato ai carabinieri i segreti della criminalità organizzata. E che gestiva un night, «tirava» di cocaina, beveva come una spugna. E poi guardava il telefilm su Totò Riina, «Il capo dei capi» e dal divano pronunciava di getto la formula di affiliazione alla mafia, benché «’ndranghetista».  



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