ANTONINO SCOPELLITI: « Il giudice è quindi solo, solo con le menzogne cui ha creduto, le verità che gli sono sfuggite, solo con la fede cui si è spesso aggrappato come naufrago, solo con il pianto di un innocente e con la perfidia e la protervia dei malvagi. Ma il buon giudice, nella sua solitudine, deve essere libero, onesto e coraggioso. » Chissà se anche per queste parole il giudice Antonio Scopelliti a volte viene ricordato come "il giudice solo". Ma altre volte si parla di Antonio Scopelliti anche come "il giudice dimenticato".
Antonio Scopelliti, giudice impegnato nei più importanti processi degli anni '80 ( nel primo Processo Moro, il sequestro della Achille Lauro, la Strage di Piazza Fontana e la Strage del Rapido 904), fu tra i primi a denunciare anche la situazione di "assenza di Giustizia" come causa prima del sentimento di distacco fra "paese reale e paese legale" e della sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni: "Il cittadino perde ogni giorno fiducia nella giustizia, e se è vero che rendere giustizia è il momento etico dello Stato, perde nello stesso momento fiducia nella eticità dello Stato e il distacco tra paese reale e paese legale, tra coscienza popolare e potere, si fa sempre più pauroso. Crisi della Giustizia, però, che è solo una componente della più generale crisi della legalità cioè a dire dell’ordine civile e del diritto. Quindi, crisi dello Stato."
Antonio Scopelliti viene ucciso da un commandos mafioso a Campo Calabro il 9 agosto 1991. L'uccisione del giudice Scopelliti, sarebbe stata decisa da un’alleanza fra mafia e `ndrangheta. È questa l’ipotesi d’indagine portata avanti dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria grazie alle rivelazioni del pentito catanese Maurizio Avola. Anche un altro collaboratore, Francesco Onorato, nel processo «`ndrangheta stragista» ha sostenuto che Scopelliti fu ucciso dalle `ndrine per fare un favore a Toto´ Riina che temeva l’esito del giudizio della Cassazione sul "Maxi-processo" a "cosa nostra"
La riflessione di Rosanna Scopelliti, figlia del giudice: "È una giornata strana oggi. C’è silenzio. Piove. Per la prima volta dopo tanti anni mi sveglio con calma. L’emergenza Covid ci ha imposto di evitare le consuete iniziative legate all’anniversario della morte di papà. Mi sono mancati i ragazzi del campus che la Fondazione organizza di solito in questo periodo. Quest’anno ci sarà la messa alle 18 e un momento di raccoglimento in sua memoria vicino l’Ulivo che ho piantato per lui. Ho più tempo per me. Ne approfitto. Guardo la mia piccolina che dorme e immagino di vederla crescere. Come sarà il suo sorriso, quali saranno i suoi sogni a 15 anni, le ambizioni a 20, chissà se indosserà qualche vestito dei miei… Penso a papà, chissà quante volte mi ha guardata mentre dormivo e si è chiesto se mi avrebbe vista crescere. Chissà se in quegli ultimi giorni, mentre scorreva le carte del “maxi processo” pensava alla promessa di accompagnarmi a scuola, al mare, a prendere un gelato. Chissà se vedendomi crescere, in quei pochi anni vissuti insieme, pensava alla normalità, alla “normalità canonica” che non abbiamo mai vissuto. E che chi lo ha ucciso mi ha rubato per sempre.
Immagino i suoi ultimi attimi e spero con tutto il cuore che non abbia avuto il tempo di accorgersi di nulla. Che il panorama dello Stretto alla sua destra abbia distolto il suo sguardo e che lo stupore della bellezza sia arrivato prima di quello della morte. Si, mi piace immaginare così quel momento. La forza della bellezza che vince sul male. La rassegnazione sconfitta dal pensiero che si è seminato bene e che un domani il bene germoglierà sul sangue versato. Sono trascorsi 29 anni. Anni difficili, anni di solitudine, di amarezze, di articoli ignobili. Anni in cui Antonino Scopelliti è stato un’immagine sbiadita nella Storia del nostro Paese. Uno di quei servitori dello Stato il cui ricordo vive nei 40 minuti di annuale commemorazione e poi basta: “arrivederci al prossimo anno”. Sono stati anni in cui l’impegno e la necessità di fare memoria, per noi che siamo vivi, “sopravvissuti” mi verrebbe da dire, sono diventati ragione di vita. In cui l’incessante richiesta di verità e giustizia si fonde con il desiderio di riscatto di un intero popolo che soffre la distanza dalle Istituzioni e il dubbio, per dirla con Corrado Alvaro che “vivere onestamente sia inutile”. Avere una verità giudiziaria, non è solo dare pace a chi Antonino Scopelliti lo ha vissuto ed amato, ma è dare giustizia a tutte quelle persone che credono che vivere onestamente sia non solo utile, ma necessario. Ai giovani, a chi lascia il proprio cuore in questa terra e parte col desiderio di tornare”.
“Per questo – aggiunge- dopo tutti questi anni l’appello che faccio ai magistrati che stanno lavorando per scrivere la verità e la parola fine sul caso Scopelliti, è di fare presto. Il tempo sta scadendo, purtroppo. Siamo stanchi. “Il cittadino perde ogni giorno fiducia nella giustizia e se è vero che rendere giustizia e il momento etico dello Stato, perde nello stesso momento fiducia nella eticità dello Stato e il distacco tra paese reale e paese legale, tra coscienza popolare e potere, si fa sempre più pauroso. Crisi della Giustizia, però, che è solo una componente della più generale crisi della legalità cioè a dire dell’ordine civile e del diritto. Quindi, crisi dello Stato” La crisi che ha investito la magistratura facendo emergere tutte quelle contraddizioni che papà già denunciava quarant’anni fa con queste parole rischia di svilire il grande lavoro svolto con passione e umanità da quei magistrati dediti allo studio del diritto e all’amore per il tricolore e la toga. Non possiamo permettercelo. E non sembri retorico affermare che lo dobbiamo a tutti quei servitori dello Stato, che prima e dopo papà hanno contribuito con il loro sacrificio ed il loro esempio a rendere le Istituzioni credibili e questo Paese un luogo in cui valga la pena vivere. Non è retorica: è orizzonte di senso”.
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