Ci immaginiamo tutti a sventolare idealmente
Peppino Impastato ed i suoi "cento passi" ma nel contempo occorrerebbe
anche fare memoria e riflettere sull'ammonimento di Leonardo Sciascia ai “professionisti dell'antimafia” ,
alla luce di quanto accadde, alle “maschere” dell’antimafia smascherate, sul nostro
stesso agire: "I cortei, le tavole rotonde, i dibattiti sulla mafia,
in un paese in cui retorica e falsificazione stanno dietro ogni angolo, servono
a dare l’illusione e l’acquietamento di far qualcosa; e specialmente quando
nulla di concreto si fa.(...)".
Se è vero che la
riflessione che segue scaturisce da fatti e persone a noi vicine, fatti
accaduti e personaggi attivi nella nostra regione, a nostro parere, questa riflessione
è da intendersi in senso generale tanto
sono ricorrenti le situazioni ed i princìpi a quelli collegati.
Due
fatti
Lo scorso 24
aprile 2018, nell'ambito del processo d'appello bis dell'inchiesta Minotauro, il
procuratore generale del Piemonte Francesco Saluzzo parla dei rapporti che il
boss della 'ndrangheta Salvatore De Masi, condannato a 9 anni, ha avuto con due
esponenti politici, non pronunciandone il nome, rappresentanti una "ala
deviata del Partito Democratico", precisando che (...) Il Pd non è
questo. E queste persone non rappresentano tutto il Pd. Senza contare che il fenomeno della ricerca di serbatoi di
voti è vasto e ha una portata più generale. Parliamo però di persone che
facevano cattiva politica. Senza farsi troppe domande». (leggi
qui)
Poche ore dopo la dichiarazione del procuratore Saluzzo Domenico (Mimmo)
Lucà, ex-parlmentare di lungo corso, ha lasciato il suo partito sentendosi tirare in ballo
da quelle parole, stanco di “insinuazioni”, rivendicando la sua condotta di
uomo e l'attività parlamentare svolta. (leggi
qui).
Due
lezioni “scansate” e una domanda: Perché la magistratura è stata lasciata sola?
La prima “lezione” è quella di Paolo
Borsellino (gennaio 1989) (leggi
qui): (...) L'equivoco su cui spesso si gioca è
questo: si dice 'quel politico era vicino ad un mafioso', 'quel politico è
stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose,
però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo
onesto'. E no! questo
ragionamento non va, perché la magistratura può fare soltanto un
accertamento di carattere giudiziale,(…) Però, siccome
dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri
poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie
amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le
dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi, che non
costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella
gestione della cosa pubblica.
“(...)facendo pulizia al
loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti
inquietanti anche se non costituenti reati.”
La seconda “lezione” è quella contenuta
nella requisitoria
pronunciata nel giugno 2013 da Gian Carlo Caselli, all’epoca Procuratore Capo
di Torino, nell’ambito del processo Minotauro, il processo che porta alla luce la "quantità e la qualità" della 'ndrangheta in Piemonte: “(…) La mafia c'è perché c'è
mercato per i suoi servizi. Vedremo che ci sono tante persone che traggono
vantaggi dall'esistenza della mafia. Persone che non hanno nessun interesse a
denunziare nulla, persone , politici amministratori, che la legge penale non
può punire perchè la loro colpa è l'Opportunismo. Una colpa
grave sul piano politico-morale, ma non penalmente sanzionata. Una colpa che
espone alla ricattabilità. (….)Perché la
magistratura è stata lasciata sola (contro le mafie)? Per ignoranza,
miopia, impreparazione, sottovalutazione culturale, oppure un certo distacco
snobistico del nord? Di fatto se ne è
favorito l’insediamento " (leggi
qui)
Due
motivi di sconcerto …e una domanda: Ci lasceremmo condurre ad una gita
in montagna da qualcuno che non sapesse riconoscere l'arrivo di un temporale?
Il primo motivo di sconcerto deriva dai
“tempi” dell’uscita di scena del personaggio
politico dalla cui vicenda siamo partiti: a trent’anni dalla “lezione” di
Paolo Borsellino, lezione che indica un principio per noi
imprescindibile; a sette anni dall'Operazione Minotauro; a cinque anni
(giugno 2013) dalla requisitoria che Gian Carlo Caselli, allora Procuratore
Capo di Torino, volle riservare a se stesso e nella quale trattò proprio le
“relazioni esterne”, pure non costituenti reato, della 'ndrangheta piemontese con
esponenti del mondo politico-amministrativo piemontese .
L'Operazione
Minotauro ed il successivo
processo raccontano infatti, e fra le altre cose, di politici-amministratori
coinvolti-intercettati in prossimità di eventi elettorali a “chiedere voti” o
ad avere contatti con “personaggi” che si sarebbero rivelati esponenti di
rilievo della 'ndrangheta calabrese, da anni felicemente accasata nella nostra
regione. Personaggi che, anche all'epoca dei fatti, nulla però
avevano ufficialmente a che fare con l'attività politica; personaggi che non
erano neppure soggetti riconosciuti o “di riferimento” della società civile
locale; personaggi sconosciuti ai molti ma tuttavia noti ai principali partiti
come soggetti che era “utile
incontrare”, in quanto “portatori di voti”. Fra quei personaggi spicca il nome
proprio di quel Salvatore (Giorgio) De Masi citato dal procuratore Saluzzo. La
scusante addotta da tutti gli esponenti della politica coinvolti nelle indagini
fu che questi non sapevano che il De Masi fosse legato alla criminalità
organizzata.
Eppure il De Masi è coniugato con Romeo Antonia,
figlia di Romeo Sebastiano alias “Staccu”, ritenuto (fino alla sua morte) capo
bastone della cosca Romeo-Staccu , nonché capo locale di San Luca; cognato di
De masi è pure Giorgi Giuseppe alias “u capra”, inserito nell’elenco dei
latitanti più pericolosi. E Gian Carlo Caselli così descriveva il
contesto e le modalità del suo agire:(...) Ama
(il De Masi) intrattenere cordiali, amichevoli relazioni con vari personaggi,
anche di spicco, del mondo politico/amministrativo. Costoro negano
con ostinazione, tutti indistintamente, di aver mai saputo, sentito, intuito
alcunchè di tali pesanti “parentele”. Eppure spesso si tratta di politici e/o
amministratori scafatissimi, calabresi essi stessi, che di Rivoli e dei
Rivolesi (De Masi compreso) sanno tutto e di più. Che proprio di lui e dei suoi dei parenti notoriamente mafiosi non
sapessero nulla è francamente irreale(…).
Il secondo
motivo di sconcerto riguarda “i modi”:
stupisce ed amareggia constatare come la
classe politica dimostra di non accogliere né la lezione di Paolo
Borsellino ma neppure l'appello e le più recenti denunce di Giancarlo Caselli
sugli “opportunisti”. Cosicché, per l'ennesima volta e come
sempre accade in questi casi, ci troviamo a leggere le “difese d'ufficio” di
esponenti-colleghi a favore di personaggi che si sono dimostrati quantomeno
poco adatti a guidare una comunità, giacché hanno dimostrato di non conoscerla;
oppure, sempre in quell'ambiente, assistiamo a mancate difese,
imbarazzati silenzi, che paiono tuttavia la mera conseguenza di precedenti
omissioni.
Nulla abbiamo da
eccepire sul fatto che un soggetto non indagato, e sino a prova contraria, si professi
persona onesta tuttavia, parlando per metafora , ci poniamo una
domanda: “Ci lasceremmo condurre ad una gita in montagna da qualcuno che non sapesse
riconoscere l'arrivo di un temporale?”. A nostro parere, prendendo
atto di non saper riconoscere l'arrivo di un temporale, sarebbe stato opportuno non
attendere cinque anni e la dichiarazione gravissima di un procuratore generale
per farsi da parte, non andare più “in montagna” e occuparsi di altre faccende.
Perché non siamo capaci di creare argini morali contro mafie e "pensiero mafioso"?
A nostro parere tutto
questo manifesta anche colpe e omissioni della “società civile” ( novella
“araba fenice”), di coloro che vorrebbero essere e rappresentare una barriera
culturale contro le mafie e, per quanto ci riguarda, contro il “pensiero
mafioso” (cercare di ottenere quello che non ci meritiamo). Ad oggi, noi
cittadini che ci professiamo“responsabili” non siamo stati capaci di creare gli
argini etici e morali necessari ad impedire le derive, “lo scandalo” di cui
scriviamo e che, aldilà del fatto
specifico e che -come sottolineato dallo stesso procuratore Saluzzo- riguarda tutte le compagini politiche-partitiche: la ricerca dei “portatori di voti”,
il fare politica senza porsi certi problemi. Situazioni che tuttavia, pure in assenza di una fattispecie di reato specifica, assumono ancora
più gravità dal momento che le mafie, sin dalla
loro nascita, traggono linfa essenziale alla loro stessa esistenza e potere
proprio dalle “relazioni” col mondo della politica e della comunità nella quale
agiscono.
Ci sconcerta pertanto che l’uscita di
scena di un soggetto scoperto ad avere frequentazioni poco raccomandabili avvenga
ancora una volta non perché la società civile ha saputo innalzare l’asticella
dell’inaccettabile (moralmente inaccettabile, pure se non penalmente rilevante)
ma solo perché il soggetto si è sentito “tirare in ballo” dalla magistratura. Gli stessi "anticorpi" a
cui una certa classe politica fa sempre riferimento quando si tratta di
proclami contro mafie (e “pensiero mafioso”) in realtà non esistono perché,
cosa ancor più grave, sono ritenuti “non necessari” dalla stessa classe
politica, dal momento che noi della società responsabile ci dimostriamo
oggettivamente incapaci e inadeguati a chiedere-pretendere che si innalzi
l'asticella di quello che, come già detto, deve essere considerato “inaccettabile, pure se non penalmente rilevante!".
Quotidianamente la
cronaca riporta notizie di “paladini-maschere” dell’antimafia (parola da abolire
in quanto svuotata di ogni significato reale) smascherate, uomini e donne impegnate
nell’attività pubblica pur avendo subito condanne definitive e/o avendo procedimenti
in corso; fenomeni di corruzione ( l’altra faccia delle mafie) che pare assunta oramai
a “sistema”. Fatti e situazione che, quando interessano persone appartenenti al
mondo della politica sono addirittura la palese negazione di quanto sancito dall’
Articolo 54 della nostra Costituzione:” Tutti
i cittadini hanno il dovere di essere fedeli
alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I
cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.
Perché non siamo capaci di creare argini
morali contro tutto questo? A chi giova? A nostro parere, a queste domande
abbiamo il dovere di dare risposte e -di
conseguenza- provare ad elaborare azioni e strategie più efficaci a contrastare
culturalmente mafie e “pensiero mafioso”. Rischia
di apparire "coraggio a buon mercato" rilanciare notizie pure
gravissime delle mafie che commettono soliti o “aggiornati reati” (esponenti
da poco condannati al 41 bis, la prima volta che accade in Piemonte,
imprenditori che si rivolgono a ‘ndranghetisti per riavere somme di denaro
prestate, la ‘ndrangheta che si mangia squadre giovanili di calcio) mentre il "Troncare
e sopire....sopire e troncare" di manzoniana memoria continua ad
essere la parola d'ordine “di pezzi” della società civile quando invece si
tratterebbe di denunciare, dichiarandole inaccettabili, “le relazioni” ed i
legami che, ad esempio, anche in Piemonte la 'ndrangheta rivela di avere
attraverso "opportunisti" o addirittura presunte "ali
deviate" presenti nei partiti (le testuali parole del
procuratore Saluzzo a censurare gravissime colpe e ingiustificati silenzi!).
"Troncare,
sopire...Sopire, troncare", nonostante in molti si sappia "tutto" da anni!
“Perché
la magistratura è stata lasciata sola (contro le mafie)? A questa domanda abbiamo il dovere di dare
risposta
Presidio
LIBERA “Rita Atria” Pinerolo
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