giovedì 15 settembre 2016

Don Pino Puglisi: "...E se ognuno di noi fa qualcosa, allora si può fare molto".

Don Pino Puglisi per i suoi parrocchiani era "3P" e ai suoi parrocchiani soleva dire: "...E se ognuno di noi fa qualcosa, allora si può fare molto".
Le parole di Gaspare Spatuzza e di Giovanni Drago, mafiosi divenuti collaboratori di giustizia, basterebbero a spiegare, nella loro rozza schiettezza, perché don Pino Puglisi è stato ucciso.«Era uno che non si era incanalato, che faceva di testa sua». «Predicava, predicava, prendeva ragazzini e li toglieva dalla strada... Martellava e rompeva le scatole...Un capomafia non poteva tollerare che un prete si muovesse per conto suo e doveva dimostrare chi comandava a Brancaccio».  Era l'estate del 1993 e l'attacco di cosa nostra allo Stato prende di mira chi, da sacerdote, contendeva la comuinità di Brancaccio al dominio di "cosa nostra" ( avvallata dalla palese assenza delle istituzioni locali) con lo strumento dei valori quali giustizia e dignità, valori richiesti per la sua comunità e praticati quotidianamente da don Puglisi.
Anche per don Puglisi vale quindi la differenza fondamentale tra Lui ed altri, altri sacerdoti, altri uomini e donne: lui vedeva ma non taceva! Don Puglisi  era differente: "(...) si sapeva che faceva delle messe non proprio a favore della mafia". Fu ucciso dalla mafia la sera del suo compleanno, il 15 settembre 1993: erano passate da poco le otto della sera. A Salvatore Grigoli, il killer che lo aspettava, don Pino sorrise dicendo "Me l' aspettavo".
Vengono invece alla mente i tanti nostri silenzi di cui quotidianamente ci rendiamo colpevoli nel tempo che viviamo: il silenzio di una intera comunità -quella di Melito Porto Salvo, in Calabria- dinanzi alla violenza perpetrata - per tre anni- ai danni di una ragazzina che aveva solo tredici anni quando fu violentata per la prima volta; il silenzio dei "buoni" dinanzi al degrado fisico e morale nal quale sono costretti i migranti in alcune strutture di prima accoglienza; il silenzio dei cuori, anzi "le risate divertite", di giovani ragazze dinanzi alla violenza subita da una loro "amica" nel bagno di una discoteca di Rimini; il silenzio di chi potrebbe denunciare ingiustizia e corruzione..
Lo scorso anno, il quotidiano La Repubblica, pubblica un articolo di salvo Palazzolo nel quale si dava notizia del  ritrovamento di un nastro registrato nel quale Don Puglisi, mostra la consapevolezza di essere in grave pericolo: "Il testimone deve rischiare...io sto rischiando  grosso forse, non lo so, però credo nell'amicizia". Don Puglisi credeva nell'amicizia della sua comunità.  Rimase al suo posto, non andò via da Brancaccio. ( leggi qui l'articolo
Il sogno di don Puglisi: "Pochi giorni fa, prima di tornare qui come parroco, io ho sognato il futuro di questo quartiere ed è stato proprio bello. Bello perché ho sognato un posto dove erano spariti i furti, era sparita la droga, dove non c'erano più violenze, prepotenze, dove la gente non aveva paura, dove non c'era più la fame perché c'era lavoro per tutti, dove c'erano delle scuole bellissime, dove i bambini giocavano... Io ho sognato il futuro di questo quartiere ed è stato proprio bello!"

Riproponiamo un estratto dell'articolo La Stampa pubblicato nel maggio 2014 in occasione della beatificacazione di Don Puglisi.,qui il testo integrale,
Fonte: LA STAMPA
Decine di migliaia a Palermo per don Puglisi proclamato beato. 
Il martire della fede don Puglisi è il patrono della Chiesa anti-mafia. Il vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavero, «D’ora in poi nessuno potrà più usurpare il nome di Dio per giustificare la mentalità criminale di quei clan che per decenni si sono ammantati di falsa e blasfema religiosità (...) L’autentica fede in Cristo è incompatibile con qualunque appartenenza ad organizzazioni che avvelenano la società e la privano del suo futuro».(...) Benedetto XVI aveva riconosciuto il fatto che l’esecuzione ordinata dai boss e avvenuta davanti alla parrocchia di San Gaetano, retta dal sacerdote, nel quartiere Brancaccio, fu «martirio», commesso «in odio alla fede». 
E Papa Francesco, appena lunedì scorso, durante la visita «ad limina» della Conferenza episcopale siciliana, ha esortato la Chiesa locale a dare contro la mafia, una testimonianza più chiara e più evangelica. Nei quasi 20 anni che separano dall’assassinio di padre Pino, «la verità è infine emersa», ha a suo tempo spiegato il postulatore della causa di beatificazione, l’arcivescovo Vincenzo Bertolone, legando la verità del martirio di Puglisi a «quella giudiziaria, vergata con inchiostro indelebile dalla Cassazione» secondo cui «l’omicidio fu deciso dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano per mettere a tacere un sacerdote scomodo, socialmente impegnato, che col suo ministero di pastore di anime, di formatore di coscienze cristiane, soprattutto di quelle dei fanciulli, li ridicolizzava sottraendo loro manovalanza, prestigio e potere, come del resto sprezzantemente li rimproverava uno dei capi indiscussi di Cosa Nostra, Leoluca Bagarella». (...)
La figura di don Puglisi riveste un ruolo di «grande importanza per la società civile, per la Chiesa universale, in particolare per la Chiesa palermitana e siciliana e per tutte quelle che si confrontano sul proprio territorio con le organizzazioni criminali, perché il suo sacrificio ha svelato il grande inganno della mafia, sedicente portatrice di religiosità. Il suo esempio è stato ed è così forte da aver attraversato il tempo: nei 19 anni trascorsi, Brancaccio, Palermo, la Sicilia, l’Italia, il mondo non lo hanno dimenticato». 
«La mafia è intrinsecamente anticristiana», ha poi ribadito il prefetto della Congregazione per le cause dei santi, cardinale Angelo Amato. Quello di don Puglisi, spiega, è stato un «martirio, perché è stato ucciso in odium fidei». «Ovviamente - ha sottolineato il cardinale salesiano - qui bisogna chiarire cosa significa in odium fidei, dal momento che la mafia viene descritta spesso come una realtà “religiosa”, una realtà i cui membri sembrano apparentemente molto devoti (... la mafia, più che “religiosa”, è essenzialmente “idolatrica”». Anche il paganesimo antico, ricorda Amato, era “religioso”, ma la sua religiosità era rivolta agli idoli. Nella mafia gli idoli sono il potere, il denaro e la prevaricazione. È quindi una società che, con un involucro pseudo religioso, veicola un’etica antievangelica, che va contro i dieci comandamenti e il Vangelo. La Scrittura dice: non uccidere, non dire falsa testimonianza. Nella ideologia mafiosa, invece, si fa esattamente l’opposto. Gesù ha detto di perdonare ai nemici e qui troviamo il contrario: la vendetta. Per la Chiesa Cattolica, dunque, «la mafia è intrinsecamente anticristiana». Per di più, l’odio verso don Puglisi era determinato «semplicemente dal fatto che si trattava di un sacerdote che educava i giovani alla vita buona del Vangelo». Dunque «sottraeva le nuove generazioni alla nefasta influenza della malavita». (...)
Morì per strada, ha sottolineato don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, «dove viveva, dove incontrava i `piccoli´, gli adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e quanti, con la propria condotta, si rendevano responsabili di illegalità, soprusi e violenze. Probabilmente per questo lo hanno ucciso: perché un modo così radicale di abitare la strada e di esercitare il ministero del parroco è scomodo. Lo hanno ucciso nell’illusione di spegnere una presenza fatta di ascolto, di denuncia, di condivisione». Per don Ciotti, il sacerdote palermitano «ha incarnato pienamente la povertà, la fatica, la libertà e la gioia del vivere, come preti, in parrocchia». Con la sua testimonianza, dunque, don Pino «ci sprona a sostenere quanti vivono questa stessa realtà con impegno e silenzio». 
Don Puglisi, “figura bellissima”, è stato ucciso “in odium fidei”, per odio della fede da parte di chi lo ha assassinato, ottolinea il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei: ”E’ stato ucciso in quanto sacerdote che faceva il suo dovere, specialmente sul piano educativo delle giovani generazioni. E dunque è un martire».  


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