martedì 9 agosto 2016

Antonio Scopelliti: il giudice solo, ucciso dalla 'ndrangheta il 9 agosto 1991

Il dovere della Memoria. Il giudice solo: così  era stato ribattezzato il magistrato Antonio Scopelliti, ucciso in un agguato di mafia il 9 agosto 1991 a pochi chilometri da Villa San Giovanni, in Calabria, mentre era solo e senza scorta alla guida della sua auto. Nativo di Reggio Calabria, dove nasce nel 1953, era tornato nella sua regione per trascorrere le vacanze. Come Sostituto Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione, avrebbe dovuto rappresentare l’accusa contro gli imputati del maxiprocesso di mafia a Palermo. Secondo i pentiti della 'ndrangheta Giacomo Lauro e Filippo Barreca, sarebbe stata la cupola di Cosa Nostra siciliana a chiedere alla 'ndrangheta di uccidere Scopelliti, che, in cambio del ''favore'' ricevuto, sarebbe intervenuta per fare cessare la ''guerra di mafia'' che si protraeva a Reggio Calabria dall'ottobre 1995, quando fu assassinato il boss Paolo De Stefano.
Poco prima di essere ucciso, nel marzo del 1991, Scopelliti aveva chiesto le condanne definitive per Pippo Calò e Guido Cercola, i responsabili della Strage del Rapido 904 che il 23 dicembre 1984 aveva fatto saltare in aria la Grande Galleria dell'Appenino a San Benedetto Val di Sambro, provocando la morte di 17 persone e più di 200 feriti. Ma Corrado Carnevale, presidente della Prima Sezione penale della Cassazione, rigettò le richieste della pubblica accusa, e rinviò ad un nuovo giudizio di appello.
Nel settembre dello stesso anno 1991 si stava preparando a rigettare i ricorsi presentati dalle difese dei grandi mafiosi condannati al maxi-processo per Cosa Nostra. Questa probabilmente la motivazione della sua condanna a morte. Nel maggio del '91, infatti, Scopelliti aveva accettato di rivestire la pubblica accusa nel maxi-processo in sede di Cassazione.
In una intervista rilasciata a Maurizio Costanzo nel 1978, il giudice Antonio Scopelliti aveva parlato di come intendesse la sua professione di giudice: "Un giudice non è mai popolare, soprattutto un pubblivco ministero. Ogni giudice va incontro a critiche, a volte astre, vivaci, a volte anche ingiuste. ma non può sacrificare il suo ministero, la sua milizia oramai, per una popolarità che non è un suo privilegio (...) Il giudice è quindi solo, solo con le menzogne cui ha creduto, le verità che gli sono sfuggite, solo con la fede cui si è spesso aggrappato come naufrago, solo con il pianto di un innocente e con la perfidia e la protervia dei malvagi. Ma il buon giudice, nella sua solitudine, deve essere libero, onesto e coraggioso.(...)

L'omicidio

Il 9 agosto 1991, sulla strada della frazione di Piale (provincia di Villa S. Giovanni) il giudice Scoppelliti, a bordo della sua auto, venne raggiunto alla testa da due colpi di fucile calibro 12 sparati da un commando di due uomini a bordo di una moto che lo attendevano all'altezza di una curva; Scopelliti morì sul colpo.Secondo le dichiarazioni del pentito di mafia Mario Pulito, al giudice Scopelliti avevano offerto ingenti somme di denaro (circa cinque miliardi di lire [1]) per cambiare rotta sulle decisioni prese in relazione al maxi-processo.
Anche l'omicidio del giudice Scopelliti rimane ancora oggi impunito. Nel 2001, la Corte d' Assise d'Appello di Reggio Calabria assolve Bernardo Provenzano, Giuseppe e Filippo Graviano, Raffaele Ganci, Giuseppe Farinella, Antonino Giuffre' e Benenetto Santapaola dall'accusa di essere stati i mandanti..
Il presidente del Senato Pietro Grasso ricordando in queste ore il magistrato calabrese ha scritto: «un altro omicidio di mafia purtroppo ancora irrisolto. Antonino Scopelliti avrebbe dovuto rappresentare l'accusa nel maxiprocesso, ormai giunto in Cassazione. Lo uccisero il 9 agosto di 25 anni fa: pensavano di poter così impedire alla giustizia di fare il suo corso. Non ci riuscirono (…) Nella sua Calabria, l'esempio del giudice Scopelliti non è svanito: sono infatti moltissime le persone che ogni giorno si impegnano nel ricordo di un uomo che ha onorato fino in fondo la sua professione e la sua lealtà allo Stato»,

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