avere il Coraggio di provare a costruireil Cambiamento possibile:
più GIUSTIZIA, più DIGNITA', più LIBERTA'
A coloro che sentono la “responsabilità etica” di vivere nella comunità l'invito e l'auspicio per l'Anno 2016 che ci apprestiamo a vivere: incontrarsi per dare vita ad un “cammino” (fatto di conoscenza, analisi e riflessioni) necessario ad elaborare azioni e misure concrete da proporre alle Istituzioni. Il contrasto reale del dramma delle povertà, l'eliminazione dei privilegi delle classi dominanti, la lotta alla corruzione e alle mafie, tutte facce differenti di una medesima "medaglia al disonore" ancora appuntata sul petto di un intero Paese. Noi crediamo che sia necessario "essere voce e dare voce a coloro che voce" non hanno per affermare la necessità di un cambiamento, possibile e non più rinviabile.
Un cambiamente "non nasce se non è sognato","un sogno sognato" anche da una ragazzina siciliana che si chiama RITA ATRIA.
"(...) Forse un mondo onesto non esisterà mai... ma chi ci
impedisce di sognare... forse se ognuno di noi proverà a
cambiare... forse ce la faremo".
Lo scorso 13 novembre
2015 il presidio LIBERA “Rita Atria” Pinerolo ha tenuto l'incontro pubblico “Rendiamo
illegale la Povertà: reddito di cittadinanza è reddito di dignità”.
I relatori intervenuti, esponenti delle forze politiche (la sen.
Nunzia Catalfo del Movimento Cinque Stelle, Marco Grimaldi di
Sinistra Ecologia Libertà), erano chiamati a confrontarsi a partire
dai dati della realtà sociale presentati dall’assessora Agnese
Boni, dal Vescovo di Pinerolo mons. Debernardi, da Leopoldo Grosso vice-presidente Gruppo Abele. In quella occasione
abbiamo lanciato un appello affinchè l'incontro fosse da
considerare il punto di partenza” per “un cammino”, da
svolgere anche nella nostra comunità, capace di prefigurare e
richiedere un “cambiamento di azione” per il contrasto
alla Povertà: un cambiamento necessario, non più rinviabile.
Le "fotografie"
Sono trascorsi oramai
sette anni dallo scoppio della crisi finanziaria le cui conseguenze,
a detta di molti economisti, sono paragonabili a quelle di una
“guerra”. Lo stesso Papa Francesco ha parlato più volte in
termini analoghi a proposito del momento storico che stiamo vivendo:
“unaterza guerra mondiale combattuta a
pezzi”: perchè tanti sono i conflitti in corso nel mondo,
più o meno estesi; tanti e diversi sono “i fronti” aperti da
questa “guerra”. Il fronte “sociale” è fra i più
drammatici.
Per quanto riguarda
l'Italia, il RAPPORTO CARITAS 2015 ha presentato la
“fotografia” di un Paese frammentato. Un paese che pare avere
smarrito il senso della comunità e nel quale la condizione di
povertà o di difficoltà economica, è sempre più relegata a
questione “privata”, messa ai margini dello stesso “patto
sociale” su cui dovrebbe fondarsi la Democrazia del nostro paese.
Apprendiamo da quel Rapporto come i cittadini italiani che versano in condizioni di povertà assoluta sono più che raddoppiati dal 2008
ad oggi, passando da un numero di 1.800.000 ad oltre 4.000.000. Ma la
realtà del fenomeno della povetà, vecchia e nuova, presenta dati
ancora più drammatici: sono infatti circa 10.000.000 coloro che vivono condizioni di “marginazione sociale”
conseguente alla difficoltà economica: una “società degli
esclusi”: una sorta di “terzo stato” a cui è stato precluso
aver “voce e volto”, se non nella massa informe della “gente”
che affolla centri di carità e di assistenza.
Colpe e responsabilità
Ma la “fotografia”
del rapporto Caritas non è un mero esercizio di analisi statistica o
socio-economica. La CARITAS individua chiaramente quelle che, a
suo parere, sono colpe e responsabilità.
Le responsabilità
maggiori sono quelle addebitate alla Politica italiana, alla
sua storica disattenzione nei confronti del fenomeno della povertà a
cui si risponde scaricando pesi e costi sulla “famiglia” (welfare
mediterraneo). Una politica italiana corporativa “(...)incentrata
sulla rappresentanza e il riconoscimento degli interessi di specifici
gruppi professionali e sociali capaci di esercitare pressioni sul
Parlamento, a discapito di una visione complessiva del bene comune”.
Colpe
hanno pure le forze sindacali, impegnate sì a promuovere e
difendere culture politiche incentrate sulla tutela del lavoro e dei
lavoratori “già impegnati”, ma “(…) culture politiche che
si sono rivelate incapaci di leggere e tutelare lacondizione di chi si trovava escluso dal mondodel lavoro.”
Infine, giudizio critico
la CARITAS esprime anche nei confronti del cosiddetto Terzo
Settore, il mondo del volontariato, delle associazioni, del
cooperativismo, che non ha saputo assumere, se non in misura
limitatissima, il ruolo di rappresentanza dei cittadini più deboli.
Il terzo settore italiano infatti ha finito con lo “specializzarsi”
“(...) nella fornitura di servizi per conto delle
amministrazioni pubbliche, smarrendo così la propria funzione di
rappresentanza e pressione politica in favore dei diritti sociali
universali(...)”.
Occorre
dare voce alla necessità di un cambiamento possibile e non più
rinviabile
La povertà deve
essere considerato il vulnus del “patto sociale” su cui si
fonda una nazione democratica. Coloro che in Italia vivono in
condizioni di difficoltà, i 10.000.000 di cittadine e cittadini
senza voce e senza volto, non chiedono elemosine ma chiedono più
Giustizia Sociale. Occorrono pertanto misure e azioni differenti
da quelle sinora condotte, in cui diritti e doveri costituiscano il
“patto sociale” sul quale costruire nuove forme di “bene-essere”
della comunità. Misure che portino ad un reale contrasto alle
povertà anche attraverso rapporti di maggiore responsabilizzazione
dei soggetti stessi: misure e azioni che da un lato vedano
riconosciuti e tutelati il principio inderogabile della Dignità
dell'individuo, dall'altro prevedano l'assunzione di responsabilità
di ciascuno, per quanto ad ognuno compete, nei confronti della
comunità.
Sono necessarie azioni
i cui mezzi per la loro attuazione non possono essere richiesti se
non alla Politica. D'altro canto, se la Politica persevera nella
sua “disattenzione” verso il dramma sociale mostrato dalle
“fotografie” a cui prima si faceva riferimento, finisce con
l'apparire mero esercizio del Potere svolto a favore di interessi e
privilegi inaccettabili. Quelle “fotografie”, economiche e
sociali, sono in realtà le esistenze reali e dolenti di coloro a
cui viene negato la condizione di una vita decorosa: “fotografie”
inaccettabili quando permangono sostanzialmente inattaccabili
privilegi, corruzione, malaffare.
Se papa Francesco ha
detto che non si può parlare di povertà e vivere “come faraoni”,
noi affermiamo che, a partire dalle classi politiche, non ci si può
occupare del bene comune” di una comunità e godere al contempo di
retribuzioni e privilegi simili a quelli di “signori medioevali”!
L'Appello
Per questi motivi
porgiamo un invito, un appello, a partire dalle associazioni, dalle cittadine e cittadini
che sentono la “responsabilità etica” di vivere nella comunità:
incontrarsi per dare vita ad un “cammino” (fatto di conoscenza,
analisi e riflessioni) necessario ad elaborare azioni e misure
concrete da proporre alle Istituzioni a contrasto del dramma delle
povertà.
Noi crediamo che sia
necessario "essere voce e dare voce a coloro che voce non
hanno" per affermare la necessità di un cambiamento,
possibile e non più rinviabile
Il Dovere della Memoria. E' la notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007.Per Torino è la notte della strage alla ThyssenKrupp.
E' passata da poco l’una di notte quando, sulla sulla linea 5 dell’acciaieria di Torino della ThyssenKrupp, sette
operai vengono investiti da una fuoriuscita di olio bollente nebulizzato che trasforma in "torce umane" i poveri corpi degli operai.
I loro nomi: Antonio Schiavone, Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco
Marzo, Bruno Santino.
Alle ore 1.15 i vigili del fuoco rivcevono la chiamata drammatica riportata nel filmato
Insieme ai Vigili del Fuoco arrivano
le ambulanze del 118, e i feriti vengono trasferiti in ospedale.
Alle ore 4.00
del mattino muore il primo operaio, si chiama Antonio Schiavone. Nei
giorni che seguiranno, dal 7 al 30 dicembre 2007, moriranno le altre sei
persone ferite in modo gravissimo dall’olio bollente: si chiamavano
Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco
Marzo, Bruno Santino.
Inviatiamo, e parteciperemo all'incontro "LA LIBERTA' E' PARTECIPAZIONE", con lo spirito di essere fra coloro che hanno a cuore il bene lungimirante della comunità.
"Riscoprire e
rendere vivi i valori di conoscenza e partecipazione per essere
cittadine e cittadini responsabili, perché questi sono tempi in cui "ci
vuole Coraggio..." anche solo per "fare comunità", per “sentirsi parte
di una comunità”.
Perchè "ci
vuole coraggio" per mettere in discussione le riflessioni, le idee di
ciascuno; ci vuole coraggio per legare esperienze e non disperderle!
(...)
è l’invito ad offrire e mettere insieme l'impegno e le capacità di ognuno
al servizio del bene lungimirante della comunità."
Questo scrivevamo lo scorso anno proponendo "Un Anno Chiamato Coraggio" Questo è il principio nel quale abbiamo continuato a credere e per il quale continuare ad agire nella comunità!
Quando si discute sul ruolo dell'economia delle comunità, anche nei territori piemontesi, il ruolo delle mafie ( e del "pensiero mafioso") non è affatto secondario. Occorrerebbe sempre considerare che esistono oramai differenti tipi di economie, e differenti "attori" interpreti dei "principi" che sottendono a quelle economie. Occorre avere coscienza e conoscenza che vi sono economie ( pure non propriamente mafiose ma permeabili al "pensiero mafioso") che sono ben lontane dal perseguire il "bene lungimirante della comunità": questo è il discrimine che troppe volte vediamo accantonato allo scopo di far prevalere interessi particolari, pure ammantanti dall'etichetta di "legalità" che -capita spesso- è ben lontana dal significare Giustizia: "Pecunia non olet". Anche questo emerge dal contributo del sostituto procuratore Giusepe Lombardo intervenuto alla conferenza "15 anni di 'Ndrangheta in Piemonte e non solo..." svoltasi a Torino lo scorso 21 novembre 2015
Il Sostituto Procuratore di Reggio Calabria G. Lombardo: "Priorità dello Stato non è la lotta alla mafia" di Francesca Mondin
"Le
grandi mafie oggi si muovono tutte in modo coordinato fra di loro e
sono componenti indispensabili del sistema economico mondiale". A dirlo è
Giuseppe Lombardo, sostituto procuratore di Reggio Calabria, alla
conferenza "15 anni di 'Ndrangheta in Piemonte e non solo…" che si è
svolta a Torino il 21 novembre 2015. Un incontro organizzato dall'Associazione
Culturale Falcone e Borsellino con la collaborazione del Movimento
Agende Rosse gruppo "Paolo Borsellino" di Torino e di Libera presidio
"Libero Grassi" ed il Patrocinio del Comune di Santena, a cui hanno
partecipato anche Roberto Sparagna, Sostituto Procuratore di Torino e
Giorgio Bongiovanni, direttore di ANIMAFIADuemila.
"Chi critica le
indagini che riguardano il narcotraffico internazionale, di cui la
'Ndrangheta diventa sostanzialmente il soggetto unico a cavallo delle
stragi '92 '93 - ha spiegato Lombardo - non si rende conto che le enormi
liquidità che ne derivano sono in grado di provocare una quantità tale
di risorse finanziarie liquide da condizionare il sistema finanziario
mondiale, e le banche senza liquidità non hanno niente da dare, questo è
il problema". Tanto più se "il sistema vive momenti di crisi
finanziarie - cioè - che dipendono dalla liquidità".
Nel riassumere il
concetto il Sostituto Procuratore ha evidenziato che "Se siamo
consapevoli di questo, siamo anche consapevoli che contrastare
economicamente le mafie significa impedire - in un certo senso - che
l'economia riparta". Data la complessità della situazione il magistrato
ha richiamato lo Stato ad avere "il coraggio di riconoscere questo" e di
leggere le sentenze per capire veramente il fenomeno. Il rischio
altrimenti, ha continuato Lombardo, è quello di alimentare un "sistema
di comunicazione che serve a sviare la conoscenza su questi fenomeni".
Riguardo l'importanza dell'informazione il sostituto procuratore ha
denunciato quanto poco spazio è stato dato ad esempio alla seconda
guerra di mafia a Reggio Calabria: "Mille morti ammazzati non sono stati
ritenuti degni di notizia a livello nazionale e questo è molto grave.. è
stato il più cruento scontro armato che è avvenuto senza essere
tuttavia classificato come guerra, è un paese civile quello dove si
registrano questi fenomeni?". Per questo Lombardo ha sottolineato
l'importanza di avere uno Stato "dinamico, autorevole, che si arrabbia e
non uno Stato del participio passato di stare, perchè il sangue delle
nostre vittime ha lo stesso valore di tutte le altre vittime del mondo".
Una mafia invisibile
Ripercorrendo per alcuni
nodi fondamentali l'evoluzione della 'Ndrangheta, Lombardo ha spiegato
come ad un certo punto la magistratura interrogandosi sulla reale forma
della 'Ndrangheta si è trovata dinnanzi ad un "errore di fondo enorme,
condizionato dal fatto che mentre a Cosa nostra era stata ricostruita
l'organizzazione verticistica sulla base di collaboratori di giustizia
di grande rilievo, questo non era stato fatto per la 'Ndrangheta". Fino a
pochi anni fa infatti la struttura della mafia calabrese era spiegata
orizzontalmente, senza grandi gerarchie e negando la presenza di
collaboratori di giustizia di grosso calibro. Invece già negli "anni '90
a Reggio Calabria collaboravano con giustizia soggetti di livello
criminale straordinario - ha spiegato il pm di Reggio Calabria - con il
limite che questi soggetti avevano inserito, accanto a quello già in
parte dimostrato dai processi, dei temi ulteriori, imprevisti".
Soltanto
"le attività d'indagine del 2005-2006 vanno a valorizzare quei passaggi
che dimostravano che c'erano tendenzialmente delle strutture
verticistiche".
Addirittura Lombardo ha raccontato di un dialogo
registrato durante le indagini sulla superstrada statale 106 ionica tra
due coniugi in cui il marito, "che era apparentemente sindacalista che
faceva da raccordo tra le varie famiglie mafiose e la società italiana
per le condotte d'acqua … dice 'quello che vedi non è la 'Ndrangheta
come te l'hanno raccontata, quella che conta davvero è la cosiddetta
'Ndrangheta invisibile che è molto più legata ad ambiti massonici e
complessi e che comanda perchè accanto a chi comanda e decide c'è chi
esegue'". La mafia presentata dal magistrato di Reggio Calabria è quindi
una mafia "invisibile" ancora più difficile da scovare e condannare,
ecco perchè "E' necessario per i magistrati avere la forza e la
possibilità di fare indagini complete, solo la completezza
dell'investigazione ci può far capire se quei soggetti fanno parte della
struttura criminale e si nascondono… o se invece stanno all'esterno e
quindi dall'esterno la favoriscono - ha spiegato il sostituto
procuratore di Reggio - questo dipende da una serie di fattori, il
fattore principale che io ritengo condizioni fino in fondo il nostro
lavoro è uno solo: il contrasto alle mafie non è una priorità dello
Stato italiano". Un aiuto che le Istituzioni potrebbero dare nella
lotta alla mafia secondo Lombardo, sarebbe ad esempio una norma chiara
sul concorso esterno di associazione mafiosa, un "problema che esiste da
140 anni". Fin dall'epoca di Falcone e Borsellino "c'era la
consapevolezza che era difficile dimostrare queste condotte perchè è un
istituto sostanzialmente di creazione giurisprudenziale che la nostra
classe politica cerca di indebolire sempre di più perchè capisce
perfettamente che il problema è lì".
"Quando siamo andati a cercare
conferme sul fatto che ci potessero essere componenti riservati delle
mafie che in qualche modo noi avevamo tentato di ricondurre ad una
fattispecie criminosa ed avevamo utilizzato il concorso esterno, ci
siamo resi conto anche del motivo per il quale quelle contestazioni
quasi regolarmente andavano incontro a sentenze di assoluzione - ha
sottolineato Lombardo - perchè stavamo contestando a determinati
soggetti che facevano parte della struttura criminale in una componente
invisibile un reato che era sbagliato perchè li collocavamo all'esterno
di quella struttura criminale."
Questa sera verrà trasmesso il film "LEA", dedicato a Lea Garofalo, testimone di giustizia, uccisa in un agguato organizzato dal suo ex compagno, il boss della ‘ndrangheta Carlo Cosco. Il film andrà in onda su Rai Uno, in prima serata.
"Lea" è il Film TV di Marco Tullio Giordana che andrà in onda questa sera, il 18 novembre, in prima serata su Rai Uno.
Il regista de I Cento Passi e de La Meglio Gioventù, Marco Tullio Giordana, è tornato dietro la macchina da presa per dirigere un film tv ispirato alla vita di Lea Garofalo, vittima
della ‘ndrangheta.
La storia di Lea e Denise Garofalo
fonte CN24
La storia di
Lea narra di una donna coraggiosa. Lea nasce a Petilia Policastro il 24 aprile 1974. Anche lei, come Peppino Impastato e Rita Atria, cresce in una famiglia legata alle mafie di quelle terre. All’età di 13 anni Lea si innamora di Carlo Cosco dal quale, dopo 4 anni, avrà la figlia Denise. Anche Carlo Cosco è un esponente della 'ndrangheta calabrese, ma la Garofalo sente il bisogno di avere
una vita diversa, senza paura e senza violenza.Nel 2002 Lea Garofalo
decide che è giunto il momento di iniziare a collaborare con la
giustizia e di conseguenza viene inserita nel programma di protezione
insieme alla figlia Denise.
In quegli anni Lea vive in solitudine,
cambiando spesso residenza e raccontando ai magistrati tutti gli affari
illeciti del clan dell’ex compagno. Nel 2009 la donna, sfiduciata dalle
Istituzioni, esce dal sistema di protezione e ritrovandosi in
difficoltà economiche chiede all’ex compagno di contribuire al
mantenimento della figlia Denise. Da Campobasso, Lea si sposta quindi a
Milano, dove cade nella trappola di Cosco che approfitta della
situazione per far rapire Lea. Lea Garofalo scomparve la sera del 24 novembre del 2009. Una telecamera di servizio riprese l'ultima passeggiata di Lea e Denise a Milano, immediatamente prima che la donna venisse sequestrata dal marito. (vedi qui).
A catturare i
responsabili della morte di Lea ci penserà Denise, sua figlia. Nonostante la
giovanissima età, Denise fornirà un contributo fondamentale per individuare e
processare tutti i responsabili dell’omicidio della madre, costituendosi
"parte civile" nel processo contro il suo stesso padre.
Emerge così la verità sulla fine di Lea Garofalo.
In un primo tempo, le indagini portarono alla convinzione degli inquirenti che la donna, dopo essere stata
torturata per ore, venisse uccisa e il corpo dissolto
nell’acido.Tuttavia, grazie alle rivelazioni di Carmine Venturino, uno degli indagati, i poveri resti del corpo della donna sono stati ritrovati nel 2012 in un terreno del comune di Cormano ( Mi) La
sua identità è stata confermata dall’esame del DNA.
Lea Garofalo venne sequestrata, torturata, uccisa e il corpo dato alle fiamme. La barbarie degli "uomini d'onere" arriva a questo!
Alla
fine dell'iter processuale, nel 2013, la Cassazione si è pronunciata definitivamente sul processo per la
scomparsa, l’omicidio e la distruzione del cadavere di Lea Garofalo con
la condanna definitiva: Carlo e Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino sono condannati all'ergastolo; 25 anni di
reclusione per Carmine Venturino e assoluzione per non aver commesso il
fatto per Giuseppe Cosco; inoltre la Corte ha disposto il risarcimento
dei danni per le parti civili: la figlia, la madre e la sorella di Lea
Garofalo e il comune di Milano.
Il 19 ottobre 2013 si sono svolti a Milano,
in piazza Beccaria, i funerali civili di Lea Garofalo. In piazza erano
presenti migliaia di persone, fra le quali anche Don Luigi Ciotti, in rappresentanza di LIBERA, e il sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Lo stesso giorno è stato intitolato a Lea Garofalo un giardino pubblico in viale Montello a Milano; a quel luogo, altri ne sono seguiti dedicati alla memoria di LEA GAROFALO: una donna coraggiosa.
Dopo i tragici avvenimenti di Parigi il vescovo di Pinerolo, monsignor Pier Giorgio Debernardi, ha rilasciato una dichiarazione condannando duramente le violenze dei terroristi e richiamando ai valori della pacifica convivenza tra fedi diverse.
Riportiamo di seguito il testo del
messaggio con in quale invita i musulmani del territorio pinerolese ad
un comune momento di preghiera.
"Sono atti di barbarie feroce quelli
dell’attentato all’areo russo nel deserto del Sinai e quest’ultimo nel
cuore di Parigi. Soprattutto è inaudita follia pensare di continuare a
progettare altri attentati in altre città europee. Anche oggi
la risposta non è mettere in atto la violenza per arginare la violenza.
Saremmo anche noi insensati. Ma serve la volontà determinata da parte
di tutti gli stati, ancora immuni da integralismo, di fermare questa
follia con un supplemento di intelligenza e con la forza della ragione.
Guai a gridare il nome di Dio per giustificare questa atrocità. È lo
straripamento della follia. Tutti – ogni persona di buona volontà –
devono respingere questo impazzimento della ragione. A tutti quelli che
credono in Dio, creatore dell’universo e della persona umana, rivolgo
l’invito ad unirci in preghiera e per impegnarci con le nostre forze a
voltare pagina in questo oscuramento della storia.
Rivolgo l’invito a tutti i fedeli islamici presenti nel nostro
territorio a trovar un momento per dire insieme un “no” deciso e forte a
questa strategia di violenza e invocare insieme il Dio della pace."
mons. Debernardi con i rappresentanti della comunità islamica di Pinerolo, nel giorno della fine del Ramadan
Il
presidio LIBERA “Rita Atria” Pinerolo, i rappresentanti di Istituto e Consulta del Liceo Scientifico "M. Curie" di Pinerolo, invitano all'incontro pubblico:"Rendiamo
illegale la povertà: reddito di cittadinanza è reddito di dignità" che si terrà a Pinerolo questa sera, 13 novembre 2015 , alle ore 21.00 presso l'Auditorium del Liceo Scientifico "M. Curie" .
Tema dell'incontro
sarà il contrasto alla povertà attraverso la proposta del cosiddetto “reddito
di cittadinanza” ( o “di dignità”).E'
la richiesta, condotta anche da LIBERA e GRUPPO ABELE con la campagna “Miseria Ladra”, di un
impegno concreto della politica italiana affinchè si costruiscano condizioni di
dignità a partire dalle persone che più soffrono a causa della crisi economica
che attraversiamo.
Le parole di don Luigi Ciotti: “(...)il reddito di
dignità è anche un atto di vera politica.: perché decide sui processi economici
invece che subirli e ha il coraggio di modificarli quando ostacolano il bene
comune; perché crede che la giustizia sociale sia il vero antidoto alle mafie,
alla corruzione, ai privilegi e agli abusi di potere; perché sa che certi
frangenti delicati come questo, il sostegno ai deboli, alle vittime, agli
emarginati è un imperativo etico, un obbligo di coscienza che precede ogni
valutazione, ogni calcolo, ogni opportunità.(...)”.
Il dovere della Memoria impone la filessione su un uomo come Pier Paolo Pasolini, ucciso la notte del 2 novembre 1975 sulla spiaggia dell'Idroscalo di Ostia.
"L'intellettuale scomodo", dalle mille contradizioni, pure colui che in maniera "eretica" analizza e predice la condizione di degrado -civile e morale- a cui la società italiana si andava incamminando. Ancora oggi appaiono drammaticamente profetiche le sue analisi: sui falsi miti della modernità; sul nascente fenomeno del "consumismo"; sul decadimento dei valori e dei legami affettivi delle comunità; sulla trasformazione
“antropologica” che gli italiani parevano subire, aderendo a modelli di cui oggi avvertiamo -con colpevole ritardo- la vacuità e
la insostenibilità.
Riproponiamo l'ultima intervista di Pier Paolo Pasolini rilasciata a Furio Colombo. Fra le tante cose su cui Pasolini rilfette in quella intervista ci colpisce una, che di certo non è la più importante: "(...)Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per
abbattere quel padrone senza diventare quel padrone.
Ancora una volta, per l'ultima volta, Pasolini appare "profetico" quando oggi vediamo coloro che hanno costruito carriere e privilegi personali ( o di casta) fingendosi difensori dei deboli, paladini di legalità o di buona politica. Ancora una volta, per l'ultima volta, Pasolini appare "profetico" anche con se stesso: "(...) Lo sanno
tutti che io le mie esperienze le pago di persona. Ma ci sono anche i
miei libri e i miei film. Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a
dire che siamo tutti in pericolo".
Per lui, a noi, parlano ancora i suoi libri, i sui film, le sue parole.
Furio Colombo: "Questa intervista ha avuto luogo sabato 1° novembre (1975), fra le 4 e le 6
del pomeriggio, poche ore prima che Pasolini venisse assassinato. Voglio
precisare che il titolo dell’incontro che appare in questa pagina è
suo, non mio. Infatti alla fine della conversazione che spesso, come in
passato, ci ha trovati con persuasioni e punti di vista diversi, gli ho
chiesto se voleva dare un titolo alla sua intervista.
Ci ha pensato un po’, ha detto che non aveva importanza, ha cambiato
discorso, poi qualcosa ci ha riportati sull’argomento di fondo che
appare continuamente nelle risposte che seguono. «Ecco il seme, il senso
di tutto – ha detto – Tu non sai neanche chi adesso sta pensando di
ucciderti. Metti questo titolo, se vuoi: “Perché siamo tutti in
pericolo”».
"Perché siamo tutti in
pericolo"
Pasolini, tu hai dato nei tuoi articoli e nei tuoi scritti,
molte versioni di ciò che detesti. Hai aperto una lotta, da solo, contro
tante cose, istituzioni, persuasioni, persone, poteri. Per rendere meno
complicato il discorso io dirò «la situazione», e tu sai che intendo
parlare della scena contro cui, in generale ti batti. Ora ti faccio
questa obiezione. La «situazione» con tutti i mali che tu dici, contiene
tutto ciò che ti consente di essere Pasolini. Voglio dire: tuo è il
merito e il talento. Ma gli strumenti? Gli strumenti sono della
«situazione». Editoria, cinema, organizzazione, persino gli oggetti.
Mettiamo che il tuo sia un pensiero magico. Fai un gesto e tutto
scompare. Tutto ciò che detesti. E tu? Tu non resteresti solo e senza
mezzi? Intendo mezzi espressivi, intendo…
Sì, ho capito.Ma io non solo lo tento, quel pensiero magico, ma ci
credo. Non in senso medianico. Ma perché so che battendo sempre sullo
stesso chiodo può persino crollare una casa. In piccolo un buon esempio
ce lo danno i radicali, quattro gatti che arrivano a smuovere la
coscienza di un Paese (e tu sai che non sono sempre d’accordo con loro,
ma proprio adesso sto per partire, per andare al loro congresso). In
grande l’esempio ce lo dà la storia. Il rifiuto è sempre stato un gesto
essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali. I pochi
che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no, mica i
cortigiani e gli assistenti dei cardinali. Il rifiuto per funzionare
deve essere grande, non piccolo, totale, non su questo o quel punto,
«assurdo» non di buon senso. Eichmann, caro mio, aveva una quantità di
buon senso. Che cosa gli è mancato? Gli è mancato di dire no su, in
cima, al principio, quando quel che faceva era solo ordinaria
amministrazione, burocrazia. Magari avrà anche detto agli amici, a me
quell’Himmler non mi piace mica tanto. Avrà mormorato, come si mormora
nelle case editrici, nei giornali, nel sottogoverno e alla televisione.
Oppure si sarà anche ribellato perché questo o quel treno si fermava,
una volta al giorno per i bisogni e il pane e acqua dei deportati quando
sarebbero state più funzionali o più economiche due fermate. Ma non ha
mai inceppato la macchina. Allora i discorsi sono tre. Qual è, come tu
dici, «la situazione», e perché si dovrebbe fermarla o distruggerla. E
in che modo.
Ecco, descrivi allora la «situazione». Tu
sai benissimo che i tuoi interventi e il tuo linguaggio hanno un po’
l’effetto del sole che attraversa la polvere. È un’immagine bella ma si
può anche vedere (o capire) poco.
Grazie per l’immagine del sole, ma io pretendo molto di meno.
Pretendo che tu ti guardi intorno e ti accorga della tragedia. Qual è la
tragedia? La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono
strane macchine che sbattono l’una contro l’altra. E noi, gli
intellettuali, prendiamo l’orario ferroviario dell’anno scorso, o di
dieci anni prima e poi diciamo: ma strano, ma questi due treni non
passano di li, e come mai sono andati a fracassarsi in quel modo? O il
macchinista è impazzito o è un criminale isolato o c’è un complotto.
Soprattutto il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di
confrontarci da soli con la verità. Che bello se mentre siamo qui a
parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori. E
facile, è semplice, è la resistenza. Noi perderemo alcuni compagni e poi
ci organizzeremo e faremo fuori loro, o un po’ per uno, ti pare? Eh lo
so che quando trasmettono in televisione Parigi brucia tutti sono lì con
le lacrime agli occhi e una voglia matta che la storia si ripeta,
bella, pulita (un frutto del tempo è che «lava» le cose, come la
facciata delle case). Semplice, io di qua, tu di là. Non scherziamo sul
sangue, il dolore, la fatica che anche allora la gente ha pagato per
«scegliere». Quando stai con la faccia schiacciata contro quell’ora,
quel minuto della storia, scegliere è sempre una tragedia. Però,
ammettiamolo, era più semplice. Il fascista di Salò, il nazista delle
SS, l’uomo normale, con l’aiuto del coraggio e della coscienza, riesce a
respingerlo, anche dalla sua vita interiore (dove la rivoluzione sempre
comincia).
Ma adesso no. Uno ti viene incontro vestito da amico, è
gentile, garbato, e «collabora» (mettiamo alla televisione) sia per
campare sia perché non è mica un delitto. L’altro – o gli altri, i
gruppi – ti vengono incontro o addosso – con i loro ricatti ideologici,
con le loro ammonizioni, le loro prediche, i loro anatemi e tu senti che
sono anche minacce. Sfilano con bandiere e con slogan, ma che cosa li
separa dal «potere»?
Che cos’è il potere, secondo te, dove è, dove sta, come lo stani?
Il potere è un sistema di educazione che ci divide in soggiogati e
soggiogatori. Ma attento. Uno stesso sistema educativo che ci forma
tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri. Ecco
perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo.
Se ho tra le mani un consiglio di amministrazione o una manovra di Borsa
uso quella. Altrimenti una spranga. E quando uso una spranga faccio la
mia violenza per ottenere ciò che voglio. Perché lo voglio? Perché mi
hanno detto che è una virtù volerlo. Io esercito il mio diritto-virtù.
Sono assassino e sono buono.
Ti hanno accusato di non distinguere politicamente e
ideologicamente, di avere perso il segno della differenza profonda che
deve pur esserci fra fascisti e non fascisti, per esempio fra i giovani.
Per questo ti parlavo dell’orario ferroviario dell’anno prima. Hai
mai visto quelle marionette che fanno tanto ridere i bambini perché
hanno il corpo voltato da una parte e la testa dalla parte opposta? Mi
pare che Totò riuscisse in un trucco del genere. Ecco io vedo così la
bella truppa di intellettuali, sociologi, esperti e giornalisti delle
intenzioni più nobili, le cose succedono qui e la testa guarda di là.
Non dico che non c’è il fascismo. Dico: smettete di parlarmi del mare
mentre siamo in montagna. Questo è un paesaggio diverso. Qui c’è la
voglia di uccidere. E questa voglia ci lega come fratelli sinistri di un
fallimento sinistro di un intero sistema sociale. Piacerebbe anche a me
se tutto si risolvesse nell’isolare la pecora nera. Le vedo anch’io le
pecore nere. Ne vedo tante. Le vedo tutte. Ecco il guaio, ho già detto a
Moravia: con la vita che faccio io pago un prezzo… È come uno che
scende all’inferno. Ma quando torno – se torno – ho visto altre cose,
più cose. Non dico che dovete credermi. Dico che dovete sempre cambiare
discorso per non affrontare la verità.
E qual è la verità?
Mi dispiace avere usato questa parola. Volevo dire «evidenza». Fammi
rimettere le cose in ordine. Prima tragedia: una educazione comune,
obbligatoria e sbagliata che ci spinge tutti dentro l’arena dell’avere
tutto a tutti i costi. In questa arena siamo spinti come una strana e
cupa armata in cui qualcuno ha i cannoni e qualcuno ha le spranghe.
Allora una prima divisione, classica, è «stare con i deboli». Ma io dico
che, in un certo senso tutti sono i deboli, perché tutti sono vittime. E
tutti sono i colpevoli, perché tutti sono pronti al gioco del massacro.
Pur di avere. L’educazione ricevuta è stata: avere, possedere,
distruggere.
Allora fammi tornare alla domanda iniziale. Tu, magicamente
abolisci tutto. Ma tu vivi di libri, e hai bisogno di intelligenze che
leggono. Dunque, consumatori educati del prodotto intellettuale. Tu fai
del cinema e hai bisogno non solo di grandi platee disponibili (infatti
hai in genere molto successo popolare, cioè sei «consumato» avidamente
dal tuo pubblico) ma anche di una grande macchina tecnica,
organizzativa, industriale, che sta in mezzo. Se togli tutto questo, con
una specie di magico monachesimo di tipo paleo-cattolico e neo-cinese,
che cosa ti resta?
A me resta tutto, cioè me stesso, essere vivo, essere al mondo,
vedere, lavorare, capire. Ci sono cento modi di raccontare le storie, di
ascoltare le lingue, di riprodurre i dialetti, di fare il teatro dei
burattini. Agli altri resta molto di più. Possono tenermi testa, colti
come me o ignoranti come me. Il mondo diventa grande, tutto diventa
nostro e non dobbiamo usare né la Borsa, né il consiglio di
amministrazione, né la spranga, per depredarci. Vedi, nel mondo che
molti di noi sognavano (ripeto: leggere l’orario ferroviario dell’anno
prima, ma in questo caso diciamo pure di tanti anni prima) c’era il
padrone turpe con il cilindro e i dollari che gli colavano dalle tasche e
la vedova emaciata che chiedeva giustizia con i suoi pargoli. Il bel
mondo di Brecht, insomma.
Come dire che hai nostalgia di quel mondo.
No! Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per
abbattere quel padrone senza diventare quel padrone. Poiché erano
esclusi da tutto nessuno li aveva colonizzati. Io ho paura di questi
negri in rivolta, uguali al padrone, altrettanti predoni, che vogliono
tutto a qualunque costo. Questa cupa ostinazione alla violenza totale
non lascia più vedere «di che segno sei». Chiunque sia portato in fin di
vita all’ospedale ha più interesse – se ha ancora un soffio di vita –
in quel che gli diranno i dottori sulla sua possibilità di vivere che in
quel che gli diranno i poliziotti sulla meccanica del delitto. Bada
bene che io non faccio né un processo alle intenzioni né mi interessa
ormai la catena causa effetto, prima loro, prima lui, o chi è il
capo-colpevole. Mi sembra che abbiamo definito quella che tu chiami la
«situazione». È come quando in una città piove e si sono ingorgati i
tombini. l’acqua sale, è un’acqua innocente, acqua piovana, non ha né la
furia del mare né la cattiveria delle correnti di un fiume. Però, per
una ragione qualsiasi non scende ma sale. È la stessa acqua piovana di
tante poesiole infantili e delle musichette del «cantando sotto la
pioggia». Ma sale e ti annega. Se siamo a questo punto io dico: non
perdiamo tutto il tempo a mettere una etichetta qui e una là. Vediamo
dove si sgorga questa maledetta vasca, prima che restiamo tutti
annegati.
E tu, per questo, vorresti tutti pastorelli senza scuola dell’obbligo, ignoranti e felici.
Detta così sarebbe una stupidaggine. Ma la cosiddetta scuola
dell’obbligo fabbrica per forza gladiatori disperati. La massa si fa più
grande, come la disperazione, come la rabbia. Mettiamo che io abbia
lanciato una boutade (eppure non credo) Ditemi voi una altra cosa.
S’intende che rimpiango la rivoluzione pura e diretta della gente
oppressa che ha il solo scopo di farsi libera e padrona di se stessa.
S’intende che mi immagino che possa ancora venire un momento così nella
storia italiana e in quella del mondo. Il meglio di quello che penso
potrà anche ispirarmi una delle mie prossime poesie. Ma non quello che
so e quello che vedo. Voglio dire fuori dai denti: io scendo all’inferno
e so cose che non disturbano la pace di altri. Ma state attenti.
L’inferno sta salendo da voi. È vero che sogna la sua uniforme e la sua
giustificazione (qualche volta). Ma è anche vero che la sua voglia, il
suo bisogno di dare la sprangata, di aggredire, di uccidere, è forte ed è
generale. Non resterà per tanto tempo l’esperienza privata e rischiosa
di chi ha, come dire, toccato «la vita violenta». Non vi illudete. E voi
siete, con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali,
voi siete i grandi conservatori di questo ordine orrendo basato
sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere. Beati voi che siete
tutti contenti quando potete mettere su un delitto la sua bella
etichetta. A me questa sembra un’altra, delle tante operazioni della
cultura di massa. Non potendo impedire che accadano certe cose, si trova
pace fabbricando scaffali.
Ma abolire deve per forza dire creare, se non sei un
distruttore anche tu. I libri per esempio, che fine fanno? Non voglio
fare la parte di chi si angoscia più per la cultura che per la gente. Ma
questa gente salvata, nella tua visione di un mondo diverso, non può
essere più primitiva (questa è un’accusa frequente che ti viene rivolta)
e se non vogliamo usare la repressione «più avanzata»…
Che mi fa rabbrividire.
Se non vogliamo usare frasi fatte, una
indicazione ci deve pur essere. Per esempio, nella fantascienza, come
nel nazismo, si bruciano sempre i libri come gesto iniziale di
sterminio. Chiuse le scuole, chiusa la televisione, come animi il tuo
presepio?
Credo di essermi già spiegato con Moravia. Chiudere, nel mio
linguaggio, vuol dire cambiare. Cambiare però in modo tanto drastico e
disperato quanto drastica e disperata è la situazione. Quello che
impedisce un vero dibattito con Moravia ma soprattutto con Firpo, per
esempio, è che sembriamo persone che non vedono la stessa scena, che non
conoscono la stessa gente, che non ascoltavano le stesse voci. Per voi
una cosa accade quando è cronaca, bella, fatta, impaginata, tagliata e
intitolata. Ma cosa c’è sotto? Qui manca il chirurgo che ha il coraggio
di esaminare il tessuto e di dire: signori, questo è cancro, non è un
fatterello benigno. Cos’è il cancro? È una cosa che cambia tutte
le cellule, che le fa crescere tutte in modo pazzesco, fuori da
qualsiasi logica precedente. È un nostalgico il malato che sogna la
salute che aveva prima, anche se prima era uno stupido e un disgraziato?
Prima del cancro, dico. Ecco prima di tutto bisognerà fare non solo
quale sforzo per avere la stessa immagine. Io ascolto i politici con le
loro formulette, tutti i politici e divento pazzo. Non sanno di che
Paese stanno parlando, sono lontani come la Luna. E i letterati. E i
sociologi. E gli esperti di tutti i generi.
Perché pensi che per te certe cose siano talmente più chiare?
Non vorrei parlare più di me, forse ho detto fin troppo. Lo sanno
tutti che io le mie esperienze le pago di persona. Ma ci sono anche i
miei libri e i miei film. Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a
dire che siamo tutti in pericolo.
Pasolini, se tu vedi la vita così – non so se accetti questa domanda – come pensi di evitare il pericolo e il rischio?
È diventato tardi, Pasolini non ha acceso la luce e diventa
difficile prendere appunti. Rivediamo insieme i miei. Poi lui mi chiede
di lasciargli le domande. «Ci sono punti che mi sembrano un po’ troppo
assoluti. Fammi pensare, fammeli rivedere. E poi dammi il tempo di
trovare una conclusione. Ho una cosa in mente per rispondere alla tua
domanda. Per me è più facile scrivere che parlare. Ti lascio le note che
aggiungo per domani mattina».
Il giorno dopo, domenica, il corpo senza vita di Pier Paolo Pasolini era all’obitorio della polizia.
L'omaggio di Nanni Moretti a Pasolini, tratto dal film "Caro Diario":
Anche LIBERA si unisce alle critiche che da più parti sono giunte al provvedimento del governo che innalza la soglIA del contante, da 1.000 euro a 3.000 euro. Ancora una volta, la politica italiana emana leggi che sembrano andare "controtendenza", non solo rispetto al buonsenso. Siamo il paese europeo dove maggiore è l'evasione fiscale; dove le mafie dominano territori e conquistano "pezzi" sempre maggiori dieconomia, influenzando pesantemente la politica; siamo il paese dove la corruzione è il cancro che devasta quotidianamente il destino della nazione.
Ancora una volta ricordiamo la denuncia di don Ciotti su certi provvedimenti-leggi: "frutto di accordi sottobanco fra i partiti".
A quelle parole si uniscono le dichiarazioni di Roberto Scarpinato, procuratore generale a Palermo. In un'intervista al fatto Quotidiano R. Scarpinato, fra le atre cose afferma: "(...) Abbiamo una giustizia penale che pesta acqua nel mortaio con gran
spreco di risorse e nessuna reale efficacia dissuasiva. Su un piatto
della bilancia, la certezza di arricchirti a spese della collettività,
sull'altro piatto il rischio, se ti scoprono, di subire un processo
destinato a un nulla di fatto per prescrizione (...)".
Portare l’uso del contante a 3.000 euro è un errore,
perché non farà aumentare i consumi e renderà invece più semplice
mettere in circolazione denaro proveniente dall’economia sommersa, dando
un segnale di cedimento di fronte all’enorme problema dell’evasione
fiscale.
Chiediamo che venga mantenuta la soglia dei 1.000 euro e
che l’Italia si impegni a fare quel che altri Stati europei hanno messo
in pratica da tempo: semplificare l’impiego delle carte di credito e
dei bancomat, in modo che possano essere usati da tutti a prezzi molto
più contenuti.
Vogliamo che il governo ritiri il provvedimento presentato nel Consiglio dei ministri.
Chiediamo un messaggio chiaro a Camera e Senato, quando la legge di
Stabilità andrà in aula: stralciare una norma che rappresenta un
evidente segnale negativo perché dà l’idea che un po’ di “nero” sia tollerabile se si tratta di far girare i consumi. Questo il testo della nuova petizione rivolta al Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, a tutto il Parlamento per ritirare l'aumento a 3000 euro uso dei contanti. In sole48 ore dal lancio sono state superate le 15mila firme.
La legge di Stabilità 2016 ci ha regalato una brutta sorpresa:
la triplicazione della soglia per i pagamenti in contanti. Il pretesto è
quello di facilitare i consumi, ma non è mai stato dimostrato che
rendere indiscriminato l’uso dei contanti faccia aumentare gli
acquisti. Al contrario, è provato che più alto è il ricorso alle
transazioni elettroniche, maggiore è la possibilità di bloccare
operazioni illecite. Le transazioni elettroniche eliminano la
possibilità non solo di creare del “nero” ma anche di rimetterlo in
circolazione. In questo senso, nel 2011 era stato finalmente portato a
1.000 euro l’uso dei contanti proprio per disincentivare l’impiego di
denaro evaso o frutto di crimini. L’Italia è il secondo paese europeo per il valore dell’economia sommersa e ai vertici della classifica sull’evasione fiscale. Ci
aspettiamo che il governo e il Parlamento non considerino questi tristi
primati come semplici fatti, ma che impegnino tutte le loro energie per
scalfire un fenomeno che ha costi enormi per la collettività. #Renziciripensi - è l'appello finale della nuova iniziativa di Libera e Gruppo Abele- non è questo il messaggio di cui l’Italia ha bisogno. L’economia sana va a vantaggio di tutti.
“Sono norme- commenta Don Luigi Ciotti, presidente
nazionale di Libera - che rischiano di facilitare gli affari sporchi. Le
grandi organizzazioni criminali sono indifferenti al tetto dei 1000 o
3000 euro, non ne hanno bisogno per i loro affari, per le loro attività
di riciclaggio ma le mafie “vivono di compiacenze,di
altri livelli a loro servizio perché se il pesce è importante
altrettanto lo è il bacino d’acqua all’interno del quale si alimenta, un
bacino questo, anche alla luce della crisi economica e sociale che
investe il paese, non indifferente all' aumento della soglia dell'uso
del contante.”
Erri
De Luca è stato oggi assolto per le dichiarazioni No Tav! In Aula aveva
ribadito: Sabotare, verbo nobile e democratico pronunciato e praticato
da Gandhi e Mandela".
Ma troppe altre cose, oscene e immorali, sussistono in questo paese e
che occorrerebbe davvero "sabotare" avendo il coraggio etico
dell'eresia, del dire la verità che si conosce! Fra le
cose dette da Erri De Luca: "Ciò che è costituzionale si misura al
pianoterra della società."
La
dichiarazione resa da di Erri De Luca al processo di Torino. "Sarei presente in quest’aula anche se non fossi io lo scrittore incriminato per istigazione.
Aldilà del mio trascurabile caso personale, considero
l’imputazione contestata un esperimento, il tentativo di mettere a
tacere le parole contrarie. Perciò
considero quest’aula un avamposto affacciato sul presente
immediato del nostro paese. Svolgo l’attività di scrittore e mi ritengo parte lesa di ogni volontà di censura.
Sono incriminato per un articolo del codice penale che risale al
1930 e a quel periodo della storia d’Italia. Considero quell’articolo
superato dalla successiva stesura della Costituzione della
Repubblica. Sono in quest’aula per sapere se quel testo è in vigore e
prevalente o se il capo di accusa avrà potere di sospendere e
invalidare l’articolo 21 della Costituzione. Ho impedito ai miei
difensori di presentare istanza di incostituzionalità del capo
di accusa. Se accolta, avrebbe fermato questo processo, trasferito
gli atti nelle stanze di una Corte Costituzionale sovraccarica di
lavoro, che si sarebbe pronunciata nell’arco di anni. Se accolta,
l’istanza avrebbe scavalcato quest’aula e questo tempo prezioso. Ciò
che è costituzionale credo che si decida e si difenda in posti
pubblici come questo, come anche in un commissariato, in un’aula
scolastica, in una prigione, in un ospedale, su un posto di lavoro,
alle frontiere attraversate dai richiedenti asilo.
Ciò che è costituzionale si misura al pianoterra della società.
Inapplicabile al mio caso le attenuanti generiche, se quello che
ho detto è reato, l’ho ripetuto e continuerò a ripeterlo. Sono incriminato per avere usato il verbo sabotare. Lo considero nobile e democratico. Nobile perché pronunciato e praticato da valorose figure come Gandhi e Mandela, con enormi risultati politici.
Democratico perché appartiene fin dall’origine al movimento
operaio e alle sue lotte. Per esempio uno sciopero sabota la
produzione. Difendo l’uso legittimo del verbo sabotare nel suo significato più efficace e ampio.
Sono disposto a subire condanna penale per il suo impiego, ma non a
farmi censurare o ridurre la lingua italiana. ”A questo servivano
le cesoie” : a cosa? A sabotare un’opera colossale quanto nociva con
delle cesoie? Non risultano altri insidiosi articoli di ferramenta
agli atti della mia conversazione telefonica. Allora si incrimina
il sostegno verbale a un’azione simbolica? Non voglio sconfinare nel campo di competenza dei miei difensori.
Concludo confermando la mia convinzione che la linea di sedicente
alta velocità in Val di Susa va ostacolata, impedita, intralciata,
dunque sabotata per la legittima difesa della salute, del suolo,
dell’aria, dell’acqua di una comunità minacciata. La mia parola contraria sussiste e aspetto di sapere se costituisce reato".
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione
politica, economica e sociale del Paese".
Fra gli strumenti per attuare il principio della "pari dignità sociale", per rendere illegale la miseria, il cosiddetto reddito di cittadinanza, di dignità: è la richiesta, anche da parte di LIBERA, di impegno concreto politica italiana affinchè si costruiscano condizioni effettive di dignità a partire dalle persone più in difficoltà. Non è una elemosina, al contrario è la richiesta di impegno a far crescere il Paese proprio attraverso la creazione e la salvaguardia di condizioni sociali di piena dignità. Assicurare condizioni di dignità è anche il modo più efficace per spezzare "il ricatto del lavoro"; quando "il lavoro" diventa merce di scambio, offerto, barattato, da mala-politica, mafie, cricche e caste, per conquistare e difendere il loro potere e i loro privilegi.
Intervento di Don Luigi Ciotti sul Reddito di Dignità
"Siamo davanti ad una crisi causata da un forte aumento della corruzione e da una caduta verticale della dignità.Possiamo uscirne solo guarendo dalla corruzione recuperando la dignità perduta. Sono passati ormai sette anni dal biennio 2007-2008. Ma non c'è stato ancora un vero cambiamento di rotta. E' questo tentennare, questo girare attorno al problema, che amareggia il Papa quando scrive nell'enciclica appena pubblicata: "La crisi finanziaria era l'occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell'attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c'è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo. I provvedimenti presi spesso continuano a seguire il dogma del mercato. Un dogma non solo discutibile sul piano etico, ma inefficace sul piano pratico."
Il "liberismo economico" prometteva più benessere per tutti: ha prodotto disoccupazione, povertà, smarrimento, salvo per minoranze che da molto ricche sono diventate ancora più ricche. Ormai sappiamo (dovremmo sapere) che una società dove comanda il denaro - dove il denaro non è più mezzo ma fine ultimo - è una società dove la maggior parte delle persone è umiliata, offesa, sfruttata, derubata dalla sua dignità.Per ritornare in carreggiata servono allora provvedimenti urgenti. Il "reddito di dignità" è uno di questi. Certo, bisogna studiare la formula. Scegliere fra le varie proposte la più efficace, in termini di rapporto fra costi e benefici, ma soprattutto quella che meglio incontra aspettative di milioni di persone, i loro bisogni e le loro speranze. E anche fare un po' di chiarezza. Si è fatta (e in parte si continua a fare) confusione tra reddito di cittadinanza e reddito minimo garantito. Chiariti i particolari tecnici e risolto il nodo del reperimento fondi (attraverso la riduzione delle spese militari, il recupero dell'evasione fiscale, la soppressione delle deroghe sugli appalti per le grandi opere, che fanno lievitare la spesa e la corruzione) va sottolineato che il reddito di dignitànon è un provvedimento assistenzialistico.E' una misura di giustizia sociale e , dunque, un investimento di speranza. E' necessario ribadire con forza che se cresce il welfare cresce il Paese perché il welfare non è un lusso, ma un bene comune per cui impegnarsi. I diritti sociali abilitano a esercitare gli altri diritti quelli civili, quelli politici. Ma il reddito di dignità è anche un atto di vera politica.Per tre ragioni: perché decide sui processi economici invece che subirlie ha il coraggio di modificarli quando ostacolano il bene comune;perché crede che la giustizia sociale sia il vero antidoto alle mafie, alla corruzione, ai privilegi e agli abusi di potere; perché sa che certi frangenti delicati come questo, il sostegno ai deboli, alle vittime, agli emarginati è un imperativo etico, un obbligo di coscienza che precede ogni valutazione, ogni calcolo, ogni opportunità. Si è sentito dire che il "reddito di cittadinanza" non è una misura di sinistra perché la sinistra non fa assistenza, ma dà lavoro. Belle parole, ma intanto cosa facciamo con i milioni di poveri, di disoccupati? Con chi vive in strada, razzola nei cassonetti, lavora ma non ha un salario che permette di sopravvivere? Quando una persona sta affogando, ci si tuffa in acqua e si cerca di portarla in salvo, non si sta a discutere se farlo nuotando a rana o a stile libero..."Ancora una volta si tratta di tradurre in scelte coerenti documenti che stanno alla base della nostra vita civile e che dunque ci siamo impegnati a realizzare come politici, amministratori, come società responsabile e semplici cittadini.Penso all'articolo 34 della Carta di Nizza dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, dove si dice: "(...) Al fine di lottare contro l'esclusione sociale e la povertà, l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti
“Siamo davanti ad una crisi causata da un forte aumento della corruzione e da una caduta verticale della dignità. Possiamo uscirne solo guarendo dalla corruzione recuperando la dignità perduta”. Queste le parole con cui don Luigi Ciotti ha aperto, questa mattina, l’incontro sul reddito di dignità promosso a Roma da Libera e Gruppo Abele nella Sala dei Gruppi della Camera dei deputati. Una mattinata di discussione e costruzione, incentrata sulle misure politiche da adottare per impedire che la crisi economica si tramuti in uno stillicidio sociale. Un tavolo allargato, cui hanno preso parte associazioni, sigle sindacali, movimenti studenteschi. E molti esponenti politici: i grillini Alessandro Di Bttista e Nunzia Catalfo; Loredana De Petris e Arturo Scotto, esponenti Sel; le democrats Enza Bruno Bossio e Cecilia Guerra; Pippo Civati, di “Possibile”, fuoriuscito dell’ultima ora del Pd. E se al termine della discussione è Nicola Fratioianni (Sel) il primo ad ammettere che i tempi son maturi per ripensare nuove politiche di redistribuzione del reddito, a suonare l’allarme e la riflessione per primo è stato don Ciotti. “Il welfare non è un lusso”, ha ribadito, con forza, il presidente di Libera, scagliando con forza la sua critica contro un sistema che continua “a seguire il dogma del mercato. Un dogma non solo discutibile sul piano etico, ma inefficace sul piano pratico”. Un sistema diseguale, dunque, causa delle divaricazioni sociali in atto. Don Ciotti cita papa Francesco. Legge un passaggio, uno dei più significativi, dell’enciclica Laudato si: “La crisi finanziaria era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo”. E contro i “criteri obsoleti”, quelli che hanno prodotto “disoccupazione, povertà, smarrimento, salvo per minoranze che da molto ricche sono diventate ancora più ricche”, la sola ricetta si chiama dignità. “Ormai sappiamo – le parole di don Ciotti – che una società dove comanda il denaro, dove il denaro non è più mezzo ma fine ultimo è una società dove la maggior parte delle persone è umiliata, offesa, sfruttata, derubata dalla sua dignità. Per ritornare in carreggiata servono allora provvedimenti urgenti. Il reddito di dignità è uno di questi”. Ma le teorie non bastano. “Bisogna studiare la formula”, spiega il presidente di Libera e Gruppo Abele. Perché non di “provvedimento assistenzialistico” si tratta, ma di “una misura di giustizia sociale e, dunque, un investimento di speranza”. Invita a colpire quelle spese dietro cui si annidano le più grandi ingiustizie. E snocciola: “riduzione delle spese militari, recupero dell’evasione fiscale, soppressione delle deroghe sugli appalti per le grandi opere”. “Il reddito di dignità – ha spiegato inoltre don Ciotti – è un atto di vera politica”. Per tre ragioni. Primo: “perché decide sui processi economici invece che subirli e ha il coraggio di modificarli quando ostacolano il bene comune”; poi, perché “crede che la giustizia sociale sia il vero antidoto alle mafie, alla corruzione, ai privilegi e agli abusi di potere”; e, infine, perché “sa che certi frangenti delicati come questo, il sostegno ai deboli, alle vittime, agli emarginati è un imperativo etico, un obbligo di coscienza che precede ogni valutazione, ogni calcolo, ogni opportunità”. E tornando sulla natura del provvedimento: “Si è sentito dire che il reddito di cittadinanza non è una misura di sinistra perché la sinistra non fa assistenza, ma dà lavoro. Belle parole, ma intanto cosa facciamo con i milioni di poveri, di disoccupati? Con chi vive in strada, razzola nei cassonetti, lavora ma non ha un salario che permette di sopravvivere?”. Questioni quotidiane, quelle cui ha fatto riferimento don Ciotti, chiosando: “Quando una persona sta affogando, ci si tuffa in acqua e si cerca di portarla in salvo, non si sta a discutere se farlo nuotando a rana o a stile libero”. - See more at: http://www.narcomafie.it/2015/06/30/reddito-cittadinanza-non-e-assistenzialismo-ma-atto-di-vera-politica/#sthash.CeYUsSB3.dpuf
secondo modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e parassi nazionali".
O al passo della nostra Costituzione (art.36) dove si afferma: "(...) il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa".Non basta fare analisi a
tavolino e proporre soluzioni che non guardano in faccia le persone, le
loro storie, i loro bisogni, i loro desideri. Lavoriamo insieme perché la povertà e la
fatica della gente sono arrivate a livello mai visto. L'inclusione sta
alla base della democrazia, nei diritti degli altro riconosciamo
i nostri diritti. Nelle loro speranze le nostre speranze. Noi chiediamo
ai politici di mettersi nei panni delle persone. Davanti la
disperazione delle persone non ha senso parlare di gradi opere spesso
inutili: ad esempio, il "ponte sullo stretto. Libera non ha alleanza politiche
di sorta ma è disposta, come sempre, con chiunque si impegno seriamente
con competenza e volontà per il reddito di dignità. Tutta Italia in
questo momento lo chiede. Sono inoltre preoccupato perché la riforma
elettorale al Senato deve inquietarci tutte e tutti. E mi chiedo,
rispetto le mafie, chi protegge Matteo Messina Denaro.