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giovedì 30 aprile 2015

Pio La Torre e Rosario Di Salvo. 30 aprile 1982

Pio La Torre e Rosario Di Salvo: vite senze compromessi, contro le mafie ed i "poteri forti". Sono le 9:20 del 30 aprile 1982. Pio La Torre sta raggiungendo la sede del PCI, a Palermo, a bordo di una Fiat 131 guidata da Rosario Di Salvo

Quando la macchina si trovò in una strada stretta, una moto di grossa cilindrata obbligò Di Salvo a fermarsi. L'auto venne investita da una raffica di proiettili. Da un'auto scesero altri killer a completare il duplice omicidio. Pio La Torre morì all'istante mentre Di Salvo ebbe il tempo per estrarre una pistola e sparare alcuni colpi, prima di soccombere.
Erano i giorni della "seconda guerra di mafia": la "mattanza" condotta dai corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano, mieteva centinaia di vittime in Sicilia . Pio La Torre propone al presidente del Consiglio Giovanni Spadolini  di inviare a Palermo -come prefetto- il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il carabiniere che ha sconfitto il terrorismo. 
Non fanno in tempo a incontrarsi.Il giorno dopo l'uccisione di Pio La Torre, arriva a Palermo il generale Dalla Chiesa. "Perché hanno ucciso La Torre?", gli chiedono i giornalisti. "Per tutta una vita", risponde lui.

 Fonte: Antimafiaduemila 

Falcone, Chinnici e Cassarà un presagio nella scena del delitto

 di Attilio Bolzoni - 29 aprile 2015

Sono lì anch’io quella mattina, con il taccuino in mano e il cuore in gola. Giro e rigiro intorno alla berlina scura, provo a non guardare quella gamba che penzola dal finestrino. Mi fa troppo paura.


Saluto Giovanni Falcone, saluto Rocco Chinnici, non ho il coraggio di avvicinarmi a Paolo Borsellino, è con le spalle al muro mentre si accende un’altra sigaretta con il mozzicone che ha già fra le dita. C’è anche Cassarà dell’Investigativa. Gli chiedo: «Ninni, cosa sta succedendo?». Mi risponde: «Questa è una città di cadaveri che camminano».
C’è un fotografo sulla strada. Aspetta che loro, Falcone e Cassarà, Chinnici , siano per un attimo tutti vicini. Poi scatta.
Ogni tanto mi capita di rivedere quella foto su qualche vecchio giornale. Dopo più di trent’anni, ho sempre un brivido. Erano tutti vicini in una strada che è un budello in mezzo alla città delle caserme, vie che portano i nomi dei generali della grande guerra, brigate e reggimenti acquartierati dietro il sontuoso parlamento dell’isola. Erano tutti lì, silenziosi e immobili intorno all’ultimo cadavere di una Sicilia tragica.
Me ne sono andato da quella strada pensando al movente della sua uccisione. Pio La Torre (in foto) lo volevano morto perché aveva capito prima degli altri che la Sicilia era diventata un laboratorio criminale, terra di sperimentazione per accordi di governo da esportare a Roma, porto franco, regno di latitanti in combutta con questori e prefetti, onorevoli mafiosi e mafiosi onorevoli. Dopo più di tre decenni la penso ancora come quella mattina di primavera: Pio La Torre è morto perché parlava due lingue, sapeva tradurre il siciliano in italiano. E aveva tutta l’autorevolezza per rappresentare a Roma quello che lui aveva capito di Palermo e della sua Sicilia.

 

Erano le 9:20 del 30 aprile 1982. Pio La Torre stava raggiungendo la sede del PCI, a Palermo, a bordo di una Fiat 131 guidata da Rosario Di Salvo.
Pio La Torre e Rosario Di Salvo
Quando la macchina si trovò in una strada stretta, una moto di grossa cilindrata obbligò Di Salvo a fermarsi. L'auto venne investita da una raffica di proiettili. Da un'auto scesero altri killer a completare il duplice omicidio. Pio La Torre morì all'istante mentre Di Salvo ebbe il tempo per estrarre una pistola e sparare alcuni colpi, prima di soccombere.
Erano i giorni della "seconda guerra di mafia": la "mattanza" condotta dai corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano, mieteva centinaia di vittime in Sicilia . Pio La Torre propone al presidente del Consiglio Giovanni Spadolini  di inviare a Palermo -come prefetto- il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il carabiniere che ha sconfitto il terrorismo. 
Non fanno in tempo a incontrarsi.Il giorno dopo l'uccisione di Pio La Torre, arriva a Palermo il generale Dalla Chiesa. "Perché hanno ucciso La Torre?", gli chiedono i giornalisti. "Per tutta una vita", risponde lui.

 Fonte : Narcomafie
A oltre tre decenni dalla morte, gli interrogativi rimangono aperti sul delitto e l'eredità civile del dirigente politico italiano. Ripercorriamo la storia di quei giorni. 
La storia
L'uccisione di Pio La Torre e del suo collaboratore Rosario Di Salvo avveniva in un clima convulso. Dalla fine degli anni settanta nella capitale siciliana era stata una sequela di delitti che avevano scosso l'opinione pubblica dell'intero Paese. Erano stati assassinati il segretario provinciale della DC Michele Reina, il giornalista Mario Francese, il vicequestore Boris Giuliano, il giudice Cesare Terranova, il presidente della Regione Piersanti Mattarella, il capitano dei carabinieri Emanuele Basile e il giudice Gaetano Costa. Tutto questo evocava già allora un disegno coeso. Lo stesso La Torre ne era in convinto, e interpretava i delitti di quel periodo come «terrorismo mafioso».
Dopo l'uccisione di Mattarella intitolava un editoriale di Rinascita: "Se terrorismo e mafia si scambiano le tecniche". Poi venne il suo turno, e dopo di lui, ancora con ritmi incalzanti, fu la volta del generale Dalla Chiesa, dei magistrati Ciaccio Montalto e Rocco Chinnici, dei poliziotti Calogero ZucchettoBeppe Montana e Ninni Cassarà, del giornalista Giuseppe Fava, dell'ex sindaco di Palermo Giuseppe Insalaco. Infine, nel pieno dell'offensiva giudiziaria di Falcone e Borsellino, che avrebbe prodotto il maxiprocesso alla mafia, il gioco cambiava. Ma era stato decapitato a quel punto il ceto politico e istituzionale della Sicilia.
Si era arrivati in realtà a uno snodo. I proventi del narcotraffico e del contrabbando incrostavano ormai da anni l'economia regionale, e le famiglie mafiose, a loro modo, avevano giocato la carta della «modernizzazione», attraverso la partecipazione alle grandi opere, sullo sfondo dei patti che correvano da decenni con la politica. Ma da tempo, tanto più dopo l'implosione del sistema Sindona, qualcosa scricchiolava. Nella relazione di minoranza della Commissione Antimafia, del 1976, Pio La Torre, dopo aver documentato gli affari illeciti della capitale siciliana, chiamando in causa tra gli altri Vito Ciancimino, Giovanni Gioia, Salvo Lima e Giovanni Matta, affermava: «Il sistema di potere mafioso è entrato ormai irrimediabilmente in crisi anche a Palermo. Ne sono una testimonianza gli ultimi sviluppi della lotta politica all'interno della DC palermitana». L'analisi, molto lucida, riusciva a interpretare una tensione reale, che sarebbe divenuta esplosiva a fine decennio, quando dentro il partito democristiano andavano polarizzandosi due visioni della politica. Da una parte era la DC di Piersanti Mattarella, presidente della Regione, che, come era nelle ispirazioni del popolarismo cattolico, guardava in avanti, in direzione di una modernizzazione conseguente, che tenesse conto dei principi di trasparenza e di moralità. Dall'altra era quella andreottiana di Salvo Lima e Mario D'Acquisto, che con varie declinazioni si ergeva a difesa del sistema che a lungo aveva retto Palermo e la Sicilia.
Insediatosi a palazzo d'Orleans il 20 marzo 1978 con l'appoggio esterno del Pci, Piersanti Mattarella per le cosche e i loro referenti diventava in poco tempo, per l'incisività della sua azione, un problema di difficile gestione. Venivano fermati appalti sospetti, si cominciava a rivoluzionare la macchina burocratica e arrivavano atti politici conseguenti, come nell'autunno del 1978, quando il presidente della Regione rimuoveva dalla sua giunta l'assessore ai Lavori Pubblici Rosario Cardillo, repubblicano, ritenuto a capo di un sistema illecito di controllo degli appalti. Ma erano percepiti altri pericoli. Cesare Terranova, finita la sesta legislatura, che gli aveva consentito di operare in seno alla Commissione Antimafia e di collaborare con La Torre e altri parlamentari della Sinistra alla stesura della relazione di minoranza, rientrava al palazzo di giustizia di Palermo con l'incarico di consigliere istruttore presso la Corte d'Appello. Da procuratore della Repubblica era riuscito a fermare Luciano Liggio, e con il nuovo incarico, oltre che con il bagaglio di conoscenze acquisite all'Antimafia, avrebbe potuto infliggere danni non meno significativi ai poteri criminali della città. La Guardia di Finanza aveva schedato intanto circa tremila imprese sospettate di collusione mafiosa, mentre da diverse parti si rivendicava una legge che consentisse di portare le indagini oltre i santuari delle banche. La bancarotta di Sindona, che registrava un clamoroso colpo di scena nel giugno 1979, con l'assassinio dell'avvocato Giorgio Ambrosoli, nominato commissario liquidatore della BPI, restava infine un nervo scoperto. E su tale sfondo di tensioni e timori cresceva con rapidità, fino a occupare in poco tempo il centro della scena, la presenza politica e legislativa di Pio La Torre.
Dopo la conclusione dei lavori della Commissione Antimafia, nel 1976, il politico siciliano, allora responsabile nazionale dell'Ufficio agricoltura del PCI, aveva continuato a seguire con scrupolo il fenomeno mafioso nel Sud, denunciandone l'evoluzione nelle sedi di partito, sulla stampa e in diverse sedute parlamentari. Egli sostenne quindi con convinzione la ricerca delle sinergie che resero possibile l'esperimento del Governo Mattarella, facendo arrivare, quando necessario, la propria voce sui percorsi della Regione, con suggerimenti anche forti. Alla Conferenza dell'agricoltura che si tenne a Villa Igea il 9 febbraio 1979, Pio La Torre non esitò a denunciare l'assessorato regionale al ramo di illeciti gravi, additandone il capo, l'andreottiano Giuseppe Aleppo, come colluso alla criminalità organizzata. E in quella occasione, Piersanti Mattarella, che chiuse i lavori con un'ampia relazione, si guardò bene dal difendere il proprio assessore, sconcertando i presenti. Il segnale che giungeva alle consorterie era chiaro.
Quando si mise in moto a Palermo la macchina degli omicidi, Pio La Torre fu tra i primi, appunto, a comprendere la complessità strategica del progettoIntervenendo alla Camera il 26 settembre 1979, appena un giorno dopo l'uccisione di Cesare Terranova e del maresciallo Lenin Mancuso, egli affermava che si era di fronte a un salto qualitativo, «ad una sfida frontale allo Stato democratico da parte dell'organizzazione mafiosa».
E due giorni dopo l'assassinio di Piersanti Mattarella sottolineava, ancora alla Camera, che in Sicilia era in corso una battaglia cruciale «fra le forze impegnate per il cambiamento contro il sistema di potere mafioso per il rinnovamento economico, sociale e democratico delle strutture dell'isola, e quanti invece difendono tenacemente il sistema di potere mafioso». Il dirigente politico non limitava però il proprio intervento all'analisi e alla denuncia. Egli riteneva che per sostenere lo scontro occorressero strumenti nuovi, soprattutto di livello normativo. Il 6 marzo alla Camera dei Deputati annunciava quindi una legge che avrebbe proposto «misure di prevenzione e di accertamento e misure patrimoniali nei confronti degli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose, la modifica del codice penale, con la definizione di associazione mafiosa, con l'obiettivo di perseguire come reato la semplice appartenenza all'associazione stessa»La legge nota come 416 bis, di cui Pio La Torre era il redattore e il primo firmatario, veniva presentata alla Camera dei Deputati il 31 marzo 1980.
Gli eventi incalzavano. Ancora nel Palermitano venivano assassinati Emanuele Basile a Gaetano Costa, e il dirigente del PCI, mentre faceva il possibile per allontanare dalle secche il suo disegno di legge, continuava ad esporsi pericolosamente. In una Tribuna politica televisiva del 30 maggio 1981 egli si domandava: «Perché sottovalutare la spaventosa coincidenza tra la presenza di Sindona a Palermo e l'esecuzione mafiosa del giudice Terranova?».
Rompendo ogni indugio, tornava poi in Sicilia, a dirigere il comitato regionale del partito. Finiva quindi sotto una pressante minaccia, mentre si accendeva nel Paese la vicenda dei missili Cruise e Pershing che la NATO, con l'avallo del governo italiano, intendeva installare nei pressi di Comiso. L'uccisione di Pio La Torre e Rosario Di Salvo avveniva appena otto mesi dopo l'arrivo del primo a Palermo. Quale ne era il significato? Ugo Pecchioli, responsabile del partito per il problemi dello Stato, in un'intervista su «L'Ora» del 2 maggio 1982, parlava di una decisione presa in alto, «dai burattinai della mafia, perché piena di implicazioni politiche». In una relazione interna dell'11 maggio rilevava inoltre che non poteva essere esclusa nessuna ipotesi, «neppure quella da qualche parte affacciatasi di connessioni straniere». E da allora l'argomento delle possibili convergenze, politiche e atlantiche, ha attraversato i decenni. Mancati però i riscontri, la morte di La Torre e del suo compagno di partito, addebitata in via definitiva a Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Giovanni Brusca e altri capimafia, resiste tra i segreti di Palermo e della Repubblica.
La considerazione del lavoro politico e civile di Pio La Torre è cresciuta di molto lungo gli anni, maggiormente per l'evoluzione, abnorme, registrata dalle narco-economie e dagli imperi criminali. In numerosi Paesi il dirigente del PCI è riconosciuto come un legislatore che ha anticipato i tempi, per avere inaugurato la storia delle leggi di contrasto alla criminalità finanziariaLa Torre ebbe tuttavia una vicenda complessa, che solo in parte è riferibile al suo impegno contro la mafia. Egli fu, prima di tutto, un meridionalista, che dagli anni del latifondo operò per il riscatto del Sud.

lunedì 27 aprile 2015

Sentinelle del territorio. Comunicato stampa delle associazioni pinerolesi sulla "Variante ponte"

SENTINELLE DEL TERRITORIO. Torniamo ad occuparci di Urbanistica perché, come abbiamo scritto sin dall'inizio della nostra attività come presidio LIBERA "Rita Atria" Pinerolo, "(...) può rappresentare un indicatore utile ad individuare gli scopi, gli indirizzi,  il “progetto generale” che guida e determina il carattere di una amministrazione locale".
Lo scorso 4-5 febraio 2015, il Consiglio Comunale di Pinerolo approvava il documento: «Adozione della proposta tecnica del progetto preliminare della variante strutturale denominata “variante ponte”(...)». 


A circa un anno dalla fine-mandato del Sindaco Eugenio Buttiero, la cosiddetta "Variante ponte" costituisce forse l'ultimo atto, importante, della politica urbanistica dell'attuale Amministrazione cittadina. Una Amministrazione che, proprio nel campo della politica urbanistica, non ha mancato di suscitare perplessità. 
Rileggendo i contenuti del programma elettorale di Eugenio Buttiero egli, al pari di tutti gli altri canditati-sindaci, aveva posto come punto qualificante la revisione dell'attuale Piano Regolatorre Generale, da tutti ( a parole") considerato sovra-dimensionato). Eppure, primo atto dell'attuale amministrazione era stato quello di riproporre l'edificazione della zona CP7, l'are a ridosso di Monte Oliveto (?) e la revisione del Piano Regolatore non è stata attuata. 
Si è preferito invece proporre una "Variante ponte"! 
All'epoca, ci si era chiesto "dove ci avrebbe portato il ponte" ( vedi qui). ed avevamo espresso le nostre riserve (vedi qui) sul contenuto del documento che si andava delineando, in quanto -sostanzialmente- non si teneva affatto conto dei rilievi e delle indicazioni presentate dalle associazioni e dai gruppi che si interessano all'Urbanistica della città.
Riconfermiamo quel giudizio e pubblichiamo il comunicato stampa  oggi rilasciato


Comunicato stampa
 
Le Associazione ed i gruppi che partecipano al Forum pinerolese per l'Urbanistica e il Territorio hanno presentato il 20 aprile scorso le Osservazioni alla “Variante ponte”. Di seguito, i principali temi trattati.

Premessa: a nostro parere, la variante strutturale denominata “Variante ponte” non risponde all'esigenze di una revisione dell'attuale -ipertrofico- Piano Regolatore, punto qualificante anche del programma elettorale dell'attuale Amministrazione. La Variante è piuttosto la mera addizione di piccoli “aggiustamenti”, volti a soddisfare le molteplici esigenze e richieste pervenute da cittadini e professionisti, senza tuttavia che queste siano inscritte in un disegno-progetto generale, organicamente compiuto.

L'effetto “perverso”. Mentre la Variante sembra prospettare una riduzione (minima!) degli “abitanti teorici” ( passando da 54.420 a 52.520 abitanti teorici), in realtà si conferma l'ipertrofia del Piano Regolatore in vigore: a fronte di dati storici demografici che attestano per Pinerolo una popolazione reale intorno ai 36.000 abitanti, si consente ancora il permanere di cubature residenziali sufficienti ai 52.520 “abitanti teorici”. Inoltre il risparmio di consumo di suolo dichiarato dalla Variante è dovuto solo in minima parte alla riduzione della “capacità edificatoria”, mentre in gran parte si basa essenzialmente sulla riduzione di infrastrutture previste nel PRGC: non sono più opere prioritarie la viabilità di bordo sud e la strada al contorno di Villaggio San Giacomo di Riva.
Singole aree: poco razionali! Tali risultano il cambiamento di destinazione d’uso previsto per l’area D 6.9 (area Gallo) da area produttiva ad area di tipo terziario-commerciale  (ennesimo centro-commerciale a Pinerolo?); così come l'aumento del rapporto di copertura dal 33 al 60% previsto per l'area RU 6.4 (area Corcos) determina un consistente incremento degli spazi destinati al commercio. Il tutto a possibile discapito del tessuto commerciale ancora presente nel centro storico della città.
La Variante presentata grava quindi il territorio comunale di un possibile incremento di 16.000 abitanti ( il 44% della popolazione reale residente!), realizzato edificando in aree agricole fertili e ricche di relazioni ecologiche con l’ambiente naturale. La Variante incide parzialmente anche sul sistema viario di penetrazione e di scorrimento, mutandone anche il carattere: da una impostazione “circolare” si passa ad una impostazione “radiale”, variando i luoghi di convergenza del traffico. Questa previsione, e tutte le altre a carattere sub-urbano, implica una modificazione dei flussi viari che possono avere ripercussioni rilevanti sulla mobilità interna e sulla vivibilità dei vari quartieri. 

Chiediamo verifiche e adeguamenti. Riteniamo necessario sottoporre la Variante a procedura di VAS e quindi alla redazione del Rapporto Ambientale. Chiediamo l'adeguamento sostanziale ai Piani Territoriali Regionali e Provinciali ed alle loro prescrizioni; la definizione dei criteri generali di applicabilità delle deroghe previste dalla legge 106/2011, a garanzia della collettività attraverso regole certe di gestione; l'adozione di un piano commerciale complessivo e coerente con la variegata realtà del commercio pinerolese.
Concludendo, quello che pare mancare alla Variante in oggetto è soprattutto l'analisi e la prefigurazione di un “progetto della città” che tenga conto della sua comunità e ne delinei un futuro possibile, sostenibile e desiderabile.

 "Salviamo il paesaggio"
 "Osservatorio 0121"
 "Legambiente" Pinerolo
 presidio LIBERA "Rita Atria Pinerolo


sabato 25 aprile 2015

25 aprile 1945-2015. Settantesimo Anniversario della LIBERAZIONE

   25 APRILE 1945 E' SEMPRE : FESTA DELLA LIBERAZIONE

LIBERAZIONE è FRUTTO della RESISTENZA:
"PER DIGNITA' NON PER ODIO"





LIBERAZIONE è FRUTTO della RESISTENZA 
"PER DIGNITA' NON PER ODIO"

"(...)Vittoria contro noi stessi: aver ritrovato dentro noi stessi la dignità dell’uomo. Questo fu il significato morale della Resistenza: questa fu la fiamma miracolosa della Resistenza.
Aver riscoperto la dignità dell’uomo, e la universale indivisibilità di essa: questa scoperta della indivisibilità della libertà e della pace, per cui la lotta di un popolo per la sua liberazione è insieme lotta per la liberazione di tutti i popoli dalla schiavitù del denaro e del terrore, questo sentimento della uguaglianza morale di ogni creatura umana, qualunque sia la sua nazione o la sua religione o il colore della sua pelle, questo è l’apporto più prezioso e più fecondo di cui ci ha arricchito la Resistenza."

 Piero Calamandrei


Martedì scoroso 21 aprile 2015, molti avranno assisitito all'intervento del partigiano Umberto Lorenzoni ( Loris era il suo nome di battaglia) nel corso della trasmissione BALLARO' (qui il brano). Nel filmato che ha accompagnato la testimonianza di Umberto Lorenzoni, le risposte di "cittadine e cittadini, più o meno giovani" alla domanda : cosa festeggiamo il 25 aprile?
In tanti -giovani e adulti- ignoravano persino quale fosse l'oggetto della" festa" del prossimo 25 aprile; in tanti -giovani e adulti- mostravano vuoto disinteresse per i sacrifici ed i valori per i quali hanno combattuto le donne e gli uomini della LIBERAZIONE , della RESISTENZA. Si mostrava disinteresse per quella che è stato il frutto di quei sacrifici: la  DEMOCRAZIA che significa LIBERTA', che è Partecipazione e Responsabilità
Di fronte a  quelle risposte, è mio parere, penso non sia casuale  il disegno-progetto a cui stiamo assistendo: tratteggiare le forme di democrazia di secondo livello, di "democratura-a-venire",
Un disegno-progetto che non è casuale: ascoltando quelle risposte, la sensazione che si prova è che una parte di questo paese sia già pronta ad accettarla, quella forma di "democrazia" mutilata (la democratura!) ! Una parte di questo paese è già pronta, di nuovo, per sentire "accettabili" quelle forme di democrazia ("limitata"); una parte di questo paese, forse una cospicua porzione, pare non sapere che farsene di una DEMOCRAZIA che significhi Partecipazione e Responsabilità.
Nel Settantesimo Anniversario della LIBERAZIONE,  la chiamata alla "LIBERAZIONE" di uomini e donne che come Umberto Lorenzoni hanno combattuto è ancora attuale. Le parole (vecchie) che Umberto Lorenzoni ha voluto ricorare a noi tutti:"Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo.Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza.Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza". Antonio Gramsci

Arturo Francesco Incurato

venerdì 24 aprile 2015

FIACCOLATA DEL 24 APRILE 2015: affinchè sempre si ricordi cosa è stata la RESISTENZA

Con partenza alle ore 21 da Piazza Facta a Pinerolo, si svolgerà per le vie cittadine la Fiaccolata in onore del 70° Anniversario della Liberazione.
Libertà è partecipazione e responsabilità 
"Ragazzi godetevi la vita, innamoratevi, siate felici ma diventate partigiani di questa nuova resistenza, la resistenza dei valori, la resistenza degli ideali. Non abbiate mai paura di pensare, di denunciare, e di agire da uomini liberi e consapevoli. State attenti, siate vigili, siate sentinelle di voi stessi!
L’avvenire è nelle vostre mani. Ricordatelo sempre!
"

Antonino Caponnetto


Comunicato ANPI Pinerolo: "I Partigiani lottarono e sacrificarono le loro vite per donarci la libertà e un 'Italia ove non vi fosse più discriminazione politica, religiosa e razziale verso nessuno. Facendo tesoro del loro insegnamento, il Tema portante della Fiaccolata del 24 aprile è il rifiuto della sempre più dilagante opera d'intolleranza tra i popoli e la gente che a livello internazionale e nazionale viene fomentato, sia per motivi nazionalisti, religiosi, etnici, economici, ecc...Con la conseguenza che in gran parte del mondo, questa intolleranza sfocia il più delle volte in scontri armati e violenze inaudite, di cui son vittime innanzi tutto le popolazioni civili. Anche nel nostro Paese c'è chi fomenta l'avversione verso chi si ritiene "diverso" da noi e attacca aspramente chi non condivide e contrasta democraticamente questo modo indegno e pericoloso di agire e pensare.
Occorre riflettere sul momento storico che stiamo atraversando e rifiutare questo clima d'intolleranza crescente.
"

lunedì 20 aprile 2015

Quel naufragio è anche figlio del naufragio delle nostre coscienze

LIBERA: "È una triste storia che continua e anche le parole sono stanche. Sono morti che devono pesare sulle coscienze di tutti.
 
I superstiti del naufragio sulla nave Gregoretti


E dovono farci dire basta! Basta ai trafficanti di morte, basta ai venditori di illusioni, basta a chi anche su queste morti fa propaganda, basta a chi cerca scorciatoie con leggi che negano diritti, alimentano illegalità e disperazione.
Le morti di questa ennesima e dolorosa tragedia, non possono essere considerate una fatalità, come non possono essere quelle delle centinaia di migliaia di persone che, dal 1988 a oggi, dopo aver patito fame, guerre e violenze, hanno cercato di raggiungere un’Europa sognata come terra promessa e scoperta come fortezza, spazio chiuso e ostile. 
A ucciderle sono state allora leggi costruite per renderci ciechi e insensibili. Leggi che parlano di «flussi» invece che di persone, che alimentano paure invece di costruire speranze. Leggi che hanno favorito indirettamente i traffici, le forme di sfruttamento e di violenza. 
Leggi, infine, a cui non basta più rimediare con la solidarietà, col cuore generoso di chi accoglie nella quotidianità o si prodiga nei soccorsi quando avvengono tragedie come quelle di queste ore. Nessuno, sull'immigrazione, ha la ricetta in tasca. 
Ma il forte elemento multietnico della nostra società - una realtà di fatto, piaccia o dispiaccia a qualcuno - ci impone di trovare il difficile punto di equilibrio tra accoglienza e legalità. 
All'Italia e all'Europa, alla politica chiediamo un atto di coraggio: abbandonare la facile strada del consenso per imboccare quella difficile ma feconda della giustizia sociale. Una politica che sia capace di trasformare quelle paure in speranze. Davanti a questa tragedia, come chiediamo conto alla politica, siamo chiamato anche noi come cittadini, come associazioni, come gruppi ad assumerci la nostra quota di responsabilità. Quel naufragio è anche figlio del naufragio delle coscienze, e solo una coscienza risvegliata, corresponsabile, restituirà a quelle persone la dignità che gli è stata tragicamente negata .” 
nota di Libera sull'ennesima tragedia dei migranti nel Canale di Sicilia.


Fonte: La Repubblica
Centinaia di persone, oltre 700 secondo i testimoni, oltre 900 secondo un sopravvissuto ricoverato a Catania, sono morte in un naufragio nel canale di Sicilia (mappa), in quello che rischia di essere la peggior tragedia di migranti di sempre. I migranti erano su un peschereccio partito da est di Tripoli. Stipati come animali, in una barca lunga dai 20 ai 30 metri. Intorno a mezzanotte l'allarme, lanciato da bordo, quando la barca si trovava a circa 70 miglia (circa 120 chilometri) dalle coste libiche, è stato raccolto dal Centro Nazionale di Soccorso della Guardia Costiera. Secondo le prime informazioni raccolte da un superstite ricoverato a Catania, i migranti naufragati provengono da diverse Nazioni, tra cui Algeria, Egitto, Somalia, Nigeria, Senegal, Mali, Zambia, Bangladesh, Ghana. Lo rende noto la Procura di Catania, spiegando che il migrante ricoverato al Cannizzaro e' del Bangladesh ed e' in cura per patologie "di natura indipendente dal naufragio". E' stato sentito dalla Squadra Mobile e ha reso dichiarazioni anche circa il numero dei migranti a bordo del peschereccio, che ha indicato in 950, tra cui circa 200 donne e tra i 40 e i 50 bambini. Molte delle vittime sarebbero state rinchiuse nella stiva dai trafficanti prima della partenza.“Proviamo un immenso dolore per queste morti innocenti.

domenica 19 aprile 2015

"Mafia provinciale": la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci

Riportiamo il testo dell'articolo "Mafia provinciale", resoconto dell'incontro avuto da Arturo Francesco Incurato -referente del presidio LIBERA "Rita Atria" Pinerolo- con Vita Diocesana, il primo free-press cattolico del Piemonte, distribuito gratuitamente sull’intero territorio della diocesi pinerolese.
Fa piacere che, proprio a Pinerolo, nella nostra comunità, un organo di informazione legato alla chiesa cattolica operi la scelta "coraggiosa" di inserire in prima pagina il tema delle mafie e del "pensiero mafioso". Un tema, quello delle mafie e del "pensiero mafioso", scomodo per tutti. 
Eppure l'azione intrapresa da Papa Francesco è chiara:  la scomunica della Chiesa cattolica ai mafiosi e ai corrotti è il gesto forte, l'esempio, che altre entità del Paese paiono riottose a compiere e a mettere in atto. quasi che certe frequetazioni, ombre e comportamenti, siano diventate invece patenti di adesione al "sistema", il "sistema" di potere corrotto e corruttivo che, quotidianamente, cronache giornalistiche e giudiziarie pongono sotto i nostri occhi.
L'articolo "Mafia provinciale" è pubblicato nel numero del 19 aprile 2015 
la prima pagina di Vita Diocesana del 19 aprile 2015
“(…)Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici; la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci. Queste parole  costituiscono, a parere del gruppo pinerolese, il testamento spirituale di Rita Atria, scritte nel suo diario il giorno dopo la strage di Via D'Amelio. Rita è la ragazzzina siciliana, testimone di giustizia, a cui è intitolato il presidio LIBERA di Pinerolo. Abbiamo incontrato Arturo Francesco Incurato, che ne è il referente. In merito al apporto tra il territorio pinerolese e la malavita di stampo mafioso, Incurato non nega che ci siano relazioni:"Abbiamo alcuni esempi di beni confiscati a personaggi legati al mondo della mafia( Cantalupa, Cascina Azilla a Volvera)".
Il nostro è un territorio che ha già registrato la presenza di personaggi legati alle mafie, residenti qui o che avevano interessi economici in zona. Se per ora, nel pinerolese, non abbiamo atti penalmente rilevanti, nel territorio circostante, purtroppo, si sono registrate diverse dinamiche legate alla malavita. Commenta Incurato: " Basti pensare a quanto avvenuto nel 20111 con le operazioni denominate "Minotaturo" e "Maglio" condotte dalle forze dell'ordine; ai tre comuni ( Chivasso, Rivarolo canavese e Leinì) commissariati a seguito dell'Operazione Minotauro stessa; all'ancora del tutto insufficiente consapevolezza dei citadini e delle nostre aministrazioni circa la portata della presenza mafiosa della presenza mafiosa ( 'ndrangheta in primis) nella nostra regione. 
"La strategia delle organizzazioni malavitose è semplice, utilizza sempre gli stessi meccanismi. Proprio per questo le amministrazioni pubbliche ( ma anche le aziende private e i singoli cittadini) devono stare all'erta, ponendo attenzione ai casi di speculazione edilizia o finanziaria, di ricilaggio o invenstimenti di denaro illegale. Sono questi due i principali canali atrraverso cui le mafie penetrano e agiscono in un territorio. Lo scopo delle organizzzazioni criminali è guadagnare denaro "sporco" attraverso azioni criminali, per poi "riciclarlo" impiegandolo in situazioni pulite".

Quali i possibili campanelli di allarme di fenomeni di infiltazione mafiosa?
"Sostanzialmente due: investimenti economici abnormi o strani, sospetta provenienza di personaggi e capitali. bisogna lavorare sul principio del "pensiero mafioso", come del resto ci insegna la figura di Rita Atria: la mafia siamo noi coi nostri comportamenti. Magari "non penalmente rilevanti", ma in grado di preparare il terreno a possibili azioni malavitose. Il modo con cui viene gestita l'amministrazione pubblica di un territorio può creare situazioni favorevoli all'infiltrazione mafiosa: basti pensare al caso di bardonecchia( primo comune sciolto del Nord sciolto per mafianel 1995 n.d.r.) teaatro di speculazione edilizia guidata da parte della 'ndrangheta calabrese. Per questo, le amministrazioni devono miuoversi con cautela".
E il cittadino? In che misura i comportamenti dei singoli possono favorire certe diamiche malavitose?
"Pensiamo alle raccomandazioni, alle ingiustizie, ai privilegi, a tutte quelle volte che cerchiamo di ottenere qualcosa che non spetta o non ci meritiamo ( favori da imprenditori, politici...). Un esempio? Chiedere la prenotazione o l'anticipo di una visista medica all'amico di turno che lavora in ospedale: questo è un diritto che pretendiamo a prescindere dai nostri reali meriti. I comportamenti quotidiani dei singoli cittadini spesso ricalcano esattamente il modo di pensare delle mafie: questa è la cosa più difficiel da contrastare. La mafia , in altre parole, siamo noi"
In che modo la società civile può sensibilizzare le giovani generazioni ai valotri della lealità e della responsabilità?
"Con iniziative di informazione e di formazione. Lo scorso 21 marzo, a Pinerolo, in occasionne della XX Giornata della memoria e dell'Impegno in ricordo delle Vittime Innocenti delle mafie, si è svolta l'iniziativa che quest'anno aveva come titolo " La verità illumina la Giustizia".
Alla Giornata (qui la locandina dell'evento)  hanno partecipato i quattro istituti scolastici statali di Pinerolo (Scuola media "F. brignone", Liceo Scientifico " M. Curie", ITI "Istituto Porro", e IPSSAR " A. Prever") con i cui studenti avevamo in precedenza svolto una serie di ncontri, di taglio sotrico, presentando loro alcui personaggi-simbolo della lotta alla criminalità organizzzata. Il lavoro è pensato "in prospettiva", ma ci accorgiamo che è difficile dare continuità, a causa soprattutto dei numerosi impegni scolastici dei ragazzi. Molto positiva è comunque la collaborazione con alcuni docenti. E' stato, è, importante confrontarci con gli studenti su grandi tematiche (giustizia, problemi sociali...) cercando di stimolare il dialogo: in realtà , a ben vederem trattare il tema "mafia" è una scusa per parlare di noi stessi.. Particolarmente significativa la collaborazione con con il "Prever" e il "Porro": quest'anno, per la prima volta, abbiamo proposto questo lavoro in istituti professionali"

sabato 4 aprile 2015

Auguri per Pasqua vera

Auguri per una Pasqua che riacquisti il suo significato nel segno di un cambiamento vero: Giustizia, Dignità, Pace e Libertà per l' Umanità intera


"(...) Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci 

impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a

 cambiare, forse ce la faremo".  Rita Atria
Continuiamo ad agire per sognare!
                                                                                           presidio LIBERA " Rita Atria" Pinerolo

Un atto di Coraggio: "Ritiriamo l'adesione a EXPO 2015"

Condividiamo contenuti e determinazioni del comunicato AGESCI: troppe e oscure sono le ombre che si sono addensate attorno all'evento EXPO 2015. Ombre, personagi e situazioni vengono evidenziate e sottolienate chiaramente nel documento che riportiamo. Speculazione, corruzione, il solito spregevole rapporto fra criminalità organizzata e mala-politica, paiono aver trovato l'ennesima preda nell'evento il cui   slogan, proprio alla luce di quanto sappiamo, appare beffardo:"Nutrire il pianeta, energia per la vita".
Le cifre della devastazione ambientale compiuta per l'area dell'Expo sono eclatanti: 2 milioni di mq di suolo agricolo del Parco Sud cementificati solo per l'esposizione;
centri commerciali, bretelle ecc. ecc. ecc. 4 autostrade per centinaia di km di asfalto e 53 milioni di mq sottratti alla coltivazione. E
Le infiltrazioni criminali, i ritardi nel cantiere, la necessità di ridurre i controlli antimafia per non fermare i lavori ( leggi qui)

Quale cultura esprime una tale opera? Se lo schiedono gli scout, dovremo chiedercelo tutti quanti!

 


AGESCI (Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani): Ritiriamo l'adesione di AGESCI a Expo 2015

La petizione è in attesa di approvazione dalla comunità di Avaaz
AGESCI (Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani): Ritiriamo l'adesione di AGESCI a Expo 2015

Perché è importante

Siamo un gruppo di scout ed ex scout.
Abbiamo accolto con molta preoccupazione la scelta di AGESCI di aderire ad Expo 2015
. Ricevendone la notizia è stato spontaneo interrogarci su cosa avesse in comune il megaevento con la proposta educativa scout: nel confrontare l'immagine che di esso si va definendo con i punti della Carta di Clan, che accompagna l'essere scout dall'adolescenza all'età adulta, vi abbiamo a fatica scorto delle affinità.

Pur nella loro lunga e variegata storia, la costante delle esposizioni universali è sempre stata la brama di grandezza e sfarzo, la spettacolarizzazione di un modello di sviluppo e il culto del denaro, valori che stonano profondamente con la Fede semplice che scaturisce dal nostro vissuto scout. Allo stesso modo, il rispetto che abbiamo imparato a nutrire per il creato ci impedisce di recepire i concetti propugnati da Expo, che lo dipingono come un assemblaggio di risorse ambientali da sfruttare, vendere e acquistare.

Troviamo inoltre che una visione simile abbia per controparte l'idea di un individuo ridotto a turista, visitatore, consumatore, una rappresentazione che alimenta l'immiserimento sociale e culturale contro cui ci battiamo quotidianamente. Da scout, la crescita e la progressione personale sono sempre state tese a renderci parte attiva, competente e responsabile di Comunità che vogliamo solide e solidali nelle loro diversità.

All'interno di queste comunità coltiviamo una disponibilità al Servizio grazie a cui abbiamo già problematizzato il volontariato tout court, il suo senso e il contesto in cui si sviluppa. Per noi, declinare il servizio come lavoro gratuito per gli utili di Expo SPA – e non per Expo Onlus, che non ci risulta essere un soggetto giuridico esistente – vuol dire da un lato svilire il servizio, mercificandolo, dall'altro svilire il lavoro, annullandone il giusto riconoscimento a livello retributivo e avvicinandolo preoccupantemente alla schiavitù volontaria.
Resta solo da vedere su quale Strada, a velocità vertiginosa e inebriante, viaggia Expo 2015.
Materialmente, sull'imponente rete infrastrutturale sbloccata e ampliata per l'occasione: la Bre-Be-Mi, la Pedemontana, la TEEM, autostrade che calpestano aree boschive che hanno ospitato le nostre attività ed espropriano terreni di piccoli produttori a cui ci siamo rivolti per le nostre cambuse critiche.
Idealmente, non certo sulla strada fatta al passo dell'ultimo che abbiamo messo in pratica nel nostro cammino scout. Dove sono gli ultimi nel modello Expo? Che posto trovano? Gli ultimi del cibo dentro Expo non ci sono, ma ci sono, eccome, i loro carnefici.

Ci sono le grandi multinazionali McDonalds e Coca-Cola, ad esempio; ci sono Monsanto e Pioneer Dupont, aziende che promuovono grandi monocolture minando la biodiversità e spesso pongono i coltivatori in una condizione di dipendenza e ricattabilità. C'è Nestlé che tramite la sua società San Pellegrino venderà bibite e 150 milioni di bottigliette d’acqua all'interno del padiglione italiano, in barba a un referendum per l'acqua bene comune per il quale ci siamo impegnati come gruppi locali e di cui aspettiamo ancora una chiara ricezione politica.
Ci sono Mantovani SPA, sottoposta ad indagini per collusione con la criminalità organizzata, e Infrastrutture Lombarde, i cui vertici sono stati incarcerati lo scorso marzo per reati che vanno dalla truffa alla turbativa d'asta, mentre l’operato della commissione comunale antimafia e degli organi di garanzia è costantemente neutralizzato da una messa in deroga giustificata dall’emergenzialità del megaevento.  
Per i tanti di noi che si sono formati sui valori dell’antimafia, che hanno fatto campi a Scampia o in Sicilia nei beni confiscati, per chi ha faticosamente appreso e trasmesso i principi dell'onestà, della fiducia, della giustizia, tutto ciò è inaccettabile.
C’è Israele, che nel suo padiglione Lands of Tomorrow darà pubblico sfoggio alle politiche di esproprio statale e land grabbing con cui vengono depredati i piccoli coltivatori palestinesi; c’è Selex, l'azienda che rifornisce ufficialmente il suo esercito e che si occuperà della sicurezza sperimentando nuove tecnologie di sorveglianza e controllo. 
Da scout ci siamo impegnati nel promuovere i valori del disarmo e della pace, abbiamo organizzato marce, campi a Sarajevo o in Palestina... abbiamo imparato dalle Aquile Randagie che le sopraffazioni, le pulizie etniche e le oppressioni vanno combattute, non vanno messe in vetrina.

Ancora ci sfugge cosa lo Scautismo, che si sta trovando invischiato in questo meccanismo, abbia da spartire con esso. Ne scorgiamo, al limite, il disperato tentativo di infilare tra gli ingranaggi una briciola di positività. È nostra decisa opinione, motivata dai fatti precedentemente esposti, che non ci sia alcun margine di “redenzione” all'interno dell'affare Expo. In un mondo di maschere, l'effetto preminente del coinvolgimento di AGESCI (e dell'intera Cascina Triulza) resterà quello di fornire al tutto una facciata ammiccante con cui affermarsi pubblicamente.
Insieme abbiamo marciato un dì, per strade non battute. Ebbene, la strada di Expo è battuta da abbastanza soggetti spiacevoli perché valga la pena di non seguirli e di non legittimarli con la nostra presenza. Invitiamo cape e capi, ex cape ed ex capi, guide e scout a dissociarsi dall'adesione a Expo, che segna una bruttissima pagina dello Scautismo, e di continuare a seguire “strade non battute”, quelle dello sforzo quotidiano di portare avanti attività che alimentino le competenze, le aspirazioni, la responsabilità, la capacità di fare scelte nel e per la propria vita.

Per tutte queste ragioni, crediamo che sia dovere della guida e dello scout imboccare una strada che proceda non dentro ma in direzione ostinata e contraria rispetto al modello Expo.
In particolare, invitiamo tutte le Guide e gli Scout, tutti i Capi e le Cape, a:

  • Prendere parola in ogni sede di discussione e a ogni livello associativo per contestare l'adesione di AGESCI ad Expo 2015
  • Non prestarsi a sostenere la macchina Expo con il proprio lavoro gratuito (né a titolo personale né tantomeno in uniforme) e nemmeno con l’acquisto del biglietto
  • Sottoscrivere il presente appello, per dare un primo segnale di opposizione a questa forma di connivenza

Meccanismi perversi fuori
meccanismi che dentro teme
avere/sembrare ti prendono a fondo
cercare sé stessi è più dura, ma insieme...

mercoledì 1 aprile 2015

COSA POSSO FARE PER COMBATTERE IL SISTEMA MAFIOSO ?

Augusto Cavadi
Abbiamo conosciuto Augusto Cavadi a Pinerolo in occasione di un suo incontro con gli studenti di una scuola media "F. Brignone". Palermitano, "filosofo-in-pratica", docente del Liceo "G. Garibaldi" di Palermo, quel giorno Augusto Cavadi riuscì a spiegare in maniera  semplice, lineare, quale fosse la natura, l'essenza, delle mafie e del "pensiero mafioso": ingiustizia, violenza, sopraffazione, convenienza.

Lo ripetiamo ancora una volta: le mafie sono divenute una sorta di società di servizi e in tanti accorrono a chiedere i servizi che quelle offrono. Anche in Piemonte, anche al Nord, le numerose inchieste giudiziarie e d i processi in corso hanno oramai fatto "scoprire" la quantità e la qualità della presenza mafiosa in "pezzi" del tessuto civile, politico e imprenditoriale di quelle regioni.

Proponiamo allora la risposta offerta da Augurso Cavadi ad uno studente che gli chiede "cosa si può fare contro la mafia?".

  Fonte:  rivista “Monitor” 27.3.2015

COSA POSSO FARE PER COMBATTERE IL SISTEMA MAFIOSO

Uno studente marchigiano, Enrico Tidei, mi ha scritto tempo  fa dopo un incontro che ho tenuto per la sua scuola, l’Istituto Tecnico Commerciale di Amandola (in provincia di Fermo). Avevo un po’ illustrato alcuni tratti essenziali del sistema di dominio mafioso nel Meridione italiano e il giovane interlocutore mi ha voluto indirizzare, via internet, una domanda: Il governo vanta grandi successi nella lotta alle mafie e, a conferma, televisioni e giornali informano i cittadini sugli arresti quotidiani. Gli arresti sono necessari. Ma Lei pensa davvero che siano sufficienti per sconfiggere le mafie?”.

La risposta di Augusto Cavadi
Se le criminalità di stampo mafioso fossero bande di delinquenti – come ce ne sono state in ogni epoca e come ce ne sono su tutto il pianeta – la repressione giudiziaria e poliziesca sarebbe sufficiente. Purtroppo, però, in diverse regioni del Sud (e, ormai, anche del Centro e del Nord) ci troviamo a fronteggiare delle organizzazioni complesse, poliedriche: che hanno una struttura militare, certo, ma anche una identità culturale, una strategia politica e una vasta ramificazione in campo finanziario ed economico.

Se è così, la convinzione che trapela dal modo in cui Enrico pone l’interrogativo è ben fondata: lo smantellamento della struttura militare, per quanto necessario, è insufficiente. Catturati cinque boss, le organizzazioni mafiose ne eleggono altri cinque; sequestrate dieci imprese commerciali, le organizzazioni mafiose si impadroniscono di altre dieci. . .

Da questa complessità alcuni si lasciano scoraggiare: la mafia è troppo radicata, e troppo diffusa sul territorio, perché la si possa davvero estirpare ! E’ una reazione comprensibile, ma non giustificabile. In ogni caso, non è l’unica possibile. In Sicilia migliaia di cittadini  - una minoranza rispetto a cinque milioni di abitanti, ma una minoranza riflessiva e combattiva – provano a contrastare le associazioni mafiose precedendo, affiancando e continuando l’opera della magistratura e delle forze dell’ordine. Come ?

Ognuno di noi può fare qualcosa

- favorendo gli imprenditori puliti che si impegnano, pubblicamente, a non pagare il pizzo; 
- scegliendo partiti politici e candidati che non abbiano frequentazioni sospette; 
- testimoniando nei luoghi di lavoro  - soprattutto nelle scuole, negli ospedali e nelle carceri – i princìpi dell’uguaglianza democratica, della solidarietà civile, della giustizia sociale, della legalità costituzionale. 
La mafia è un cancro e la tattica più urgente è isolare gli “uomini d’onore” e i loro complici per evitare che moltiplichi le sue metastasi inquinando in maniera definitiva il tessuto circostante.

E’ bene che queste cose si sappiano non solo dalle nostre parti, ma anche nel resto del Paese dal momento che – per riprendere la metafora di Leonardo Sciascia – “la linea della palma” va salendo: e contrastare i mafiosi nei primi tentativi di infiltrazione è molto meno arduo che provarci quando ormai si sono insediati stabilmente in un territorio.


Augusto Cavadi