L'articolo di Tiziano Terzan e Fabio Tonacci pubblicato oggi su La Repubblica, a nostro parere, conferma i contenuti dell'intervento che il dott. Ciro Santoriello, Procuratore della Repubblica di Pinerolo ad interim, ha concesso al Presidio Rita Atria e ai partecipanti della Cena della Legalità, svoltasi a Pinerolo lo scorso 21 luglio 2012. Anticipiamo uno stralcio della riflessione del procuratore Ciro Santoriello:
"(...) La mafia non è un fenomeno criminale, è una scelta
di vita. Il mafioso è colui che vuole il denaro, il potere, che vuole più di
quello che gli spetta per quanto ha lavorato, ha studiato, ha sofferto. Ci sono
alcuni che questo denaro, questo potere lo prendono con la forza, con la
violenza; altri che, non avendo questa possibilità ma volendo lo stesso godere
di beni che non merita, si rivolge ad altri che minaccino, che uccidano per lui.
Sono diversi, ma anche uguali, perché per entrambi l'importante è possedere,
comandare, imporre, essere potente, apprezzato, invidiato." Ciro Santoriello
Gli affari degli uomini "cerniera".
I faccendieri romani legati alle cosche.
Tiziano Terzan e Fabio Tonacci
fonte: LA REPUBBLICA - 06 settembre 2012
Tiziano Terzan e Fabio Tonacci
fonte: LA REPUBBLICA - 06 settembre 2012
Sono imprenditori, soprattutto.
Ma anche politici, manager, avvocati, traffichini. Affaristi che hanno capito
che con la ricca 'ndrangheta possono fare fortuna. In cambio, stanno
consegnando le chiavi di Roma ai capi mafiosi
ROMA - Lavorano
come romani, pensano come 'ndranghetisti. Le cosche non li affiliano, gli concedono il grado di
"compari". Per gli investigatori dell'Antimafia invece sono
"uomini cerniera". Romani nati e cresciuti nella capitale, che
nella capitale vivono e fanno affari, ma con la testa rivolta alle cosche di
Reggio Calabria. Imprenditori, soprattutto. Ma anche politici, manager,
faccendieri, avvocati, traffichini. Uomini che hanno capito che con la ricca
'ndrangheta possono fare fortuna. Oliando gli ingranaggi dell'assegnazione degli
appalti, ad esempio. Sfruttando le mille scorciatoie criminali offerte dai
clan. In cambio, stanno consegnando le chiavi di Roma ai capi mafiosi. Chi sono
i romani che hanno stretto un patto con i padrini calabresi, fornendogli il
know how per investire i miliardi della droga? Come operano?
Il compare.
Quando il 29 novembre del 2010 viene
arrestato per traffico internazionale di cocaina, Federico Marcaccini a Roma è già un gigante. Tutti lo chiamano col
suo soprannome, "er pupone". Ha appena 32 anni, ma è straricco e lo
fa vedere. È un "self made man" che i soldi li ha fatti con imprese
edili, immobiliari e col commercio d'automobili. La Direzione investigativa antimafia gli sequestra un impero di
società e immobili che vale 115 milioni di euro.
Marcaccini è "un compare", è
entrato in confidenza con i figli di Giuseppe Pelle, del clan di San Luca,
guidato fino al 2009 da quell'Antonio "gambazza" che è stato uno dei
boss più influenti della 'ndrangheta. Er pupone parla con Antonio (26 anni,
residente a Roma) e Sebastiano. I magistrati di Catanzaro che lo intercettano
al telefono nell'indagine "Overloading", che ha portato in carcere
una settantina di persone, scrivono: "Tra loro si è instaurato un rapporto
di comparaggio". Addirittura Marcaccini gli "affida" la madre in
visita in Calabria. "So che viene giù questo fine settimana mia mamma... -
dice ad Antonio - giù a fare una passeggiata... magari offrigli un caffè,
no?". Favori che si scambiano, affari che nascono. E il "pupone"
è il perno romano della cosca.
Secondo l'accusa avrebbe finanziato l'acquisto di partite di cocaina. Insomma
un impresario a tutto tondo. Un uomo cerniera, che salda il sottobosco mafioso
con il tessuto economico legale. La Dia gli confisca il palazzo che ospita il
teatro Ghione, vicino a Piazza San Pietro. Un edificio prestigioso sporcato dai
denari della coca. Ma Federico Marcaccini detto "er pupone" è
qualcosa di più di un palazzinaro. Nella rete delle proprietà a lui
riconducibili figura la So. Ge. Sa, una spa che gestisce servizi aeroportuali
nonché ex sponsor della squadra femminile di pallavolo della città quando
militava in serie A2.
Il giovane e rampante imprenditore romano è anche socio occulto, secondo i
documenti in mano agli investigatori antimafia, di Tiburtina Gestione, società
attiva nella raccolta e nel trattamento rifiuti. Anche questa sequestrata. Ad
amministrarla c'è una donna indicata negli atti come una fedelissima prestanome
di Marcaccini. Si scopre che la Tiburtina Gestione è una creatura di Vittorio
Ugolini e Vincenzo Fiorillo, entrambi "ras" del business della
monnezza romana. I due imprenditori nel 1997 sono finiti sotto la lente della
Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti per un ritrovamento,
il più grande fino ad allora, di fusti contenti rifiuti industriali nocivi
nell'area di smaltimento gestita dalla Sir, la loro società. E i due erano in
società, in altri affari, con Liborio Polizzi, ex presidente del Palermo calcio
condannato per mafia nel 1998. Tasselli del mosaico di relazioni messo in piedi
da Marcaccini, il compare dei Pelle, l'uomo che crea contatti, fa parlare le
persone tra loro, suggerisce affari, gravita in questo mucchio indistinto dai
contorni grigi.
"L'ascesa e la caduta di Marcaccini è emblematica - spiega
Giuseppe Borrelli, procuratore aggiunto della procura antimafia di
Catanzaro - arriva a trafficare droga con la 'ndrangheta, ma non ne
fa mai parte organicamente. Non è un affiliato. La sua storia racconta
l'esistenza di imprenditori romani che si rapportano da pari con i boss, e
viceversa" . Uno scambio che ha un solo collante, il business.
"Le cosche vanno a Roma, la città del potere, per
investire - ragiona Borrelli - ma a ma anche per cercare
appoggi e ottenere lavori in tutta Italia".
Il segretario massone.
Per farlo ci
vogliono uomini giusti nei posti giusti. Il nome di Vincenzo Stalteri,
calabrese della Locride trapiantato a Roma e attuale segretario generale alla
provincia di Roma presieduta da Nicola Zingaretti, spunta in un'informativa del
Ros dei Carabinieri di Reggio Calabria.
Gli investigatori intercettano Domenico Barbieri e Vitaliano Grillo Brancati
imputati per 'ndrangheta nel processo Meta, il più importante dibattimento in
corso in Calabria. I due tirano dentro Stalteri e il suo passato come
segretario comunale a Palmi quando sindaco era Armando Veneto, avvocato di
pezzi grossi della 'ndrangheta e politico del Pdl. Lo definiscono - si legge
nell'informativa - "professionista fidato" e "massone iscritto
alla stessa loggia di Rocco Nasone (boss della provincia di Reggio Calabria
ndr)".
Stalteri ha un curriculum
ineccepibile, ha ricoperto numerosi incarichi in diverse province e comuni d'Italia,
da Nord a Sud. Nel 2008 Zingaretti ha selezionato il suo nome dall'albo
nazionale dei revisori dei conti. Dagli atti di Reggio Calabria, però, vengono
fuori ombre.
I carabinieri sul suo conto riportano una denuncia risalente al 2000 per reati
contro l'amministrazione di Palmi e nel 2008 un deferimento disposto dal Nucleo
di polizia tributaria di Catanzaro per abuso d'ufficio, "poiché in qualità
di ragioniere pro tempore del comune di Gioia Tauro", approvava
l'affidamento di alcuni incarichi a operatori che non ne avevano diritto.
Barbieri e Brancati, legati ai De Stefano, ne tracciano il profilo, profilo presunto
perché Stalteri non è stato indagato nell'indagine Meta. "Qua (a Palmi,
ndr) mi sono inserito io tramite il Dottor Stalteri - racconta Barbieri a
Brancati, durante un viaggio in macchina - era un segretario comunale
massone". Inserito nell'assegnazione degli appalti, intende Barbieri. E il
Ros li elenca uno per uno, nell'informativa. Millanterie di due imprenditori
della 'ndrangheta o una conoscenza reale?
06 settembre 2012
06 settembre 2012
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