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venerdì 7 settembre 2012

Le mani delle mafie su Roma. Gli affari degli uomini "cerniera". I faccendieri romani legati alle cosche

L'articolo di Tiziano Terzan e Fabio Tonacci pubblicato oggi su La Repubblica, a nostro parere, conferma i contenuti dell'intervento che il dott. Ciro Santoriello, Procuratore della Repubblica di Pinerolo ad interim, ha concesso al Presidio Rita Atria e ai partecipanti della  Cena della Legalità, svoltasi a Pinerolo lo scorso 21 luglio 2012. Anticipiamo uno stralcio della riflessione del procuratore Ciro Santoriello:  
"(...) La mafia non è un fenomeno criminale, è una scelta di vita. Il mafioso è colui che vuole il denaro, il potere, che vuole più di quello che gli spetta per quanto ha lavorato, ha studiato, ha sofferto. Ci sono alcuni che questo denaro, questo potere lo prendono con la forza, con la violenza; altri che, non avendo questa possibilità ma volendo lo stesso godere di beni che non merita, si rivolge ad altri che minaccino, che uccidano per lui. Sono diversi, ma anche uguali, perché per entrambi l'importante è possedere, comandare, imporre, essere potente, apprezzato, invidiato." Ciro Santoriello


Gli affari degli uomini "cerniera". I faccendieri romani legati alle cosche. 
Tiziano Terzan e Fabio Tonacci 
fonte: LA REPUBBLICA - 06 settembre 2012
Sono imprenditori, soprattutto. Ma anche politici, manager, avvocati, traffichini. Affaristi che hanno capito che con la ricca 'ndrangheta possono fare fortuna. In cambio, stanno consegnando le chiavi di Roma ai capi mafiosi

ROMA  - Lavorano come romani, pensano come 'ndranghetisti. Le cosche non li affiliano, gli concedono il grado di "compari". Per gli investigatori dell'Antimafia invece sono "uomini cerniera". Romani nati e cresciuti nella capitale, che nella capitale vivono e fanno affari, ma con la testa rivolta alle cosche di Reggio Calabria. Imprenditori, soprattutto. Ma anche politici, manager, faccendieri, avvocati, traffichini. Uomini che hanno capito che con la ricca 'ndrangheta possono fare fortuna. Oliando gli ingranaggi dell'assegnazione degli appalti, ad esempio. Sfruttando le mille scorciatoie criminali offerte dai clan. In cambio, stanno consegnando le chiavi di Roma ai capi mafiosi. Chi sono i romani che hanno stretto un patto con i padrini calabresi, fornendogli il know how per investire i miliardi della droga? Come operano?

Il compare
Quando il 29 novembre del 2010 viene arrestato per traffico internazionale di cocaina, Federico Marcaccini a Roma è già un gigante. Tutti lo chiamano col suo soprannome, "er pupone". Ha appena 32 anni, ma è straricco e lo fa vedere. È un "self made man" che i soldi li ha fatti con imprese edili, immobiliari e col commercio d'automobili. La Direzione investigativa antimafia gli sequestra un impero di società e immobili che vale 115 milioni di euro. 
Marcaccini è "un compare", è entrato in confidenza con i figli di Giuseppe Pelle, del clan di San Luca, guidato fino al 2009 da quell'Antonio "gambazza" che è stato uno dei boss più influenti della 'ndrangheta. Er pupone parla con Antonio (26 anni, residente a Roma) e Sebastiano. I magistrati di Catanzaro che lo intercettano al telefono nell'indagine "Overloading", che ha portato in carcere una settantina di persone, scrivono: "Tra loro si è instaurato un rapporto di comparaggio". Addirittura Marcaccini gli "affida" la madre in visita in Calabria. "So che viene giù questo fine settimana mia mamma... - dice ad Antonio - giù a fare una passeggiata... magari offrigli un caffè, no?". Favori che si scambiano, affari che nascono. E il "pupone" è il perno romano della cosca.
Secondo l'accusa avrebbe finanziato l'acquisto di partite di cocaina. Insomma un impresario a tutto tondo. Un uomo cerniera, che salda il sottobosco mafioso con il tessuto economico legale. La Dia gli confisca il palazzo che ospita il teatro Ghione, vicino a Piazza San Pietro. Un edificio prestigioso sporcato dai denari della coca. Ma Federico Marcaccini detto "er pupone" è qualcosa di più di un palazzinaro. Nella rete delle proprietà a lui riconducibili figura la So. Ge. Sa, una spa che gestisce servizi aeroportuali nonché ex sponsor della squadra femminile di pallavolo della città quando militava in serie A2.
Il giovane e rampante imprenditore romano è anche socio occulto, secondo i documenti in mano agli investigatori antimafia, di Tiburtina Gestione, società attiva nella raccolta e nel trattamento rifiuti. Anche questa sequestrata. Ad amministrarla c'è una donna indicata negli atti come una fedelissima prestanome di Marcaccini. Si scopre che la Tiburtina Gestione è una creatura di Vittorio Ugolini e Vincenzo Fiorillo, entrambi "ras" del business della monnezza romana. I due imprenditori nel 1997 sono finiti sotto la lente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti per un ritrovamento, il più grande fino ad allora, di fusti contenti rifiuti industriali nocivi nell'area di smaltimento gestita dalla Sir, la loro società. E i due erano in società, in altri affari, con Liborio Polizzi, ex presidente del Palermo calcio condannato per mafia nel 1998. Tasselli del mosaico di relazioni messo in piedi da Marcaccini, il compare dei Pelle, l'uomo che crea contatti, fa parlare le persone tra loro, suggerisce affari, gravita in questo mucchio indistinto dai contorni grigi.
"L'ascesa e la caduta di Marcaccini è emblematica  spiega Giuseppe Borrelli, procuratore aggiunto della procura antimafia di Catanzaro  -  arriva a trafficare droga con la 'ndrangheta, ma non ne fa mai parte organicamente. Non è un affiliato. La sua storia racconta l'esistenza di imprenditori romani che si rapportano da pari con i boss, e viceversa" . Uno scambio che ha un solo collante, il business.
"Le cosche vanno a Roma, la città del potere, per investire  -  ragiona Borrelli  - ma a ma anche per cercare appoggi e ottenere lavori in tutta Italia". 

Il segretario massone. 
Per farlo ci vogliono uomini giusti nei posti giusti. Il nome di Vincenzo Stalteri, calabrese della Locride trapiantato a Roma e attuale segretario generale alla provincia di Roma presieduta da Nicola Zingaretti, spunta in un'informativa del Ros dei Carabinieri di Reggio Calabria.
Gli investigatori intercettano Domenico Barbieri e Vitaliano Grillo Brancati imputati per 'ndrangheta nel processo Meta, il più importante dibattimento in corso in Calabria. I due tirano dentro Stalteri e il suo passato come segretario comunale a Palmi quando sindaco era Armando Veneto, avvocato di pezzi grossi della 'ndrangheta e politico del Pdl. Lo definiscono - si legge nell'informativa - "professionista fidato" e "massone iscritto alla stessa loggia di Rocco Nasone (boss della provincia di Reggio Calabria ndr)".
Stalteri ha un curriculum ineccepibile, ha ricoperto numerosi incarichi in diverse province e comuni d'Italia, da Nord a Sud. Nel 2008 Zingaretti ha selezionato il suo nome dall'albo nazionale dei revisori dei conti. Dagli atti di Reggio Calabria, però, vengono fuori ombre.
I carabinieri sul suo conto riportano una denuncia risalente al 2000 per reati contro l'amministrazione di Palmi e nel 2008 un deferimento disposto dal Nucleo di polizia tributaria di Catanzaro per abuso d'ufficio, "poiché in qualità di ragioniere pro tempore del comune di Gioia Tauro", approvava l'affidamento di alcuni incarichi a operatori che non ne avevano diritto. Barbieri e Brancati, legati ai De Stefano, ne tracciano il profilo, profilo presunto perché Stalteri non è stato indagato nell'indagine Meta. "Qua (a Palmi, ndr) mi sono inserito io tramite il Dottor Stalteri - racconta Barbieri a Brancati, durante un viaggio in macchina - era un segretario comunale massone". Inserito nell'assegnazione degli appalti, intende Barbieri. E il Ros li elenca uno per uno, nell'informativa. Millanterie di due imprenditori della 'ndrangheta o una conoscenza reale?
06 settembre 2012

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