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sabato 25 aprile 2020

LIBERAZONE E' RESISTENZA, GIUSTIZIA, LIBERTA'

LIBERAZIONE è FRUTTO della RESISTENZA 
"PER DIGNITA' NON PER ODIO"

Piero Calamandrei: "(...) Vittoria contro noi stessi: aver ritrovato dentro noi stessi la dignità dell’uomo. Questo fu il significato morale della Resistenza: questa fu la fiamma miracolosa della Resistenza.
Aver riscoperto la dignità dell’uomo, e la universale indivisibilità di essa: questa scoperta della indivisibilità della libertà e della pace, per cui la lotta di un popolo per la sua liberazione è insieme lotta per la liberazione di tutti i popoli dalla schiavitù del denaro e del terrore, questo sentimento della uguaglianza morale di ogni creatura umana, qualunque sia la sua nazione o la sua religione o il colore della sua pelle, questo è l’apporto più prezioso e più fecondo di cui ci ha arricchito la Resistenza. 

Ma la concretizzazione dei principi di quella LIBERAZIONE, frutto del sacrificio della RESISTENZA di tante cittadine e cittadini "responsabili", è in gran parte ancora tutta da realizzare a partire dalla considerazione che accompagna soprattutto oggi, nei giorni della "tempesta" della pandemia, le nostre riflessioni: "occorre riscoprire  e rendere vivi i valori di conoscenza e partecipazione per essere cittadine e cittadini responsabili, perché questi sono tempi in cui "ci vuole Coraggio..." anche solo per "fare comunità", per “sentirsi parte di una comunità”. 

La LIBERAZIONE è ancora in gran parte da costruire quando vediamo “l'anima delle nostre comunità” offese da ingiustizia ma anche intorpidite da indifferenza, conoscenza superficiale delle cose, latitanza di  progetti politici e culturali lungimiranti; comunità in cui all’impegno encomiabile di “singoli” si contrappongono complicità al “sistema” e cedimenti al “pensiero mafioso che assicura privilegi immorali caste-cricche-cricche- mentre disconosce diritti fondamentali a milioni di cittadine e cittadini 

La LIBERAZIONE è ancora in gran parte  da costruire quando di fronte al dramma delle migrazionialle "schiavitù del denaro e del terrore" denunciate già da Calamandrei e che permangono  ancora ai nostri giorni; quando vengono mantenute regole-leggi che innalzano mura e discriminazioni, contraddicendo i principi della nostra Costituzione e della Convenzioni sui diritti umani.

Ancora oggi occorre lottare perche DIGNITÀ' e LIBERTÀ' siano principi riconosciuti e riconoscibili nella corpo vivo delle nostre comunità. 

Associazione Rita Atria Pinerolo


Estratto dal discorso di Piero Calamandrei  agli studenti della Cattolica di Milano, inaugurando un ciclo di lezioni sulla Costituzione (26 gennaio 1955): 

"(...) L’articolo 34 dice: “I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Eh! E se non hanno i mezzi? Allora nella nostra Costituzione c’è un articolo che è il più importante di tutta la Costituzione, il più impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a voi. Dice così: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. È compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’art. 1 – “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” – corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società.

E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinanzi! (...) Perché quando l’art. 3 vi dice: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” riconosce che questi ostacoli oggi vi sono di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la Costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani. Ma non è una Costituzione immobile che abbia fissato un punto fermo, è una Costituzione che apre le vie verso l’avvenire. Non voglio dire rivoluzionaria, perché per rivoluzione nel linguaggio comune s’intende qualche cosa che sovverte violentemente, ma è una costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa società in cui può accadere che, anche quando ci sono, le libertà giuridiche e politiche siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche dalla impossibilità per molti cittadini di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anche essa contribuire al progresso della società. "(...) Però, vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità.  (…)"                                                                       


La Costituzione della Repubblica Italiana 
Principi fondamentali

Art. 1

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Art. 5
La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.

Art. 6
La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.

Art.7
Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.

Art. 8
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Art. 9
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Art. 10
L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici.

Art. 11
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Art. 12

venerdì 24 aprile 2020

RESISTENZA è LIBERTÀ


(...) Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. 
Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità della nazione, andate là, o giovani, col pensiero, perché là è nata la nostra costituzione." Piero Calamandrei, Discorso ai giovani sulla Costituzione nata dalla Resistenza. Milano, 26 gennaio 1955( leggi qui il testo integrale)": 
                                                                                           
"Coltivare la memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l'indifferenza e ci aiuta, in un mondo pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare". Liliana Segre 

"Quest’anno, a causa dell’emergenza sanitaria che impedisce i contatti diretti tra le persone, i tradizionali appuntamenti tradizionali appuntamenti del 24 e 25 APRILE in onore delle Partigiane e Partigiani che ci hanno donato con il loro sacrificio la pace e la libertà verranno sostituiti da un corteo virtuale sui luoghi della Resistenza nel Pinerolese, trasmesso da Radio Beckwith Evangelica sabato mattina 25 Aprile e da una Fiaccolata Virtuale promossa dall'ANPI di Pinerolo la sera del 24 Aprile con il patrocinio della Città di Pinerolo".

 Riccardo Vercelli -  ANPI Pinerolo



Condividiamo la riflessione che il sen. Elvio Fassone ha voluto offrire a memoria della lotta partigiana per la RESISTENZA e l'interrogativo se noi si sia riusciti a concretizzare l'Italia per la quale i partigiani si erano battuti. Un interrogativo che è uno sprone a non tradire la Memoria di coloro che si sono sacrificati per il bene di tutti, per una Italia che fosse Italia giusta e libera.


mercoledì 22 aprile 2020

Perchè è stato ucciso Bruno Caccia? Chi ha deciso l'uccisione di Bruno Caccia?

Sconfortante quanto avvenuto ieri a Torino: le parole pronunciate nel corso dell'audizione nella Commissione Legalità del Comune di Torino dall'avvocato Fabio Repici, legale della famiglia del procuratore capo Bruno Caccia ucciso il 26 giugno 1983, suonano come un atto d'accusa nei confronti di una regione, il Piemonte, che mostra di aver smarrita, dimenticata, persino oltraggiata, l'eredità e la memoria di Bruno Caccia. Così si è espresso Fabio Repici: "Credo che il delitto Caccia vada riqualificato col termine di cospirazione, che qualifica i delitti che vedono contributi plurimi mirati allo stesso fine. Il caso classico è l'omicidio Kennedy e l'omicidio Caccia fu una cospirazione più o meno con analoghe caratteristiche". Parole che ribadiscono quanto già dichiarato in passato dallo stesso Francesco Saluzzo, procuratore generale del Piemonte e considerato “l'allievo” di Caccia: secondo Francesco Saluzzo l'omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia fu la controffensiva scatenata da un sistema di poteri composto da intoccabili, 'ndranghetisti, criminali e figure ambigue che beneficiavano della complicità o della non opposizione di magistrati opachi per non dire di peggio". 

Parole, quelle dell'avvocato Repici, che richiamano altre parole: lo scandalo denunciato  da Giancarlo Caselli all'indomani dell'operazione "Minotauro" (2011), operazione della magistratura che svelo all'opinione pubblica nazionale la quantità e la qualità della presenza di mafie e "opportunisti" nei più diversi settori della comunità piemontese. Giancarlo Caselli nella sua requisitoria al processo "Minotauro":  “(...) La mafia c’è perché c’è mercato per i suoi servizi. Ci sono tante persone che traggono vantaggio dall’esistenza della mafia, persone che non hanno nessun interesse a denunciarla. Persone, politici e amministratori, che la legge penale non può punire perché la loro colpa è l’opportunismo”.

Chi sono gli "Opportunisti? Puoi continuare a leggere qui

Sappiamo bene che anche il Piemonte si è rivelato in passato essere focolaio di mafie "pensiero mafioso""pensiero" che può allignare anche in coloro i quali "mafiosi" non potrebbero essere propriamente definiti, pensiero che appartiene a coloro che cercano di ottenere quel che non meriterebbero). Ma  ripercorrere la storia della regione Piemonte anche solo nell'ultimo decennio fa comprendere come, ancora oggi, non ci siano anticorpi sufficienti a fare argine al "virus" di mafie e "pensiero mafioso" . Cosicché, anche dopo la denuncia accorata di Giancarlo Caselli,  anche in Piemonte in questi ultimi anni  "non ci siamo fatti mancare nulla": politici e amministratori "opportunisti" hanno continuato ad operare tranquillamente, coperti e sostenuti dagli opportunistici silenzi di coloro che sapevano ma hanno preferito tacere (magari per presentare poi "il conto" a pretendere nomine, candidature ed incarichi); lo scandalo delle firme false, "a destra e a sinistra" nelle elezioni regionali (a destra e a sinistra); gli scandali nel mondo della cultura così come nelle opere pubbliche (uno per tutti, l'infinita odissea del grattacielo che dovrebbe ospitare gli uffici della Regione, opera da tempo sconfessata addirittura dal suo progettista , l'architetto Fuksas); "politici e amministratori" opportunisti alla perenne ricerca di "fondi pubblici da drenare" per costruire consenso e clientele, a favore di gruppi, associazioni, sodali; da ultimo, financo le condizioni discutibili in cui versa una sanità regionale prostrata da tagli pluriennali, scelte strategiche forse errate ad inseguire teoriche eccellenze e tuttavia mancando di cura e attenzione alla "salute dei territori", delle comunità, e la cui inadeguatezza dinanzi alla "tempesta" del coronavirus è stata svelata crudamente dal servizio giornalistico "Il pasticcio piemontese" trasmesso dalla trasmissione Report la sera del 20 aprile  (vedi qui).

Chi paga il prezzo di queste cose? Lo spiegava ancora Giancarlo Caselli: "(...) Pagano i cittadini, i consumatori. Perché abbiamo organismi elettivi disonesti, perché la regolarità dei mercati risulta stravolta, oltre a dover vivere in un ambiente pervaso dalla corruzione, fino alla violenza. Allora è indispensabile riaffermare la presenza dello Stato

Si disse che Bruna Caccia fu ucciso perché "con lui non si poteva parlare".  Pare evidente che, anche in Piemonte, con mafie e "pensiero mafioso", con certi personaggi, in certi ambienti  si è chiacchierato tranquillamente e forse si continua a farlo. Triste!


 Fonte : la Repubblica

 Omicidio Caccia, l'avvocato dei famigliari: "Una cospirazione come l'uccisione di Kennedy"

"Credo che il delitto Caccia vada riqualificato col termine di cospirazione, che qualifica i delitti che vedono contributi plurimi mirati allo stesso fine. Il caso classico è l'omicidio Kennedy e l'omicidio Caccia fu una cospirazione più o meno con analoghe caratteristiche". A dirlo, in Commissione Legalità del Comune, l'avvocato Fabio Repici, legale della famiglia del procuratore capo di Torino ucciso nel giugno dell'83.

Secondo Repici "la memoria di Bruno Caccia ha pagato anche una seconda cospirazione, mirata a limitare gli accertamenti di verità anche agli occhi della storia in modo da far dire a qualcuno che era stato ucciso solo per iniziativa di un piccolo gruppo criminale, tralasciando invece chi le mosse di quel piccolo gruppo determinarono".

Il legale è tornato a parlare di "lacune" dell'attività di indagine e giudiziaria che fanno sì che "dopo 37 anni non conosciamo i nomi dei due killer e non conosciamo esattamente le ragioni né l'identità di tutti i mandanti". Repici ha aggiunto che "quello di Caccia è l'omicidio più importante e delicato nella storia torinese, l'unico procuratore distrettuale ucciso fuori dalla Sicilia, e un delitto così delicato avrebbe dovuto implicare l'impegno massimo di tutte le istituzioni che avessero un ruolo per far qualcosa di utile per accertamento della verità. La verità in archivio non può andare", ha concluso Repici definendo "uno sfregio alla memoria di Caccia che queste lacune vengano tuttora mantenute".


lunedì 20 aprile 2020

Don Tonino Bello, il prete della “Chiesa del grembiule"

Il dovere della Memoria: Don Tonino Bello e la sua battaglia eretica per una “Chiesa del grembiule", una chiesa a servizio delle comunità per indicare la necessità di farsi umili e contemporaneamente agire sulle cause dell'emarginazione. Sin dagli esordi, il ministero episcopale fu caratterizzato dalla rinuncia a quelli che considerava segni di potere (per questa ragione si faceva chiamare semplicemente don Tonino) e da una costante attenzione agli ultimi: promosse la costituzione di gruppi Caritas in tutte le parrocchie della diocesi, fondò una comunità per la cura delle tossicodipendenze, lasciò sempre aperti gli uffici dell'episcopio per chiunque volesse parlargli e spesso anche per i bisognosi che chiedevano di passarvi la notte.

Il suo messaggio richiama ai valori di etica e responsabilità, ai doveri più alti nell'esercitare i diritti di cittadinanza: "(...) Se voi riuscirete a liberarvi dalla rassegnazione, se riporrete maggiore fiducia nella solidarietà, se la romperete con lo stile pernicioso della delega, se non vi venderete la dignità per un piatto di lenticchie, se sarete così tenaci da esercitare un controllo costante su coloro che vi amministrano, se provocherete i credenti in Cristo a passare armi e bagagli dalla vostra parte, non tarderemo a vedere i segni della risurrezione.(...)". 

Queste parole sembrano quasi il fondamento, il seme, dal quale scaturisce l'immagine bellissima di un altro siciliano "martire", il giudice Paolo Borsellino, nel discorso da lui pronunciato nel primo anniversario della Strage di Capaci, il cosiddetto "discorso dell'amore":"(...) La lotta alla mafia, primo problema da risolvere nella nostra terra, bellissima e disgraziata) non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolgesse tutti, che tutti abituasse a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si contrappone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità (....).Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera: facendo il nostro dovere, rispettando le leggi, anche quelle che impongono sacrifici: rifiutando di trarne dal sistema mafioso anche i benefici che possiamo trarne (anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro), collaborando con la giustizia, testimoniando i valori in cui crediamo, in cui dobbiamo credere, anche dentro le aule di giustizia, troncando immediatamente ogni legame di interesse, anche quelli che ci sembrano innocui, con qualsiasi persona portatrice di interessi mafiosi, grossi o piccoli, accentando in pieno questa gravosa e bellissima eredità di spirito: dimostrando a noi stessi ed al mondo che Falcone È VIVO!"
 

” 

Nel 1985 don Tonino Bello venne indicato dalla presidenza della Conferenza Episcopale Italiana a succedere a monsignor Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, nel ruolo di guida di Pax Christi, il movimento cattolico internazionale per la pace. In questa veste si ricordano diversi duri interventi: tra i più significativi quelli contro il potenziamento dei poli militari di Crotone e Gioia del Colle, e contro l'intervento bellico nella Guerra del Golfo, quando manifestò un'opposizione così radicale da attirarsi l'accusa di istigare alla diserzione. 

Nel pomeriggio del 20 aprile 1993, a Molfetta, don Tonino Bello muore dopo una lunga malattia. Il 27 novembre 2007 la Congregazione per le Cause dei Santi ne ha avviato il processo di beatificazione

Di seguito riportiamo una lettera di don Tonino Bello

                                      LETTERA A COLORO CHE NON CONTANO NIENTE

Carissimi, sono un po’ triste, perché so che questa lettera forse non la leggerete. Quelli che non contano niente, di solito, giornali non ne comprano. (…) Voi non fate storia. Qualche volta fate cronaca: quasi sempre cronaca nera. Eppure, chi conosce la trama dei vostri giorni sfilacciati sa che avreste da raccontare tanta cronaca bianca, da far trasalire la città. Ma la cronaca bianca non fa notizia. Voi non fate storia. Perché non sapete parlare. E, anche quando vi sentite bruciare dentro le ingiustizie della terra, le parole vi muoiono in bocca. Anzi, vi capita di pensare che, forse, ad aver torto siete voi. Voi non fate peso. (…) La politica vi passa sulla testa. (…)Anche la religione vi passa sulla testa. (…) Ebbene, con la stessa sofferenza di Gesù che ebbe compassione delle folle, desidero rivolgermi proprio a voi.

A voi che non contate nulla agli occhi degli uomini, ma che davanti agli occhi di Dio siete grandi. Appunto, questa è la cosa più urgente che voglio dirvi: davanti agli occhi di Dio voi siete grandi. Coraggio! Dio non fa graduatorie. Non sempre si lascia incantare da chi sa parlare meglio. Non sempre, rispetto ai sospiri dignitosi del povero, dà la precedenza al canto gregoriano che risuona nelle chiese. Né sempre si fa sedurre dal profumo dell’incenso, più di quanto non si accorga del tanfo che sale dai sotterranei della storia. Desidero rivolgermi a voi, perché sono convinto che il rinnovamento spirituale può partire solo da coloro che non contano niente. (…) L’avvenire ha i piedi scalzi, diceva uno scrittore francese. E voleva intendere che il futuro lo costruiscono i poveri. Sì, il processo di conversione deve cominciare da voi.

Se voi riuscirete a liberarvi dalla rassegnazione, se riporrete maggiore fiducia nella solidarietà, se la romperete con lo stile pernicioso della delega, se non vi venderete la dignità per un piatto di lenticchie, se sarete così tenaci da esercitare un controllo costante su coloro che vi amministrano, se provocherete i credenti in Cristo a passare armi e bagagli dalla vostra parte, non tarderemo a vedere i segni della risurrezione.

Anche per la Chiesa verranno tempi nuovi. E dal domicilio dei poveri, si sprigionerà un così forte potenziale evangelizzatore, che la città traboccherà di speranza."

+ Don Tonino Bello (4 marzo 1990)


sabato 11 aprile 2020

Il nostro augurio per la Pasqua: "la transizione dall'io al noi" ci avvicini ad un mondo di Pace e di Giustizia

La parola ebraica "pesach", da cui deriva Pasqua, significa "passare oltre", "tralasciare". Nel racconto biblico l'azione di "passare oltre" fa riferimento alla "decima piaga", nella quale si narra che il Signore, vedendo il sangue dell'agnello sulle porte delle case di Israele, "passò oltre" colpendo solo i primogeniti maschi degli egiziani, compreso il figlio del faraone (Esodo, 12,21-34). La Pesach indica quindi la liberazione di Israele dalla schiavitù sotto gli egiziani e l'inizio di una nuova libertà con Dio verso la terra promessa. Pasqua è la resurrezione del Cristo che sconfigge la morte e  "passa oltre".

Pablo Picasso disegnò una "Colomba del Futuro", immagine di un "futuro possibile", in cui il simbolo della Pace -la Colomba- si posa su strumenti di guerra di morte distrutti, sconfitti da una Umanità che "passa oltre". Ma questi sono giorni di una guerra differente, l'attacco del virus CORONAVID 19, una ”tempesta” che, colpendo l’Umanità intera, ha colpito anche noi italiani, gli occidentali, la parte fortunata del mondo fino a ieri in "immeritata vacanza" dalla Storia, dalla miseria, dalle guerre, dalla desolazione  e dalla disperazione quotidiana che si svolge a poche ore di volo dalle nostre case.

Le parole pronunciate da Papa Francesco lo scorso 27 marzo 2020 in occasione della momento di preghiera per la pandemia del coronavirus, in una piazza San Pietro deserta, saranno uno dei momenti che passerà alla storia: “(…) Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.(…)”

Passerà nella "storia" di tante esistenze la sofferenza patita in questi giorni per la malattia, il dolore per la perdita di genitori, parenti, amici, conoscenti. Una sofferenza resa ancora più amara, crudele, dalla mancanza dei propri cari proprio mentre il "cammino" si faceva più impervio o mentre addirittura si avvicinava la fine del "cammino". Una sofferenza spesso mitigata dalla vicinanza di medici e infermieri che hanno preso a cura, con pietà e amore, coloro che erano stati colpiti dal virus


Siamo sferzati dalla stessa tempesta ma, a differenza degli apostoli, non siamo sulla stessa “barca”. Si abbia l’onestà di confessarlo: tante sono le differenze, i muri, anche nelle nostre comunità. E tante voci si sono levate in questi giorni ad ammonire che, passata “la tempesta”, nulla dovrà essere come prima, facendo riferimento agli errori di una “umanità moderna” che sembra correre verso il baratro, accecata, nonostante i segnali che ammoniscono sulla insostenibilità di tante sue azioni: lo scandalo della povertà e delle diseguaglianze che annichiliscono la dignità di tante persone, i privilegi dei moderni “faraoni” arroccati in metaforiche fortezze, le offese arrecate all’Ambiente, alla Madre Natura. Ripetiamo allora oggi quanto abbiamo scritto nei giorni passati: se oggi  riuscissimo a comprendere l'imprescindibile necessità  della "transizione dall'io al noi", l'aver sconfitto questo nemico invisibile (il virus, "il parassita") non sarebbe stato poca cosa! Siamo sferzati dalla stessa tempesta ma, a differenza degli apostoli, non siamo sulla stessa “barca”. Si abbia l’onestà di confessarlo: tante sono le differenze, i muri, anche nelle nostre comunità. E tante voci si sono levate in questi giorni ad ammonire che, passata “la tempesta”, nulla dovrà essere come prima, facendo riferimento agli errori di una “umanità moderna” che sembra correre verso il baratro, accecata, nonostante i segnali che ammoniscono sulla insostenibilità di tante sue azioni: lo scandalo della povertà e delle diseguaglianze che annichiliscono la dignità di tante persone, i privilegi dei moderni “faraoni” arroccati in metaforiche fortezze, le offese arrecate all’Ambiente, alla Madre Natura. Ripetiamo allora oggi quanto abbiamo scritto nei giorni passati: se oggi  riuscissimo a comprendere l'imprescindibile necessità  della "transizione dall'io al noi", l'aver sconfitto questo nemico invisibile (il virus, "il parassita") non sarebbe stato poca cosa! Sarebbe “un miracolo” la transizione "dall’io al noi",(puoi leggere qui),  avrebbe davvero il significato di una Umanità che “passa oltre” per incamminarsi verso una vita diversa, migliore, per tutti a partire da coloro che sono i più deboli: Pace e Giustizia per l'Umanità

La parola ebraica "pesach", da cui deriva Pasqua, significa "passare oltre", "tralasciare".P

Pablo Picasso disegnò una "Colomba del Futuro", immagine di un "futuro possibile" in cui il simbolo della Pace -la Colomba- si posa su strumenti di guerra di morte distrutti, sconfitti, da una Umanità che "passa oltre". Ma questi sono giorni di una guerra differente, l'attacco del virus CORONAVID 19, una ”tempesta” che, colpendo l’Umanità intera, ha colpito anche noi




sabato 4 aprile 2020

Martin Luther King : «Free at last. Free al Last». Finalmente libero!

Martin Luther King: "Sì, siamo estremisti, siamo estremisti nella volontà di giustizia, di eguaglianza, di pace." 
lL 4 aprile 1968  Martin Luther King viene assassinato. Al momento dell'uccisione si trovava da solo, sul balcone al secondo piano dell' hotel Lorraine a Memphis, ucciso da un colpo di fucile di precisione che lo colpisce alla testa. Le indagini permisero di individuare l'omicida, James Earl Ray.
Sulla tomba di Martin Luther King è scritto: «Free at last. Free al Last». Finalmente libero!
Oggi, nel tempo di una pandemia, "una tempesta" dolorosa che ha investito tutte le comunità del mondo, il sogno di un uomo che sognava la Libertà per tutti gli esseri umani, a prescindere dal colore della pelle e dalle condizioni sociali, il sogno di una umanità unita e solidale, appare ancora un traguardo da raggiungere ma nello stesso tempo, la meta verso cui orientare il cammino.

Martin Luther King saluta la folla il giorno del discorso "I Have a Dream"
                         "I have a dream". Il discorso perfetto 
E' il  28 agosto 1963. A Washington, di fronte ad una America profondamente intrisa e divisa dall'odio razziale,  Martin Luther King pronuncia il discorso che passa alla storia come "I Have a dream": Io Ho un Sogno". Per quel discorso Martin L. King aveva preparato attentamente un testo, con paragrafi suoi e altri scritti dai suoi collaboratori. Ma ad un certo punto, Mahalia Jackson, la grande cantante gospel che aveva aperto la manifestazione, inizia ad urlare: "Parla del sogno, Martin! Parla del tuo sogno!". A quel punto King mette da parte i fogli e comincia a parlare "a braccio", improvvisando la parte del discorso che passerà alla storia come il discorso perfetto, immortale.

I Have a dream - Io Ho un Sogno

Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte della cattività.Ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione; cento anni dopo, il negro ancora vive su un’isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale; cento anni dopo; il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra. Per questo siamo venuti qui, oggi, per rappresentare la nostra condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti alla capitale del paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della repubblica scrissero le sublimi parole della Costituzione e la Dichiarazione d’Indipendenza, firmarono un "pagherò" del quale ogni americano sarebbe diventato erede. Questo "pagherò" permetteva che tutti gli uomini, si, i negri tanto quanto i bianchi, avrebbero goduto dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perseguimento della felicità.

E’ ovvio, oggi, che l’America è venuta meno a questo "pagherò" per ciò che riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare questo suo sacro obbligo, l’America ha consegnato ai negri un assegno fasullo; un assegno che si trova compilato con la frase: "fondi insufficienti". Noi ci rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti nei grandi caveau delle opportunità offerte da questo paese. E quindi siamo venuti per incassare questo assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e della garanzia di giustizia.

Siamo anche venuti in questo santuario per ricordare all’America l’urgenza appassionata dell’adesso. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi il tranquillante del gradualismo. Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall’oscura e desolata valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia.; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio. Sarebbe la fine per questa nazione se non valutasse appieno l’urgenza del momento. Questa estate soffocante della legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto un tonificante autunno di libertà ed uguaglianza.

Il 1963 non è una fine, ma un inizio. E coloro che sperano che i negri abbiano bisogno di sfogare un poco le loro tensioni e poi se ne staranno appagati, avranno un rude risveglio, se il paese riprenderà a funzionare come se niente fosse successo. Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia. Ma c’è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tiepida soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste. Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell’anima. Questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà. Questa offesa che ci accomuna, e che si è fatta tempesta per le mura fortificate dell’ingiustizia, dovrà essere combattuta da un esercito di due razze. Non possiamo camminare da soli.

E mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti. Non possiamo tornare indietro. Ci sono quelli che chiedono a coloro che chiedono i diritti civili: "Quando vi riterrete soddisfatti?" Non saremo mai soddisfatti finché il negro sarà vittima degli indicibili orrori a cui viene sottoposto dalla polizia. Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle strade e negli alberghi delle città. Non potremo essere soddisfatti finché gli spostamenti sociali davvero permessi ai negri saranno da un ghetto piccolo a un ghetto più grande. Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono:"Riservato ai bianchi". Non potremo mai essere soddisfatti finché i negri del Mississippi non potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente. Non ha dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove e tribolazioni. Alcuni di voi sono venuti appena usciti dalle anguste celle di un carcere. Alcuni di voi sono venuti da zone in cui la domanda di libertà ci ha lasciato percossi dalle tempeste della persecuzione e intontiti dalle raffiche della brutalità della polizia. Siete voi i veterani della sofferenza creativa. Continuate ad operare con la certezza che la sofferenza immeritata è redentrice. Ritornate nel Mississippi; ritornate in Alabama; ritornate nel South Carolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana; ritornate ai vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione.

E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno. E’ un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.

 Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi!.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud.

Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.

 Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l’America vuole essere una grande nazione possa questo accadere.

Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.

Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.

Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.

Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.

Ma non soltanto.

Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.

Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.

Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.

E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual:"Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente".