In concomitanza col l'anniversario dell'uccisione, gli organi di stampa hanno battuto notizie relative alla riapertura delle
indagini sul "delitto Mattarella", allora Presidente della Regione
Sicilia. Oggi si parla, come fosse una novità, della pista neofascista. In
realtà, il delitto Mattarella è uno di quei delitti
eccellenti che, come altri, ha mostrato il nodo essenziale delle organizzazioni
mafiose: il legame fra queste e "pezzi" delle istituzioni, quello
Stato-mafia "che continua a nascondere" e di cui oggi torna a
parlare Saverio Lodato (leggi
qui)
Piersanti Mattarella, Presidente della Regione, è stato ucciso voleva cambiare la sua Sicilia, anzitutto smantellando i legami indicibili che legavano il suo stesso partito -la Democrazia Cristiana- a "cosa nostra". Un uomo scomodo quindi, e non solo per le organizzazioni criminali.
L'assassinio di Piersanti Mattarella ha infatti rivelato una delle pagine più vergognose della storia italiana. Il processo che si sarebbe celebrato negli anni successivi contro Giulio Andreotti ha dimostrato come "il caso Mattarella" preoccupasse sia le mafia che la politica del tempo: fu proprio l’ex presidente del consiglio Giulio Andreotti a prendere parte a due incontri -al cospetto di un boss quale Stefano Bontade- nei quali si parlò della necessità di fermare-eliminare Piersanti Mattarella. La sentenza del processo acclara che sebbene Andreotti fosse “nettamente contrario” all’esecuzione del delitto, Giulio Andreotti “non si è limitato a prendere atto, sgomento, che le sue autorevoli indicazioni erano state inaspettatamente disattese dai mafiosi ed a allontanarsi senz’altro dagli stessi, ma è sceso in Sicilia per chiedere conto al Bontade (il boss Stefano Boutade, ndr) della scelta di sopprimere il presidente della Regione”
Il ritratto morale di Piersanti Mattarella venne tracciato da Giuseppe Fava che, nell'articolo "I cento padroni di Palermo", così scriveva dell'uomo che sognava “una Sicilia con le carte in regola”:
"(...) Aveva studiato tutte le arti per diventare Mazzarino e improvvisamente divenne Pericle. Indossò tutta la dignità che dovrebbe avere sempre un uomo; dignità significa intransigenza morale, nitidezza nel governo, onestà nella pubblica amministrazione. Piersanti Mattarella fu capace di pensare in grande e pensare in proprio. Figurarsi la società palermitana degli oligarchi, i cento padroni di Palermo. Come poteva vivere un uomo così, e per giunta vivere da presidente? Nessuno capirà mai se Mattarella venne ucciso perché aveva fermato una cosa che stava accadendo, oppure perché avrebbe potuto fermare cose che invece ancora dovevano accadere." (qui il testo dell'articolo)
sera del 5 gennaio 1980
La sera di sabato 5 gennaio 1980 il Telegiornale regionale siciliano aveva mandato in onda l'ultima intervista rilasciata da Piersanti Mattarella, allora presidente della Regione Sicilia. Il tema dell'intervista era "Sicilia: nel buio degli anni ’80". L'intervista viene pubblicata in una sintesi dal «Giornale di Sicilia» proprio nell'edizione del 6 gennaio, il giorno in cui Mattarella sarà ucciso. Il titolo scelto era: “I nodi sono molto grossi, le armi appaiono spuntate: spero di farcela, e presto”: sono le parole che Piersanti Mattarella pronuncia in un passaggio della stessa intervista. Riportiamo la parte finale dell'intervista, quando il giornalista incalza Piersanti Mattarella sule azioni messe in atto per contrastare la mafia
Stralcio dell'intervista di Piersanti Mattarella:
“I nodi sono molto grossi, le armi appaiono spuntate: spero di
farcela, e presto”
(...) Domanda. Il ’79 è stato
l’anno in cui della mafia, dopo un crescendo di violenza, si è parlato dentro
il palazzo. È riconosciuto che il fenomeno si alimenta di un malessere sociale
per rispondere al quale sono necessari fatti politici, non solo misure di polizia.
Ma quali fatti politici in tal senso la Regione ha prodotto, quali potrà
produrre?
Risposta di P. Mattarella. «Fatti
politici ci sono stati. Cito soltanto i due dibattiti in Assemblea regionale
conclusi con voto unanime. Molte indicazioni concrete per far fronte al
fenomeno sono state accolte dai recenti provvedimenti del Consiglio dei
ministri in materia di ordine pubblico».
D. Siamo sempre sul
piano delle misure di polizia. I fatti politici riguardano il risanamento del
costume pubblico. Il cardinale Pappalardo nell’ultima lettera pastorale ha
detto che la mafia è pure quella sensazione di sicurezza prodotta dall’esser «protetti
da un amico o da un gruppo di amici che contano». Questi gruppi si
insediano pure dentro la classe dirigente.
R. «Il richiamo
del cardinale è appropriato. Il problema esiste perché nella società a diversi
livelli, nella classe dirigente non solo politica, ma pure economica e
finanziaria, si affermano comportamenti individuali e collettivi che
favoriscono la mafia. Bisogna intervenire per eliminare quanto a livello
pubblico, attraverso intermediazioni e parassitismi, ha fatto e fa proliferare
la mafia. Pure è necessario risvegliare doveri individuali e comportamenti dei
singoli che finiscono con il consentire il formarsi di un’area dove il fenomeno
ha potuto, dico storicamente, allignare e prosperare».
6 gennaio 1980
La mattina del 6 gennaio 1980 mentre la famiglia Mazzarella stava recandosi alla messa, senza la scorta che Piersanti Mazzarella aveva sempre rifiutato nei giorni festivi, i killer di cosa nostra si avvicinano all'auto del presidente nella quale vi erano anche la maglie, le figlie e la suocera. Nella fotografia di Letizia Battaglia, l'immagine del corpo morente di Piersanti Mattarella sorretto dal fratello Sergio, attuale Presidente della Repubblica, accorso appena udito gli spari.
Lo stesso Giovanni Falcone era convinto che ambienti eversivi di destra fossero implicati del delitto di Piersanti Mattarella. Per questo Falcone chiamò a giudizio Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, accusati – e poi assolti – di essere gli autori materiali di un omicidio per il quale finora furono condannati solo i mandanti: i boss della Cupola di Cosa nostra Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci.
Lo stesso Giovanni Falcone era convinto che ambienti eversivi di destra fossero implicati del delitto di Piersanti Mattarella. Per questo Falcone chiamò a giudizio Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, accusati – e poi assolti – di essere gli autori materiali di un omicidio per il quale finora furono condannati solo i mandanti: i boss della Cupola di Cosa nostra Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci.
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