IL 27 GENNAIO 1945 UN REPARTO DELL'ESERCITO RUSSO VARCA L'INGRESSO DEL CAMPO DI STERMINIO DI AUSCHWITZ
il cancello di Aushwitz con la scritta "Arbeit macht frei": "Il lavoro rende liberi"
La Giornata della Memoria insieme a studenti di licei di Pinerolo
"(…)Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga."
brano tratto da “Se questo è un uomo” di Primo LevI
''La Giornata della Memoria non deve essere un'occasione per manifestare la falsa coscienza e non può essere usata in modo strumentale. Ci deve ricordare la tragedia universale della violenza contro l'uomo e non solo contro gli ebrei.
Io sono ebreo e ho il dovere di ricordare ciò che ha subito la mia gente. Ma proprio perchè questo è stato un massacro di esseri umani, tra cui ebrei, rom, gay e antifascisti, si devono ricordare tutti, soprattutto quelli piu' scomodi.
Dobbiamo ricordare, tutti i popoli che hanno subito violenza. In questo senso, il destino degli ebrei vale per quello di tutte le minoranze. Primo Levi non ha scritto 'Se questo è un ebreo', ma 'Se questo è un uomo'."
"Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha trasformato la mia vita in una lunga notte, sette volte maledetta e sette volte sigillata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini, i cui corpi vidi trasformarsi in ghirlande di fumo sotto un muto cielo blu. Mai dimenticherò quelle fiamme che consumavano la mia fede per sempre. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi privò, per tutta l'eternità, del desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima e trasformarono i miei sogni in polvere. Non dimenticherò mai queste cose, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai".
Eva Picková, morta ad Auschwitz il 18 dicembre 1943 all’età di 12 anni":
"...mio Dio, noi vogliamo vivere! Non vogliamo vuoti nelle nostre file. Il mondo è nostro e noi lo vogliamo migliore. Vogliamo fare qualcosa. E’ vietato morire!”.
bambini del Lager mostrano il braccio tatutato
Il Giorno della Memoria ricorda la data in cui l'ersercito russo entra nel lagerAushwitz, oramai abbandonato dalle SS: 27 gennaio 1945
Fare Memoria significa conoscere quanto è accaduto; fare Memoria significa capire i meccanismi" che si celano dietro ai fatti; fare Memoria significa impegnarsi affinché quanto è accaduto non abbia più “il tempo” e “il modo” di ripetersi. Fare Memoria significa conoscere per diventare ed essere cittadini responsabili.
Come è stato possibile l'orrore dei Lager?
Come è stato possibile concepire lo sterminio di popoli?
La cosiddetta "banalità del male", il pericolo che il male possa ripresentarsi, è un pericolo sempre presente Dopo quelli nazisti, l'Umanità ha sofferto per altri Lager, altri stermini, altre violenze terribili inflitte da uomini ad altri uomini.
Perchè? Come è possibile che ciò accada dopo quello che è già accaduto?
Primo Levisi interroga su come sia stato possibile il dramma dello sterminio nel libro “I sommersi e i Salvati”. Luogo di quella ricerca èl'animo umano di ogni tempo; le risposte sono celate nell'eterna -mediocre- lotta per il potere, con attori che si dividono le parti dei"padroni" e dei "servi" alla conquista di un "privilegio" possibile. “Il privilegio per definizione difende il privilegio. (…) L’ascesa dei privilegiati, non solo nel Lager ma in tutte le convivenze umane, è un fenomeno angosciante ma immancabile: essi sono assenti solo nelle utopie. E’ compito dell’uomo giusto fare la guerra ad ogni privilegio non meritato, ma non si deve dimenticare che questa è una guerra senza fine. Dove esiste un potere esercitato da pochi - o da uno solo- contro i molti, il privilegio nasce e prolifica, anche contro il volere del potere stesso; ma è normale che il potere, invece, lo tolleri e lo incoraggi.(…) la classe ibrida dei prigionieri-funzionari ne costituisce l’ossatura ed insieme l’elemento più inquietante. E’ una zona grigia, dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi. (…)”.
Il
Pinerolese è da sempre impegnato a tutelare e a difendere i valori
della Resistenza antifascista e dei principi della Costituzione
Repubblicana.
Per
queste ragioni guardiamo con grande preoccupazione alle sempre più
frequenti manifestazioni promosse da organizzazioni neofasciste,
portatrici di valori ed idee che si collocano al di fuori dal
perimetro costituzionale e dall’ordinamento repubblicano, nonché
dai principi fondamentali della convivenza civile e del rispetto
della dignità umana.
In
questo quadro non può passare inosservata e senza risposta la
presenza organizzata di militanti di Casapound sotto i portici di
corso Torino dello scorso sabato 20 gennaio.
La
memoria storica, soprattutto oggi con l’avvicinarsi del 27 gennaio,
deve essere sempre e con forza posta all’attenzione di tutti e
soprattutto delle giovani generazioni affinché l’affacciarsi di
nuovi fascismi non metta in discussione i principi democratici e di
pacifica convivenza conquistati con il sacrificio di molti.
Come
forze politiche e sociali, sindacati, movimenti ed associazioni,
cittadine e cittadini democratici e antifascisti promuoveremo
per tutti i sabati sino al voto del 4 marzo 2018 dei momenti di
sensibilizzazione sui temi dell’antifascismo.
Il
primo momento sarà il domani, sabato 27 gennaio: dalle ore 8,30 ci
troveremo per presidiare i portici di corso Torino all’altezza del
semaforo di piazza Barbieri.
Chiediamo
infine al Consiglio comunale della Città di Pinerolo di approvare la
mozione posta all’ordine del giorno della seduta del prossimo 30
gennaio 2018 e che prevede la dichiarazione di "antifascisti" a chiunque si proponga di utilizzare un banchetto per la raccolta di firme o per altro intento.
Anche al presidio LIBERA "Rita Atria" è giunto l'invito a partecipare al presidio antifascista che si vorrebbe tenere il prossimo sabato 27 gennaio, in risposta di quanto accaduto la scorsa settimana quando, sotto i "portici nuovi" di Pinerolo, in Corso torino, c'è stato un banchetto di esponenti di Casa Pound.
Sabato 27 gennaio ricorre l'anniversario dell'ingresso delle truppe russe nel campo di sterminio di Auschwitz, data scelta universalmente per celebrare la GIORNATA DELLA MEMORIA in ricordo delle VITTIME DELLA SHOAH.
Questa è la proposta del presidio LIBERA “Rita Atria” Pinerolo:
Invitiamo
a ritrovarsi in un presidio antifascista facendo Memoria di quel che è
stato affinché non abbia più a ripetersi.
Portiamo con noi il testo di “Bella Ciao” e cantiamo con serenità
quella canzone che è simbolo stesso della Resistenza da cui nasce la Repubblica
Italiana.
Ritroviamoci portando con noi libri: quello
di Primo Levi “Se questo è un
uomo”, il “Diario" di Anna Frank, e leggiamone
brani significativi.
Ritroviamoci facendo Memoria del fatto
che la Resistenza e
la Bellezza di donne e uomini giusti hanno
contribuito a sconfiggere l’ideologia nazi-fascista.
Ritroviamoci
per non dimenticare l’ammonimento di Primo Levi: “Come
nascono i lager? Facendo finta di nulla”
Invitiamo a partecipare all'incontro pubblico che si terrà il prossimo venerdì 19 gennaio 2018: insieme alla e altre associazioni del forum sull'urbanistica ritorniamo a parlare delTURK: La grande occasione
Considerando la variazione del Piano Regolatore come momento irrinunciabile di riflessione, e consapevoli del ruolo strategico che l’area compresa tra il Rio Moirano e il Lemina riveste per il rilancio della città, le associazioni cittadine – riunite nel Forum Salviamo il Paesaggio di Pinerolo – si fanno promotrici di una pubblica presentazione dal titolo “Türck: la grande occasione (?)”, che si terrà il 19.01.2018 alle ore 21.00 presso il Salone dei Cavalieri, in via Giolitti 7 a Pinerolo.
l'area TURK
La serata ruoterà attorno al fabbricato già conosciuto come “Follone”, ma non si parlerà solo delle sue caratteristiche storico-architettoniche:sarà un’occasione per prefigurare possibili soluzioni progettuali per l’area, attraverso l’illustrazione di casi virtuosi – nazionali e internazionali – in cui il recupero del patrimonio industriale è stato il volano per la riqualificazione di intere porzioni di città.Soluzioni che, siamo convinti, devono essere incardinate sulle istanze storico-culturali e divenire motore per un rilancio economico del territorio, che abbia la sostenibilità come prospettiva irrinunciabile.
il rio Moirano costeggia l'edificio del "follone"
Sul fronte storico, interverranno la professoressa Patrizia Chierici e Marco Calliero. La sostenibilità sarà invece declinata attraverso tre distinte lenti, corrispondenti ad altrettanti interventi: quella del restauro con il prof. Emanuele Romeo, della progettazione con il prof. Agostino Magnaghi e dell’economia con l’arch. Luca Consiglio.
Una serata pensata per illustrare le potenzialità dell’area e dei suoi fabbricati, e stimolare il dibattito su un comparto di città indubbiamente cruciale per la Pinerolo di domani.
Per il presidio "Rita Atria" l'incontro costituisce uno dei "cento passi" che ci porteranno alla Giornata del prossimo 21 marzo 2018, XXIII Giornata della Memoria e dell'Impegno nel Ricordo delle Vittime innocenti delle mafie.Anche in questo caso si tratta di proseguire l'impegno affinchè rimangano vere e vive le parole di una di quelle Vittime innocenti, Peppino Impastato:“Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità: si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore “.
In concomitanza col l'anniversario dell'uccisione, gli organi di stampa hanno battuto notizie relative alla riapertura delle
indagini sul "delitto Mattarella", allora Presidente della Regione
Sicilia. Oggi si parla, come fosse una novità, della pista neofascista. In
realtà, il delitto Mattarella è uno di queidelitti
eccellenti che, come altri, ha mostrato il nodo essenziale delle organizzazioni
mafiose: il legame fra queste e "pezzi" delle istituzioni, quello
Stato-mafia "che continua a nascondere" e di cui oggi torna a
parlare Saverio Lodato (leggi
qui)
Piersanti Mattarella, Presidente della Regione, è stato ucciso voleva cambiare la sua Sicilia, anzitutto smantellando i legami indicibili che legavano il suo stesso partito -la Democrazia Cristiana- a "cosa nostra". Un uomo scomodo quindi, e non solo per le organizzazioni criminali.
L'assassinio di Piersanti Mattarella ha
infatti rivelato una delle pagine più vergognose della storia italiana.Il processo che si sarebbe celebrato negli anni successivi contro Giulio Andreotti ha dimostrato come "il caso Mattarella" preoccupasse sia le mafia che la politica del tempo:fu proprio l’ex presidente del consiglio Giulio Andreotti a prendere parte a due incontri -al cospetto di un boss quale Stefano Bontade- nei quali si parlò della necessità di fermare-eliminare Piersanti Mattarella. La sentenza del processo acclara che sebbene Andreotti fosse “nettamente contrario” all’esecuzione del delitto, Giulio Andreotti “non si è limitato a prendere atto, sgomento, che le sue autorevoli indicazioni erano state inaspettatamente disattese dai mafiosi ed a allontanarsi senz’altro dagli stessi, ma è sceso in Sicilia per chiedere conto al Bontade (il boss Stefano Boutade, ndr) della scelta di sopprimere il presidente della Regione”
Il ritratto morale di Piersanti Mattarella venne tracciato da Giuseppe Fava che, nell'articolo "I cento padroni di Palermo", così scriveva dell'uomo che sognava “una Sicilia con le carte in regola”:
"(...) Aveva studiato tutte le arti per diventare Mazzarino e improvvisamente divenne Pericle. Indossò tutta la dignità che dovrebbe avere sempre un uomo; dignità significa intransigenza morale, nitidezza nel governo, onestà nella pubblica amministrazione. Piersanti Mattarella fu capace di pensare in grande e pensare in proprio. Figurarsi la società palermitana degli oligarchi, i cento padroni di Palermo. Come poteva vivere un uomo così, e per giunta vivere da presidente? Nessuno capirà mai se Mattarella venne ucciso perché aveva fermato una cosa che stava accadendo, oppure perché avrebbe potuto fermare cose che invece ancora dovevano accadere." (qui il testo dell'articolo)
sera del 5 gennaio 1980
La sera di sabato 5 gennaio 1980 il Telegiornale regionale siciliano aveva mandato in onda l'ultima intervista rilasciata da Piersanti Mattarella, allora presidente della Regione Sicilia. Il tema dell'intervista era "Sicilia: nel buio degli anni ’80". L'intervista viene pubblicata in una sintesi dal «Giornale di Sicilia» proprio nell'edizione del 6 gennaio, il giorno in cui Mattarella sarà ucciso. Il titolo scelto era: “I nodi sono molto grossi, le armi appaiono spuntate: spero di farcela, e presto”: sono le parole che Piersanti Mattarella pronuncia in un passaggio della stessa intervista. Riportiamo la parte finale dell'intervista, quando il giornalista incalza Piersanti Mattarella sule azioni messe in atto per contrastare la mafia
Stralcio dell'intervista di Piersanti Mattarella:
“I nodi sono molto grossi, le armi appaiono spuntate: spero di
farcela, e presto”
(...) Domanda. Il ’79 è stato
l’anno in cui della mafia, dopo un crescendo di violenza, si è parlato dentro
il palazzo. È riconosciuto che il fenomeno si alimenta di un malessere sociale
per rispondere al quale sono necessari fatti politici, non solo misure di polizia.
Ma quali fatti politici in tal senso la Regione ha prodotto, quali potrà
produrre?
Risposta di P. Mattarella. «Fatti
politici ci sono stati. Cito soltanto i due dibattiti in Assemblea regionale
conclusi con voto unanime. Molte indicazioni concrete per far fronte al
fenomeno sono state accolte dai recenti provvedimenti del Consiglio dei
ministri in materia di ordine pubblico».
D. Siamo sempre sul
piano delle misure di polizia. I fatti politici riguardano il risanamento del
costume pubblico. Il cardinale Pappalardo nell’ultima lettera pastorale ha
detto che la mafia è pure quella sensazione di sicurezza prodotta dall’esser «protetti
da un amico o da un gruppo di amici che contano». Questi gruppi si
insediano pure dentro la classe dirigente.
R. «Il richiamo
del cardinale è appropriato. Il problema esiste perché nella società a diversi
livelli, nella classe dirigente non solo politica, ma pure economica e
finanziaria, si affermano comportamenti individuali e collettivi che
favoriscono la mafia. Bisogna intervenire per eliminare quanto a livello
pubblico, attraverso intermediazioni e parassitismi, ha fatto e fa proliferare
la mafia. Pure è necessario risvegliare doveri individuali e comportamenti dei
singoli che finiscono con il consentire il formarsi di un’area dove il fenomeno
ha potuto, dico storicamente, allignare e prosperare».
6 gennaio 1980
La mattina del 6 gennaio 1980 mentre la famiglia Mazzarella stava recandosi alla messa, senza la scorta che Piersanti Mazzarella aveva sempre rifiutato nei giorni festivi, i killer di cosa nostra si avvicinano all'auto del presidente nella quale vi erano anche la maglie, le figlie e la suocera. Nella fotografia di Letizia Battaglia, l'immagine del corpo morente di Piersanti Mattarella sorretto dal fratello Sergio, attuale Presidente della Repubblica, accorso appena udito gli spari. Lo stesso Giovanni Falcone era convinto che ambienti eversivi di destra fossero implicati del delitto di Piersanti Mattarella. Per questo Falcone chiamò a giudizio Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, accusati – e poi assolti – di essere gli autori materiali di un omicidio per il quale finora furono condannati solo i mandanti: i boss della Cupola di Cosa nostra Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci.
L'assassinio di Piersanti Mattarella venne compiuto il 6 gennaio del 1980, mentre la famiglia Mattarella si stava recando ad assistere alla messa festiva.
La sera del 5 gennaio 1984 Giuseppe Fava -detto Pippo-veniva massacrato a Catania da due killer del clan della famiglia Santapaola .
Così si può leggere su Wikipedia alla voce che lo riguarda: "Pippo Fava è stato è stato uno scrittore, giornalista, drammaturgo, saggista e sceneggiatore (...) direttore responsabile del Giornale del Sud e fondatore de I Siciliani, giornale "antimafia" in Sicilia(...) il secondo intellettuale a essere ucciso da cosa nostra dopo Peppino Impastato (9 maggio 1978)."
Cosa voglia dire essere intellettuale in Sicilia, come Peppino Impastato, cosa significava dirigere un giornale antimafia ( non l'antimafia "da palcoscenico" -quella di coloro che indossano la maschera dell'impegno sulle ribalte della politica e della cosiddetta società civile- nè quella dei "professionisti dell'antimafia"-quella delle carriere politiche o professionali costruite sul tema-mafie) lo si comprende quando si pensa che Giuseppe Fava fu fra i primi a parlare
del “terzo livello del potere mafioso”: l'intreccio perverso, le relazioni indicibili, che le mafie riescono a intessere nelle varie componenti delle comunità, l'utilizzo degradato del "potere politico" e il
conseguente intreccio tra politica, mafia e Stato.
Intervistato da Enzo Biagi il
28 dicembre 1983, fra le altre cose, Fava pronunciò parole "eretiche": «(...) Mi rendo conto che c'è un'enorme confusione
sul problema della mafia. I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte
sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo
momento sono ai vertici della nazione. Non si può definire mafioso il piccolo
delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività
commerciale, questa è roba da piccola criminalità, che credo abiti in tutte le
città italiane, in tutte le città europee. Il fenomeno della mafia è molto più
tragico ed importante (...) ».
In quella intervista, da intellettuale Fava sottolineò l'importanza della memoria, della conoscenza, ricordando gli eroi dimenticati della lotta secolare che i siciliani, a loro modo, combattono contro la mafia. "Io vorrei che gli italiani sapessero che non è vero che i siciliani sono mafiosi(...)". Ricordò uno di quegli eroi dimeticati,Placido Rizzotto :"un sindacalista "pazzo", pazzo alla maniera nobile del termine, (...) che si illudeva di poter redimere i poveri di Corleone e come un pazzo andava all'occupazione delle terre(...), un pazzo che gettava il seme della rivolta in una terra, in un territorio, tradizionalmente dominato dalla mafia", "Fava ricordò come "(...) tutti gli uomini che sono caduti negli ultimi tre o quattro anni sono tutti siciliani, gli eroi della lotta contro la mafia sono tutti siciliani, con l'esclusione di Carlo Alberto Dalla Chiesa il quale, tutto sommato, era anche lui un "siciliano" perchè era stato a comandare i carabinieri di Palermo per tanto tempo(...)".
Giuseppe Fava conduceva la sua battaglia culturale contro la mafia, cosa nostra da intellettuale, da giornalista. Nel suo ultimo intervento nelle vesti di direttore
de Il Giornale del Sud, Egli descrive precisamente quali sono le fondamenta, le radici, su cui deve poggiare a suo parere un "giornale". Il titolo di quell'articolo era: "Lo spirito di un Giornale".Il giorno dopo la pubblicazione di quell'articolo Fava sarebbe stato licenziato. All'inizio del 1983, insieme ad altri, Fava fonderà a Catania il giornale "I Siciliani", un foglio che si contraddistinguerà per l'analisi e il contrasto culturale al fenomeno mafioso.
Riportiamo uno stralcio de "Lo spirito di un Giornale":
"(...) Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una
società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il
giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto
di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la criminalità,
accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei
servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la
costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un
giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane. Persone
uccise in sparatorie che si sarebbero potute evitare se la pubblica verità
avesse ricacciato indietro i criminali: ragazzi stroncati da overdose di droga
che non sarebbe mai arrivata nelle loro mani se la pubblica verità avesse
denunciato l’infame mercato, ammalati che non sarebbero periti se la pubblica
verità avesse reso più tempestivo il loro ricovero.
Un giornalista incapace – per vigliaccheria o calcolo – della verità si
porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le
sofferenze.le sopraffazioni. le corruzioni, le violenze che non è stato
capace di combattere. Il suo stesso fallimento! Ecco lo spirito politico del
Giornale del Sud è questo! La verità!Dove
c’è verità, si può realizzare giustizia e difendere la libertà!
Se l’Europa degli anni
trenta-quaranta non avesse avuto paura di affrontare Hitler fin dalla prima
sfida di violenza, non ci sarebbe stata la strage della seconda guerra mondiale,
decine di milioni di uomini non sarebbero caduti per riconquistare una libertà
che altri, prima di loro, avevano ceduto per vigliaccheria.E’ una regola
morale che si applica alla vita dei popoli e a quella degli individui.A coloro
che stavano intanati, senza il coraggio di impedire la sopraffazione e la
violenza, qualcuno disse: “Il giorno in cui toccherà a voi non
riuscirete più a fuggire, nè la vostra voce sarà così alta che qualcuno possa
venire a salvarvi!”