La lettera di Michele viene pubblicata per volontà dei
genitori, perché quanto accaduto a Michele possa servire a qualcosa. Quanto accaduto a Michele deve servire a ripensare la vita nelle nostre comunità, nella nostra società. La lettera di Michele deve servire a rompere "i muri" che ci separano dagli altri, muri che sembrano più alti e invalicabili quando la richiesta è quella di un aiuto per spezzare difficoltà che portano alla solitudine.
La lettera di Michele viene pubblicata per volontà dei genitori, perché la denuncia non cada nel vuoto. La mamma di Michele: «Di
Michele ricorderemo il suo gesto di ribellione
estrema e il suo grido, simile ad altri che migliaia di altri giovani
probabilmente pensano ogni giorno di fronte ad una realtà che
distrugge i sogni».
Interroghiamoci tutti!...e accogliamo la responsabilità di sentire la vita degli altri vicina e parte della nostra vita.
Per questo Michele scrive la sua ultima Lettera
di MICHELE
Ho vissuto (male) per trent’anni,
qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di
stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono
soggettivi, non oggettivi
Ho cercato
di essere una brava persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti
tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie
risorse, di fare del malessere un’arte .
Ma le domande non finiscono mai, e io
di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di
fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di
colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti
e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di
me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere,
di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata,
stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai
visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di
fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere
messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande
qualità.
Tutte balle. Se la sensibilità fosse
davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è
mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è
una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le
alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque
cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la
posso riconoscere come mia.
Da questa
realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un
lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono
pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la
sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.
A quest’ultimo proposito, le cose per
voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete
pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente
non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non
voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la
sente di affrontarlo.
Non è assolutamente questo il mondo
che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a
continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di
identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo
ormai anche di prospettive. Non ci sono le condizioni per impormi, e
io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da
niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non
c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a
combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe
dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio
dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non
me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non
è a mia disposizione. Di no come risposta non si vive, di no si
muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi
in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento
tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di
accogliermi come sarebbe suo dovere fare.
Lo stato generale delle cose per me è
inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto
che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste
l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un
piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho
dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme
dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo,
finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno.
Sono entrato in questo mondo da persona
libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva
nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie. Non mi faccio ricattare dal
fatto che è l’unico possibile, io modello unico non funziona.
Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un
anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso,
di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non
si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio
obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri.
Io lo so che questa cosa vi sembra una
follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non
qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza
si, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi
essere felice facendo il tuo destino.
Perdonatemi, mamma e papà, se potete,
ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene. Dentro di me non c’era caos.
Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un
furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici.
Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori
di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di
alto tradimento.
P.S. Complimenti al ministro Poletti.
Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.
Ho resistito finché ho potuto.
tratto da "Principi fondamentali della Repubblica Italiana"
tratto da "Principi fondamentali della Repubblica Italiana"
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