Padre Pino Puglisi. Ma per i suoi parrocchiani era "3P".
«Era uno che
non si era incanalato, che faceva di testa sua». «Predicava, predicava,
prendeva ragazzini e li toglieva dalla strada... Martellava e rompeva
le scatole». Le parole di Gaspare Spatuzza e di Giovanni Drago,
mafiosi divenuti collaboratori di giustizia, basterebbero a spiegare,
nella loro rozza schiettezza,perché don Pino Puglisi è stato ucciso.
Anche per don Puglisi vale la differenza fondamentale tra Lui e altri,
altri sacerdoti, altri uomini e donne del suo tempo: lui vedeva ma non
taceva!
Don Lugi Ciotti così ne parla: "(...) un modo così radicale di abitare la strada e di esercitare il ministero del parroco è scomodo (...)".
Don Puglisi era differente: "(...) si sapeva che faceva delle messe non proprio a favore della mafia". Fu ucciso dalla mafia la sera del suo compleanno, il 15 settembre 1993: erano passate da poco le otto della sera. A Salvatore Grigoli, il killer che lo aspettava, don Pino sorrise dicendo "Me l' aspettavo".
Qui la notizia pubblicata su La Repubblica , lo scorso anno, secondo la quale sarebbe stato ritrovato un nastro registrato nel quale Don Puglisi, mostra la consapevolezza di essere in grave pericolo: "Il testimone deve rischiare...io sto rischiando grosso forse, non lo so, però credo nell'amicizia". Ma Don Puglisi rimase non andò via da Brancaccio
Il sogno di don Puglisi: "Pochi giorni fa, prima di tornare qui come parroco, io ho sognato il futuro di questo quartiere ed è stato proprio bello. Bello perché ho sognato un posto dove erano spariti i furti, era sparita la droga, dove non c'erano più violenze, prepotenze, dove la gente non aveva paura, dove non c'era più la fame perché c'era lavoro per tutti, dove c'erano delle scuole bellissime, dove i bambini giocavano... Io ho sognato il futuro di questo quartiere ed è stato proprio bello!"
Riproponiamo l'articolo de La Stampa, pubblicato lo scorso maggio 2014 in occasione della beatificacazione di Don Puglisi
Decine di migliaia a Palermo
per don Puglisi proclamato beato
IL MARTIRE DELLA FEDE DON PUGLISI È IL PATRONO DELLA CHIESA ANTI-MAFIA. «D’ORA
IN POI NESSUNO POTRÀ PIÙ USURPARE IL NOME DI DIO PER GIUSTIFICARE LA
MENTALITÀ CRIMINALE DI QUEI CLAN CHE PER DECENNI SI SONO AMMANTATI DI
FALSA E BLASFEMA RELIGIOSITÀ», AFFERMA A IL
VESCOVO DI MAZARA DEL VALLO DOMENICO MOGAVERO, EX POSTULATORE DELLA
CAUSA DI BEATIFICAZIONE DEL PARROCO PALERMITANO UCCISO DA COSA NOSTRA.
«L’autentica
fede in Cristo è incompatibile con qualunque appartenenza ad
organizzazioni che avvelenano la società e la privano del suo futuro»,aggiunge Mogavero, presente
insieme a oltre 80mila fedeli al Foro italico di Palermo per la
beatificazione di Padre Pino Puglisi, il sacerdote di Brancaccio che
sorrise anche di fronte ai killer della mafia che lo uccisero il 15
settembre 1993.
Sul
Prato del Foro italico c’è un clima di festa serena, tantissime le
famiglie presenti, centinaia i volontari provenienti da tutta Italia,
scout e associazioni di quartiere. E poi ci sono tantissimi ragazzi che
quando Don Pino era a Palermo non erano ancora nati. L’annuncio era
stato dato il 28 giugno scorso: don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il
15 settembre 1993, nuovo Beato. Benedetto XVI aveva riconosciuto il
fatto che l’esecuzione ordinata dai boss e avvenuta davanti alla
parrocchia di San Gaetano, retta dal sacerdote, nel quartiere
Brancaccio, fu «martirio», commesso «in odio alla fede».
E
Papa Francesco, appena lunedì scorso, durante la visita «ad limina»
della Conferenza episcopale siciliana ha esortato la Chiesa locale a
dare contro la mafia, una testimonianza più chiara e più evangelica. Nei
quasi 20 anni che separano dall’assassinio di padre Pino, «la verità è
infine emersa», ha a suo tempo spiegato il postulatore della causa di
beatificazione, l’arcivescovo Vincenzo Bertolone, legando la verità del
martirio di Puglisi a «quella giudiziaria, vergata con inchiostro
indelebile dalla Cassazione» secondo cui «l’omicidio fu deciso dai
fratelli Giuseppe e Filippo Graviano per mettere a tacere un sacerdote
scomodo, socialmente impegnato, che col suo ministero di pastore di
anime, di formatore di coscienze cristiane, soprattutto di quelle dei
fanciulli, li ridicolizzava sottraendo loro manovalanza, prestigio e
potere, come del resto sprezzantemente li rimproverava uno dei capi
indiscussi di Cosa Nostra, Leoluca Bagarella».
Chi diede l’ordine di ucciderlo lo fece «non
per eliminare un pericoloso nemico, alla stregua di magistrati,
giornalisti, esponenti delle forze dell’ordine e della società civile,
ma per cercare di fermare un luminoso testimone di fede». Puglisi «era
persona tutta di un pezzo, agiva umilmente, con semplicità, senza
cercare visibilità, antieroe: annunciava e proclamava l’Unico
Necessario, il Padre Nostro». E fu proprio l’essere un uomo libero,
«armato della sola forza della Parola, a costargli la vita», giustiziato
dall’odio che i mafiosi nutrivano verso il suo modo di essere
sacerdote.
La sua figura riveste un ruolo di «grande importanza per la società civile, per la Chiesa universale, in particolare per la Chiesa palermitana e siciliana e per tutte quelle che si confrontano sul proprio territorio con le organizzazioni criminali, perché il suo sacrificio ha svelato il grande inganno della mafia, sedicente portatrice di religiosità. Il suo esempio è stato ed è così forte da aver attraversato il tempo: nei 19 anni trascorsi, Brancaccio, Palermo, la Sicilia, l’Italia, il mondo non lo hanno dimenticato».
La sua figura riveste un ruolo di «grande importanza per la società civile, per la Chiesa universale, in particolare per la Chiesa palermitana e siciliana e per tutte quelle che si confrontano sul proprio territorio con le organizzazioni criminali, perché il suo sacrificio ha svelato il grande inganno della mafia, sedicente portatrice di religiosità. Il suo esempio è stato ed è così forte da aver attraversato il tempo: nei 19 anni trascorsi, Brancaccio, Palermo, la Sicilia, l’Italia, il mondo non lo hanno dimenticato».
«La mafia è intrinsecamente anticristiana»,
ha poi ribadito il prefetto della Congregazione per le cause dei santi,
cardinale Angelo Amato. Quello di don Puglisi, spiega, è stato un
«martirio, perché è stato ucciso in odium fidei». «Ovviamente - ha
sottolineato il cardinale salesiano - qui bisogna chiarire cosa
significa in odium fidei, dal momento che la mafia viene descritta
spesso come una realtà “religiosa”, una realtà i cui membri sembrano
apparentemente molto devoti». Nel processo canonico, è stato
approfondito questo aspetto «e abbiamo visto come, da una parte, abbiamo
un’organizzazione che, più che “religiosa”, è essenzialmente
“idolatrica”». Anche il paganesimo antico, ricorda Amato, era “religioso”, ma la sua religiosità era rivolta agli idoli. Nella mafia gli idoli sono il potere, il denaro e la prevaricazione.
È quindi una società che, con un involucro pseudo religioso, veicola
un’etica antievangelica, che va contro i dieci comandamenti e il
Vangelo. La Scrittura dice: non uccidere, non dire falsa testimonianza.
Nella ideologia mafiosa, invece, si fa esattamente l’opposto. Gesù ha
detto di perdonare ai nemici e qui troviamo il contrario: la vendetta.
Per la Chiesa Cattolica, dunque, «la mafia è intrinsecamente
anticristiana». Per di più, l’odio verso don Puglisi era determinato «semplicemente dal fatto che si trattava di un sacerdote che educava i giovani alla vita buona del Vangelo». Dunque «sottraeva le nuove generazioni alla nefasta influenza della malavita».
Davanti a casi analoghi, altri vescovi, potranno ora decidere di
seguire l’esempio dell’arcidiocesi di Palermo e introdurre cause di
beatificazione per chi ha pagato con la vita il suo impegno per
sottrarre i ragazzi alle cosche.
Secondo
il prefetto per le cause dei santi, «pur in un contesto nuovo anche in
don Puglisi si verifica il concetto tradizionale di martirio e cioè,
appunto, un battezzato ucciso in odio alla fede». È stato ucciso «in
quanto sacerdote, non perché immerso in attività socio-politiche
particolari. Ucciso in quanto predicava la dottrina cristiana ed educava
i giovani a vivere con coerenza il loro battesimo».
Morì per strada, ha sottolineato don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, «dove
viveva, dove incontrava i `piccoli´, gli adulti, gli anziani, quanti
avevano bisogno di aiuto e quanti, con la propria condotta, si rendevano
responsabili di illegalità, soprusi e violenze. Probabilmente per
questo lo hanno ucciso: perché un modo così radicale di abitare la
strada e di esercitare il ministero del parroco è scomodo. Lo hanno
ucciso nell’illusione di spegnere una presenza fatta di ascolto, di
denuncia, di condivisione». Per don Ciotti, il sacerdote palermitano «ha incarnato pienamente la povertà, la fatica, la libertà e la gioia del vivere, come preti, in parrocchia».
Con la sua testimonianza, dunque, don Pino «ci sprona a sostenere
quanti vivono questa stessa realtà con impegno e silenzio».
Don Puglisi, “figura bellissima”, è stato ucciso “in odium fidei”, per odio della fede da parte di chi lo ha assassinato, ottolinea il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei:”E’
stato ucciso in quanto sacerdote che faceva il suo dovere, specialmente
sul piano educativo delle giovani generazioni. E dunque è un martire».
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