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martedì 15 settembre 2015

Don Pino Puglisi: "E se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto".

Padre Pino Puglisi. Ma per i suoi parrocchiani era "3P".
«Era uno che non si era incanalato, che faceva di testa sua». «Predicava, predicava, prendeva ragazzini e li toglieva dalla strada... Martellava e rompeva le scatole». Le parole di Gaspare Spatuzza e di Giovanni Dr
ago, mafiosi divenuti collaboratori di giustizia, basterebbero a spiegare, nella loro rozza schiettezza,perché don Pino Puglisi è stato ucciso. Anche per don Puglisi vale la differenza fondamentale tra Lui e altri, altri sacerdoti, altri uomini e donne del suo tempo: lui vedeva ma non taceva! 

Don Lugi Ciotti così ne parla:  "(...) un modo così radicale di abitare la strada e di esercitare il ministero del parroco è scomodo (...)".

Don Puglisi  era differente: "(...) si sapeva che faceva delle messe non proprio a favore della mafia". Fu ucciso dalla mafia la sera del suo compleanno, il 15 settembre 1993: erano passate da poco le otto della sera. Salvatore Grigoli, il killer che lo aspettava, don Pino sorrise dicendo "Me l' aspettavo".

 Qui la notizia pubblicata su La Repubblica , lo scorso anno, secondo la quale sarebbe stato ritrovato un nastro registrato nel quale Don Puglisi, mostra la consapevolezza di essere in grave pericolo: "Il testimone deve rischiare...io sto rischiando  grosso forse, non lo so, però credo nell'amicizia". Ma Don Puglisi rimase non andò via da Brancaccio

Il sogno di don Puglisi: "Pochi giorni fa, prima di tornare qui come parroco, io ho sognato il futuro di questo quartiere ed è stato proprio bello. Bello perché ho sognato un posto dove erano spariti i furti, era sparita la droga, dove non c'erano più violenze, prepotenze, dove la gente non aveva paura, dove non c'era più la fame perché c'era lavoro per tutti, dove c'erano delle scuole bellissime, dove i bambini giocavano... Io ho sognato il futuro di questo quartiere ed è stato proprio bello!"


Riproponiamo l'articolo de La Stampa, pubblicato lo scorso maggio 2014 in occasione della beatificacazione di Don Puglisi

Decine di migliaia a Palermo
per don Puglisi proclamato beato



IL MARTIRE DELLA FEDE DON PUGLISI È IL PATRONO DELLA CHIESA ANTI-MAFIA. «D’ORA IN POI NESSUNO POTRÀ PIÙ USURPARE IL NOME DI DIO PER GIUSTIFICARE LA MENTALITÀ CRIMINALE DI QUEI CLAN CHE PER DECENNI SI SONO AMMANTATI DI FALSA E BLASFEMA RELIGIOSITÀ», AFFERMA A IL VESCOVO DI MAZARA DEL VALLO DOMENICO MOGAVERO, EX POSTULATORE DELLA CAUSA DI BEATIFICAZIONE DEL PARROCO PALERMITANO UCCISO DA COSA NOSTRA. 

«L’autentica fede in Cristo è incompatibile con qualunque appartenenza ad organizzazioni che avvelenano la società e la privano del suo futuro»,aggiunge Mogavero, presente insieme a oltre 80mila fedeli al Foro italico di Palermo per la beatificazione di Padre Pino Puglisi, il sacerdote di Brancaccio che sorrise anche di fronte ai killer della mafia che lo uccisero il 15 settembre 1993. 

Sul Prato del Foro italico c’è un clima di festa serena, tantissime le famiglie presenti, centinaia i volontari provenienti da tutta Italia, scout e associazioni di quartiere. E poi ci sono tantissimi ragazzi che quando Don Pino era a Palermo non erano ancora nati. L’annuncio era stato dato il 28 giugno scorso: don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, nuovo Beato. Benedetto XVI aveva riconosciuto il fatto che l’esecuzione ordinata dai boss e avvenuta davanti alla parrocchia di San Gaetano, retta dal sacerdote, nel quartiere Brancaccio, fu «martirio», commesso «in odio alla fede». 

E Papa Francesco, appena lunedì scorso, durante la visita «ad limina» della Conferenza episcopale siciliana ha esortato la Chiesa locale a dare contro la mafia, una testimonianza più chiara e più evangelica. Nei quasi 20 anni che separano dall’assassinio di padre Pino, «la verità è infine emersa», ha a suo tempo spiegato il postulatore della causa di beatificazione, l’arcivescovo Vincenzo Bertolone, legando la verità del martirio di Puglisi a «quella giudiziaria, vergata con inchiostro indelebile dalla Cassazione» secondo cui «l’omicidio fu deciso dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano per mettere a tacere un sacerdote scomodo, socialmente impegnato, che col suo ministero di pastore di anime, di formatore di coscienze cristiane, soprattutto di quelle dei fanciulli, li ridicolizzava sottraendo loro manovalanza, prestigio e potere, come del resto sprezzantemente li rimproverava uno dei capi indiscussi di Cosa Nostra, Leoluca Bagarella».  

Chi diede l’ordine di ucciderlo lo fece «non per eliminare un pericoloso nemico, alla stregua di magistrati, giornalisti, esponenti delle forze dell’ordine e della società civile, ma per cercare di fermare un luminoso testimone di fede». Puglisi «era persona tutta di un pezzo, agiva umilmente, con semplicità, senza cercare visibilità, antieroe: annunciava e proclamava l’Unico Necessario, il Padre Nostro». E fu proprio l’essere un uomo libero, «armato della sola forza della Parola, a costargli la vita», giustiziato dall’odio che i mafiosi nutrivano verso il suo modo di essere sacerdote.
 La sua figura riveste un ruolo di «grande importanza per la società civile, per la Chiesa universale, in particolare per la Chiesa palermitana e siciliana e per tutte quelle che si confrontano sul proprio territorio con le organizzazioni criminali, perché il suo sacrificio ha svelato il grande inganno della mafia, sedicente portatrice di religiosità. Il suo esempio è stato ed è così forte da aver attraversato il tempo: nei 19 anni trascorsi, Brancaccio, Palermo, la Sicilia, l’Italia, il mondo non lo hanno dimenticato». 

«La mafia è intrinsecamente anticristiana», ha poi ribadito il prefetto della Congregazione per le cause dei santi, cardinale Angelo Amato. Quello di don Puglisi, spiega, è stato un «martirio, perché è stato ucciso in odium fidei». «Ovviamente - ha sottolineato il cardinale salesiano - qui bisogna chiarire cosa significa in odium fidei, dal momento che la mafia viene descritta spesso come una realtà “religiosa”, una realtà i cui membri sembrano apparentemente molto devoti». Nel processo canonico, è stato approfondito questo aspetto «e abbiamo visto come, da una parte, abbiamo un’organizzazione che, più che “religiosa”, è essenzialmente “idolatrica”». Anche il paganesimo antico, ricorda Amato, era “religioso”, ma la sua religiosità era rivolta agli idoli. Nella mafia gli idoli sono il potere, il denaro e la prevaricazione. È quindi una società che, con un involucro pseudo religioso, veicola un’etica antievangelica, che va contro i dieci comandamenti e il Vangelo. La Scrittura dice: non uccidere, non dire falsa testimonianza. Nella ideologia mafiosa, invece, si fa esattamente l’opposto. Gesù ha detto di perdonare ai nemici e qui troviamo il contrario: la vendetta. Per la Chiesa Cattolica, dunque, «la mafia è intrinsecamente anticristiana». Per di più, l’odio verso don Puglisi era determinato «semplicemente dal fatto che si trattava di un sacerdote che educava i giovani alla vita buona del Vangelo». Dunque «sottraeva le nuove generazioni alla nefasta influenza della malavita». Davanti a casi analoghi, altri vescovi, potranno ora decidere di seguire l’esempio dell’arcidiocesi di Palermo e introdurre cause di beatificazione per chi ha pagato con la vita il suo impegno per sottrarre i ragazzi alle cosche.  

Secondo il prefetto per le cause dei santi, «pur in un contesto nuovo anche in don Puglisi si verifica il concetto tradizionale di martirio e cioè, appunto, un battezzato ucciso in odio alla fede». È stato ucciso «in quanto sacerdote, non perché immerso in attività socio-politiche particolari. Ucciso in quanto predicava la dottrina cristiana ed educava i giovani a vivere con coerenza il loro battesimo».
Morì per strada, ha sottolineato don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, «dove viveva, dove incontrava i `piccoli´, gli adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e quanti, con la propria condotta, si rendevano responsabili di illegalità, soprusi e violenze. Probabilmente per questo lo hanno ucciso: perché un modo così radicale di abitare la strada e di esercitare il ministero del parroco è scomodo. Lo hanno ucciso nell’illusione di spegnere una presenza fatta di ascolto, di denuncia, di condivisione». Per don Ciotti, il sacerdote palermitano «ha incarnato pienamente la povertà, la fatica, la libertà e la gioia del vivere, come preti, in parrocchia». Con la sua testimonianza, dunque, don Pino «ci sprona a sostenere quanti vivono questa stessa realtà con impegno e silenzio». 
Don Puglisi, “figura bellissima”, è stato ucciso “in odium fidei”, per odio della fede da parte di chi lo ha assassinato, ottolinea il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei:”E’ stato ucciso in quanto sacerdote che faceva il suo dovere, specialmente sul piano educativo delle giovani generazioni. E dunque è un martire».  

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