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venerdì 26 settembre 2014

Mauro Rostagno. Non serve cercare un posto in questa società, ma creare una società dove valga la pena di trovare un posto

” Non serve cercare un posto in questa società, ma creare una società dove valga la pena di trovare un posto. Questa la citazione più cara a Mauro Rostagno. Rostagno era nato a Torino, 6 marzo 1942. Fondatore di Lotta Continua, profondamente contrario alla lotta armata che segnarà drammaticamente il destino di quegli anni, morì in terra di Sicilia , a Lenzi di Valderice, 26 settembre 1988. Un delitto sarebbe rimasto senza processo se non fosse stato per l’ex capo della Mobile Linares e un poliziotto vecchio stampo, Nanai Ferlito, i quali fecero scoprire che, nonostante anni di indagine (“malfatte” è stato sentito dire più volte in aula), non erano mai stati fatti confronti balistici mentre “i soliti depistaggi” avevano fatto seguire le solite “altre strade”.
Dalla metà degli anni ottanta, Rostagno lavora come giornalista e conduttore anche per l'emittente televisiva locale Radio Tele Cine (RTC). Attraverso la televisione,denuncia le collusioni tra mafia e politica locale: con il suo lavoro di denuncia e di ricerca della verità, Mauro Rostagno firmò la sua condanna a morte. 
Una intervista di Mauro Rostagno a Paolo Borsellino

Lo scorso maggio, finalmente, la verità processuale sul suo omicidio viene finalmente scritta e rivelata.
Riportiamo l'articolo de La Repubblica dello scorso 16 maggio, all'indomani della condanna degli assassini di Mauro Rostagno

 Fonte : La Repubblica


TRAPANI - Ergastolo per entrambi gli imputati.  E' arrivata alle 23.30 la sentenza della Corte d'Assise di Trapani nel processo a carico del capomafia trapanese Vincenzo Virga e del sicario della famiglia mafiosa Vito Mazzara, accusati di essere rispettivamente il mandante e l'esecutore dell'omicidio di Mauro Rostagno, il sociologo e giornalista ucciso in contrada Lenzi, a Valderice (Trapani) il 26 settembre 1988. Inflitta anche l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. 
La Corte, presieduta da Angelo Pellino, era riunita in Camera di Consiglio dalle 12 di martedì scorso, nell'aula bunker del carcere di Trapani. Per i due imputati, entrambi detenuti per altre condanne, i pm della Dda di Palermo Gaetano Paci e Francesco Del Bene avevano chiesto l'ergastolo. Per la pubblica accusa, "il modus operandi seguito nel delitto Rostagno è quello tipicamente mafioso" e il movente sarebbe da rincondurre "all'attività giornalistica, destabilizzante della quiete criminale" che Rostagno conduceva dagli schermi dell'emittente televisiva locale Rtc. I difensori Stefano Vezzadini e Giancarlo Ingrassia, per Virga, e Vito e Salvatore Galluffo, per Mazzara, avevano invece chiesto l'assoluzione dei loro assistiti "per non aver commesso il fatto".
In aula c'erano la figlia di Rostagno, Maddalena (oggi è il suo compleanno), l'ex compagna Chicca Roveri e la sorella del sociologo-giornalista Carla, parti civili nel processo. Presenti anche l'ex pm e commissario della Provincia di Trapani Antonio Ingroia, che riaprì il caso, e il portavoce del M5S al Senato, il trapanese Vincenzo Santangelo. La lettura della sentenza è stata accolta con evidente soddisfazione, accompagnata in alcuni casi da un pianto liberatorio.
La condanna di Virga e Mazzara fa piazza pulita della tesi che aveva escluso la matrice mafiosa del delitto e aveva puntato all'interno della comunità Saman per tossicodipenti, fondata da Rostagno, adombrando un movente che mescolava storie private con una confusa gestione della struttura. Per lungo tempo, ha tuonato l'accusa, la ricerca della verità è stata frenata da "sottovalutazioni inspiegabili, omissioni, miopie".
"Se la Corte d'Assise è arrivata a questa decisione - dice ora il pm Paci - è per lo scrupolo e il rigore impiegati in questi anni di indagine nel non tralasciare alcune ipotesi tra quelle emerse nel tempo".
Il collegio ha condannato i due imputati al risarcimento delle parti civili tra le quali l'Ordine dei giornalisti, la comunità Saman, di cui Rostagno era il fondatore, i familiari del sociologo e l'Associazione della stampa. La Corte ha anche disposto la trasmissione in Procura delle deposizioni di una serie di testimoni tra i quali l'ex sottufficiale dei carabinieri Beniamino Cannas e l'editrice dell'emittente televisiva Rtc, Caterina Ingrasciotta, televisione privata dalla quale Rostagno denunciava Cosa nostra e i suoi legami con la massoneria deviata.

giovedì 25 settembre 2014

Fenomenologia di una calabrizzazione: “La ‘ndrangheta di casa nostra"

Numerose, oramai quotidiane, sono le inchieste giudiziarie e giornalistiche che fanno emergere e mostrano quanto sia diffuso -anche nel Nord Italia- il processo di "calabrizzazione" a cui fa riferimento l'articolo che proponiamo di seguito: Di poche ore fa l'ultima operazione nei confronti della 'ndrangheta in Toscana ed Emilia Romagna
In Piemonte, addirittura viviamo ancora le vicende del Processo Minotauro dal quale sono usciti i nomi e le vicende di insospettabili, di "opportunisti", così li defini Gian Carlo Caselli nella sua requisitoria, che non hanno alcun interesse a denunciare mafie e mafiosi. Questi, intrattenendo rapporti non "penalmente perseguibili", hanno trovato modo e tempo per tornare presto alla ribalta grazie ai partiti di appartenenza e alla  sostanziale ignavia della cosiddetta "società civile", che mai come in questo caso si è dimostrata "poco responsabile"
Facile profezia si era dimostrata quella di affermare i che i mali della Calabria,  così come quelli della Sicilia e della Campania, per citare le terre storicamente pervase dal sistema mafioso, potevano rappresentare "un rischio" per l'Italia intera se non fossero cambiati sostanzialmente i valori culturali di riferimento della nostra società
Sembrava evidenza  storica affermare che lo stato  di decadimento economico in cui versano parti importanti delle terre prima menzionate ha causa certa e provata nella criminalità che, in connubio con la mala-politica,  governa e domina su quei territori. Proprio il mantenimento di uno "stato di bisogno" è la fonte primaria del potere di stampo mafioso! Oggi lo spiegano, vanamente, anche insigni economisti: un sistema corrotto allontana e preclude "sviluppo e futuro" vero, reale e sostenibile.
Le mafie , lo ricordiamo sempre , sono il mezzo più sicuro ed efficace per ottenere ciò che non ci si merita: un sistema fondato anzitutto sull'ingiustizia! Quel che è peggio, come affermò Antonio Ingroia,  è che quei metodi si sono diffusi e vengono utilizzati anche da chi non si può considerare mafioso in senso stretto. 
Cosicchè quelli che venivano considerati "veniali" atti di malcostume,  si sono rivelati essere il primo atto di complicità e accondiscendenza ad un sistema clientelare e di tipo mafioso: il "favore" richiesto  o ottenuto dal potente di turno, anzicchè la rivendicazione di un Diritto da conquistare dopo che si è adempiuto ad un Dovere; la “raccomandazione” che ci permette di occupare un ruolo senza esserne all'altezza e a danno di altri che -per capacità e preparazione- avrebbero meritato più di noi quella posizione; il  "voto" l'arma politica di noi cittadini  ridotta "a merce" quando il voto, anzichè essere libera espressione delle convinzioni politiche di ciascuno,  viene comprato, venduto, barattato,  con la promessa ( l'illusione?) di un posto di lavoro o per la conquista dei tanti privilegi di cui gode la classe politica dirigente di questo paese; l'esistenza  stessa di quei "privilegi" che dovrebbero costituire scandalo -di per sè - in uno stato che si dica civile e democratico!
Comportamenti di "tipo mafioso", mero esercizio di  "potere", hanno provocato la degenerazione e il decadimento di una intera comunità-nazione. Così trova una possibile spiegazione la palese mediocrità di una parte della “classe dirigente” del paese: una spirale perversa che porta all'elezione di personaggi  il cui scopo è ben lontano dal voler amministrare il "bene pubblico" a favore della collettività. 
Alla luce di certi fatti e di certe cronache se una  "unificazione" dell'Italia è avvenuta, questa è avvenuta purtroppo nel radicamento delle dinamiche e dei modi indotti dalle organizzazioni criminali colluse con la mala-politica 
L'articolo che proponiamo dal Blog di Guido Cavalli è quindi l'ennesima dimostrazione di come 'ndrangheta e cosa nostra ( la mafia siciliana) siano oramai a "casa nostra"! 
Emilia Romagna compresa!... E proprio nel paese che fu teatro della famosa saga fra Don Camillo e Beppone, i due personaggi inventati da Guareschi nel secondo dopoguerra e che incarnarono quel confronto-scontro fra "destra e sinistra" fondato -almeno sullo schermo- sui valori dell'onestà e del buona fede! A vedere la situazione di oggi, viene da dire: "Altri tempi!,signora Maria!"...Altro secolo! Altri uomini! 
Come dice Leporello nel Don Giovanni di Mozart "(...) il catalogo è questo!"
Del resto, lo ricordiamo sempre , le mafie "votano! e , soprattutto, "fanno votare"! pertanto, l'appartenenza del politico mostrato nel filmato è davvero poco rilevante giacchè fatti e cronache hanno dimostrato che le mafie non fanno distinzioni partitiche e non hanno "preferenze" politiche. Le mafie sono, da tempo, una sorta di società di servizi e stringono alleanze e rapporti con coloro che vogliono avvalersi " di quei servizi"!

Fonte: Blog di Giulio Cavalli

Fenomenologia di una calabrizzazione

Prendetevi qualche minuto per guardare la prima parte di questo documentario dalla webtv Cortocircuito, parte del loro ultimo documentario “La ‘ndrangheta di casa nostra. Radici in terra emiliana“. I ragazzi intervistano il sindaco di Brescello Marcello Coffrini (PD);Il primo cittadino parla della realtà locale negando che ci siano “mai state denunce per estorsione o ricettazione”. E poi descrive come “una persona educata e composta” Francesco Grande Aracri, boss condannato in via definitiva per mafia nel 2008, soggetto a regime di sorveglianza speciale e considerato il punto di riferimento dell’ndrangheta in Emilia. 
La troupe di giovani studenti e giornalisti si fa accompagnare da Coffrini sui terreni sequestrati alla famiglia (beni per 3 milioni di euro). Subito vengono raggiunti da un furgoncino che chiede spiegazioni e poi dallo stesso Aracri. Il sindaco si apparta con il boss per spiegare la situazione e tornato in macchina spiega: “E’ lui Francesco Grande Aracri. E’ gentilissimo, molto tranquillo. Parlando con lui si ha la sensazione di tutto tranne che sia quello che dicono che sia. Lui è uno molto composto ed educato che ha sempre vissuto a basso livello. La famiglia qui ha un’azienda che adesso è riuscita a ripartire: fanno i marmi. Mi fa piacere che siano ripartiti”.

martedì 23 settembre 2014

Quel 23 settembre 1985 era un lunedì. Giancarlo Siani Aveva compiuto 26 anni da quattro giorni. Ed era felice!

Quel 23 settembre 1985 era un lunedì. Giancarlo Siani aveva finito di lavorare prima del solito. Doveva andare a un concerto. La fidanzata lo aspettava...La sera in cui fu ammazzato, Giancarlo Siani tornava a casa prendendo il vento di faccia nella sua Citroen Méhari verde bottiglia. Aveva compiuto 26 anni da quattro giorni. Ed era felice.

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Ricordiamo la storia di Giancarlo Siani, come lo ha ricordato Antonio Castaldo, nell'artico scritto lo scorso anno in occasione dell'anniversario della sua uccisione

Fonte : Corriere Della Sera

di Antonio Castaldo

Era Lunedì. Giancarlo aveva finito di lavorare prima del solito. Doveva andare a un concerto. La fidanzata lo aspettava. E mentre dal Chiatamone, nel cuore barocco di Napoli, volava verso casa, su al Vomero, molto probabilmente sorrideva. Aveva ottenuto un contratto di due mesi, una sostituzione estiva alMattino. Da cinque anni era un «abusivo», lo schiavetto della redazione di Castellammare di Stabia. Senza contratto e senza diritti. Ma il purgatorio stava per finire. «Appena parte il nuovo piano editoriale sarai assunto», gli aveva detto il direttore Pasquale Nonno. Il suo sogno, lo stesso di ogni ragazzo che vuole fare il giornalista, stava per realizzarsi. Avrebbe avuto un contratto da praticante. La sera in cui fu ammazzato, Giancarlo Siani tornava a casa prendendo il vento di faccia nella sua Citroen Méhari verde bottiglia. Aveva compiuto 26 anni da quattro giorni. Ed era felice.
Una sentenza passata in giudicato nel 2000 ha stabilito che ad uccidere il giornalista napoletano alle 20.50 del 23 settembre 1985 sono stati due killer del clan Nuvoletta. Da quello stesso giorno il suo nome è diventato un simbolo di legalità. Giancarlo è diventato un eroe, un martire. Nessuno può negarlo e una sentenza lo conferma, i killer lo hanno ammazzato per quello che aveva scritto. E per ciò che stava per scrivere. Eppure, come ci ricorda un libro di Bruno De Stefano appena pubblicato, Passione e morte di un giornalista scomodo (Giulio Perrone editore), Siani era «un cronista che faceva semplicemente il suo lavoro con tanta passione e altrettanto rigore». E «il santino da eroe e da martire cucito addosso a questo giovanotto solare e sorridente più che rendergli onore lo mortifica, svilisce la sua intelligenza e il suo equilibrio trasformandolo in uno sprovveduto aspirante cronista inconsapevole dei rischi a cui andava incontro». Il libro di De Stefano restituisce alla corretta ricostruzione dei fatti un ragazzo morto ammazzato inseguendo la verità. E ce n’era bisogno perché altri avevano affrontato il caso dal punto di vista soltanto emozionale, come in un romanzo. Mancava un’analisi organica e definitiva della lunga vicenda processuale. Un testo che completasse certezze maturate in 15 anni di passi falsi.
Siani era un cronista di provincia. L’ultimo arrivato nel più grande quotidiano del Sud. Fin dal giorno del delitto, per qualcuno è stato difficile accettare l’idea che fosse stato giustiziato a causa del suo lavoro di cronista di frontiera. All’inizio anche la stessa magistratura ha inseguito ipotesi suggestive quanto irreali, collusioni con cooperative di ex detenuti piuttosto che piste passionali. La verità era altrove, ed è venuta fuori solo a partire dalla metà degli anni 90, grazie ad alcuni pentiti e al lavoro di un magistrato determinato come Armando D’Alterio.
Siani era dal 1980 corrispondente dalla città di Torre Annunziata, in quegli anni al centro della sanguinosa faida che opponeva il gruppo di Bardellino (il nucleo primigenio del clan dei casalesi) alle famiglie vesuviane di Alfieri e Gionta. Una guerra di mafia culminata nel massacro del 26 agosto del 1984 a Torre Annunziata. Gli uomini di Bardellino piombarono nel quartier generale dei Gionta a bordo di un pullman.  Morirono 8 persone, 7 i feriti. Ma il boss Valentino scampò all’agguato.
Giancarlo non poté scrivere molto sul fatto più grosso che gli fosse mai capitato. Come sempre in questi casi, i pezzi di prima pagina sono appannaggio degli inviati speciali. Ma nei mesi successivi si diede da fare con gli scenari criminali in continuo mutamento.
L’8 giugno 1985 Gionta viene arrestato nei pressi della tenuta di campagna dei Nuvoletta, dove aveva trovato rifugio durante la latitanza. Ancora una volta Siani resta in panchina. Ma il 10 giugno appare un pezzo di analisi che prova a spiegare quell’arresto inaspettato: La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di ‘Nuova famiglia’, i Bardellino”, scrive, evidentemente imbeccato dagli investigatori. E questa frase, a quanto hanno accertato dai giudici, decreta la sua condanna a morte.
Tuttavia, l’ombra di infamia fatta aleggiare sui potentissimi Nuvoletta non è il solo movente. Siani stava indagando da alcuni mesi sugli intrecci tra la classe politica vesuviana e la criminalità organizzata. Le sue fonti racconteranno delle continue richieste di documenti su appalti e piani di ricostruzione, riccamente finanziati dai fondi per il terremoto
Un’amica di vecchia data, Chiara Grattoni, testimonierà che Giancarlo era in quel periodo eccitato per le notizie che aveva scoperto: “La cosa che ricordo di più, che mi impressionò di più, era che lui sosteneva che i politici di Torre Annunziata fossero implicati in fatti di camorra [...]. Era molto preso dalla cosa”. Confermò la donna. E come alla fine concluse il pm D’Alterio, Siani faceva paura per il solo fatto che in un ambiente omertoso, quale quello di Torre Annunziata, faceva domande e smuoveva le acque”.
Siani, insomma, dava fastidio perché poneva interrogativi scomodi. E perché continuava a raccogliere documenti su documenti. Il giorno della sua morte telefonò ad Amato Lamberti, il sociologo da sempre impegnato nella lotta alla camorra, e gli chiese urgentemente un incontro. Doveva parlargli. Ma al telefono non poteva, e non vicino al giornale, dove evidentemente non si sentiva
al sicuro. Nessuno sa cosa avesse scoperto. Quando è stato ucciso, nella scassatissima auto decappottabile, in ufficio e a casa, non è stata trovata traccia del dossier su cui lavorava. Una stranezza per chi come lui era abituato ad archiviare anche gli scontrini. Sta di fatto che, come hanno raccontato Lamberti e vari altri testimoni, Siani aveva imboccato la pista della corruzione e dell’abbraccio velenoso tra camorra e politica. Negli anni successivi altre inchieste e altri processi proveranno la correttezza delle sue intuizioni. Il Comune di Torre Annunziata sarà sciolto per infiltrazioni mafiose e il sindaco condannato. Giancarlo aveva ragione ma non gli è stata concessa la possibilità di scriverlo. Aveva appena compiuto 26 anni. Ed era felice!

lunedì 22 settembre 2014

Memoria e responsabilità: il sacrificio di Rosario Livatino, "il giudice ragazzino"; il coraggio civile di Pietro Ivano Nava, testimone oculare dell'omicidio

 ROSARIO LIVATINO:)"ALLA FINE DELLA VITA , QUANDO MORIREMO, NESSUNO CI  VERRA' A CHIEDERE SE SIAMO STATI CREDENTI, MA CREDIBILI "
Rosario Livatino, "Il giudice ragazzino" secondo una definizione coniata da Francesco Cossiga,  fu ucciso, in un agguato mafioso, la mattina del 21 settembre '90 sul viadotto Gasena lungo la SS 640 Agrigento-Caltanissetta mentre - senza scorta e con la sua Ford Fiesta amaranto - si recava in Tribunale.
Come Sostituto Procuratore della Repubblica al Tribunale di Agrigento, Rosario Livatino si occupò di delicate indagini antimafia, di criminalità comune ma anche, nel 1985, di quella che poi negli anni '90 sarebbe scoppiata come la "Tangentopoli siciliana". Fu proprio Rosario Livatino, assieme ad altri colleghi, ad interrogare per primo un ministro dello Stato, Calogero Mannino accusato di legami con vari boss e di aver stipulato un accordo elettorale con un esponente agrigentino di Cosa nostra, Antonio Vella, nel biennio 1980-1981. Calogero Mannino verrà poi arrestato nel 1995 per concorso esterno in associazione mafiosa ma assolto in appello nel 2008, per mancanza di prove.
 Dal 21 agosto '89 al 21 settembre '90 Rosario Livatino prestò servizio presso il Tribunale di Agrigento quale giudice a latere e della speciale sezione misure di prevenzione. 

La vita e il lavoro di Rosario Livatino
Livatino era nato a Canicattì il 3 ottobre 1952 da padre avvocato e madre casalinga. Dopo il liceo classico si era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza di Palermo. A 22 anni era arrivata la laurea cum laude, poi il servizio come vicedirettore in prova all’Ufficio del Registro di Agrigento, per due anni tra il ‘77 e il ‘78. Infine l’ingresso in magistratura nel tribunale di Caltanissetta. Ad Agrigento era approdato nel ‘79, prima come sostituto procuratore e poi, dieci anni dopo, come giudice a latere o sostituto procuratore della Repubblica.
Nella sua carriera si è occupato di criminalità e ha indagato la presenza delle mafie e della corruzione nell’Agrigentino. È famoso il suo interrogatorio all’allora ministro Calogero Mannino, accusato di legami con vari boss e di aver stipulato un accordo elettorale con un esponente agrigentino di Cosa nostra, Antonio Vella, nel biennio 1980-1981. Per la cronaca, Mannino verrà poi arrestato nel 1995 per concorso esterno in associazione mafiosa ma assolto in appello nel 2008, per mancanza di prove.
Il “giudice ragazzino”, appellativo con cui Livatino è spesso ricordato, si deve al sociologo Nando dalla Chiesa che gli ha dedicato un libro. «A 28 anni, molto giovane, Livatino si era occupato Inchiesta sui Cavalieri del Lavoro di Catania – spiega l’autore –, un gruppo di quattro imprenditori potentissimi nell’edilizia e non solo, che allora sembravano costituire il potere economico più forte nel Sud. Quando ho sentito quello che Cossiga aveva detto di quei giovani giudici siciliani, cioè che "non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre un’indagine complessa", e ho ripensato a quello che Livatino aveva avuto il coraggio di fare, ho deciso di titolare così il libro. Ho pensato che giovani così sono necessari alla magistratura, e che il capo del Csm avrebbe dovuto difenderli anziché attaccarli».
La morte del “giudice ragazzino” fu attribuita a un conflitto di mafia: la Stidda l’avrebbe ucciso per punire un magistrato severo e «per lanciare un segnale di potenza militare verso Cosa nostra». Nel 2001 una sentenza della Cassazione condanna all’ergastolo i quattro sicari –  Paolo Amico, Domenico Pace, Giovanni Avarello e Gaetano Puzzangaro –, incastrati dalla testimonianza di un uomo che passava sulla strada il giorno dell’esecuzione, Pietro Nava.
Le vere cause della sua morte, per altri, sono invece da attribuirsi alle sue indagini sui legami tra mafia e politica. Di certo la politica non l’ha aiutato: «Non ci sono stati quegli interventi che mettono la giustizia in condizioni di lavorare», dirà Borsellino a proposito della sua morte.


Uno dei primi ad accorrere sulla scena del delitto fu Paolo Borsellino, che rimase molto colpito dall'uccisione del "giudice ragazzino". Così ricorderà quella uccisione: «Lo hanno braccato come un coniglio, povero Rosario, (...)».




Paolo Borsellino ricorderà in una cerimonia pubblica Rosario Livatino, il "Giudice Ragazzino" assassinato dalla mafia a soli 38 anni, il 21 settembre 1990 lungo la strada statale Caltanissetta - Agrigento. Un'occasione per muovere , in una rara intervista televisiva e per richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica , un durissimo attacco ai politici che avevano preso di mira i pm anti-mafia senza curarsi di risolvere i problemi ordinari e strutturali della giustizia in Sicilia."I giudici continueranno a lavorare e a sovraesporsi ed in alcuni casi a fare la fine di Rosario Livatino, come tanti altri. I politici appariranno ai funerali proclamando unità d'intenti per risolvere questo problema e dopo pochi mesi saremo sempre punto e a capo": aveva dichiarato Paolo Borsellino.
La vita, la morte e la memoria di Rosario Livatino sono l'occasione per sottolineare la responsabilità civile a cui noi cittadini siamo chiamati: solo grazie alla testimonianza Pietro Ivano Nava, il tranquillo rappresentante di commercio che assistette casualmente all'omicidio, è stato possibile rendere giustizia a Rosario Livatino, individuando l'esecutore e i mandanti dell'assassinio del "giudice ragazzino".  Tutti condannati all'ergastolo, in tre diversi processi e nei vari gradi di giudizio,  con pene ridotte per i "collaboranti".

La storia di Pietro Ivano Nava, il testimone dell'omicidio di Rosario Livatino.  

"COSI' PAGA CHI AIUTA LO STATO".


fonte La Repubblica 08 aprile 1992 

Di Giuseppe D’Avanzo
(…) Era un venerdì caldo e senza afa. Erano le nove del mattino. Pietro Ivano Nava, agente di commercio, era a bordo della sua Lancia Thema a quattro chilometri da Agrigento.
Vide sul lato della strada una Ford Fiesta rosso-amaranto con la portiera aperta sul lato destro. Accanto un ragazzotto con il volto coperto dal casco. Più in là, un altro uomo. Sta scavalcando il guard-rail. Ha il volto scoperto, stringe nella destra una pistola. Insegue Rosario Livatino. Il "giudice ragazzino" di Agrigento è stato già colpito ad una spalla. Sta tentando la fuga in un vallone di erba bruciata e sterpi. Il killer della mafia lo braccherà come una bestia. Lo colpirà da lontano e, una volta abbattuto, sparerà ancora - quattro volte - per finirlo. Pietro Ivano Nava dalla sua Lancia Thema fa in tempo a vedere bene l' assassino in faccia. Raggiunge Agrigento. Chiama la polizia. Dice: "Ho visto l' assassino. Se lo trovate, saprei riconoscerlo". E lo ha riconosciuto davvero Domenico Pace, l' assassino.
"Non mi sento un eroe, non mi sento una mosca bianca. Non sono né l' uno né l' altro. Sono un cittadino che crede nello Stato né più né meno come ci credeva Rosario Livatino. E lo Stato non è un' entità astratta. Lo Stato siamo noi. Siamo noi che facciamo lo Stato. Giorno per giorno. Con i nostri comportamenti, la nostra responsabilità, le nostre scelte. Con la nostra dignità. Che avrei dovuto fare? Chiudere gli occhi? Tirare innanzi per la mia strada? No, non sono stato educato a questo modo. Mi sono comportato come mi hanno educato. E non rinnego nulla. Se potessi tornare indietro, lo rifarei. Alzerei ancora quel telefono...". Pietro Ivano Nava è oggi un fantasmaHa lasciato la casa di Monte Marenzo, un paesino della Bergamasca dove ha vissuto per dieci anni. E' stato cancellato dai registri dell' anagrafe, dall' elenco telefonico, dal ricordo dei suoi familiari. Ha vissuto in un anonimo condominio della periferia romana, si è rifugiato su un' isola del golfo di Napoli e ancora in un paesino dell' Irpinia. E' emigrato in Olanda. 
Per sfuggire alla vendetta della mafia, vive ora in un' altro Paese europeo
Dice: "La mia vita è stata stravolta, sì. Ho 42 anni. Avevo degli amici che mi erano cari come fratelli. Non li vedo più, non ci si telefona nemmeno. Ho una famiglia. Posso vederla soltanto di tanto in tanto. Sempre all' improvviso, sempre in fretta. Ho una compagna e due bambini di nove e quattro anni. Trascorriamo del tempo insieme. Quando è possibile, se le condizioni di sicurezza lo permettono. 
Avevo un lavoro. Ero il rappresentante esclusivo per il Mezzogiorno delle porte blindate della ' Dierre' di Villanova d' Asti. Mi hanno licenziato che non era passato neanche un mese dal quel 21 settembre ancora prima di sapere che inferno sarebbe diventata la mia vita. Semplicemnte non volevano guai". La lentezza dello Stato "Avevo una società in nome collettivo in Campania, la ' Delli Cicchi-Nava' . E' stata sciolta due mesi dopo. Ero socio di un' altra società. Anche questa finita. Guadagnavo molto bene. Avevo davanti un futuro senza nubi. Ora vivo di quel che mi passa lo Stato. Non può essere questo il mio futuro. Allo Stato non chiedo nulla, chiedo che non abbandoni la mia famiglia. La mia famiglia, in questa storia, non deve entrarci. Non deve correre nessun pericolo. Mai. Né oggi né domani. Finora non ho nulla da recriminare. Chi mi sta accanto ha fatto il suo dovere. A volte con efficienza, a volte con un' esasperante lentezza burocratica. Io non sono un ' pentito' della mafia o della camorra. A volte ho la sensazione che, per la macchina dello Stato, non ci sia poi tanta differenza tra un ' pentito' e un testimone con un' immacolata fedina penale". ( N.d.r.: all'epoca dell'articolo era ancora da venire la Legge 41/2001 che introduce  la figura del "testimone di giustizia" nella giurisdizione italiana)
E il futuro? Pietro Ivano Nava tace per un un attimo. Poi, dice: "Io ho perso le piccole cose, gli affetti, le consuetudini, i luoghi cari che fanno, di un uomo, un uomo. Ora voglio essere soltanto dimenticato. Chiedo di poter ricostruire la mia normalità, la mia anonima vita normale lontano da scorte e bunker. E non voglio passare da un tribunale ad un altro per ripetere la stessa dichiarazione già letta, sottoscritta, registrata, filmata. Un cruccio? Sì, non potrò più tornare in Sicilia. Mi piacevano i siciliani. Gente geniale, operosa, allegra, viva. Vivono in un contesto terribile. Hanno solo bisogno di un po' di fiducia...".

giovedì 18 settembre 2014

Pensieri e Osservazioni alla Variante "Portici Blu"

Ancora una volta ci pare necessario ricordarlo: "Sentinelle del territorio, ci interessiamo dell'urbanistica del nostro territorio perchè  proprio l’urbanistica - intesa come la gestione del territorio e definizione dei gradi di tutela che a questo si riservano- può rappresentare un indicatore utile ad individuare gli scopi, gli indirizzi,  il “progetto generale” che guida e determina il carattere di una amministrazione locale". 
Pinerolo - area dei "Portici blu "  
Come abbiamo anticipato a inizio settimana, sono state presentate le Osservazioni alla deliberazione del Consiglio Comunale di Pinerolo n. 33 del 29 luglio 2014 ( qui il testo integrale), riguardante la "valorizzazione" ( che significa "vendita"!) dell'area dei cosiddetti " Portici blu" di Pinerolo.
Vogliamo ritornare sul tema invitando a riflettere su considerazioni  che vanno al di là delle pur necessarie questioni tecniche, giuridiche e legislative della materia urbanistica,  ma che muovono invece da quanto abbiamo imparato da due nostri concittadini: il sen. Elvio Fassone e il sostituto procuratore dott. Ciro Santoriello. 



Il sen. Elvio Fassone, già valente magistrato, in occasione un incontro-riflessione dello scorso dicembre 2013 con gli studenti del Liceo "M. Curie" di Pinerolo, ci ha ricordato come il cammino della democrazia altro non è stato se non il lungo, faticoso, drammatico, ancora in parte incompiuto, tentativo di cambiare il detentore del Potere: dal "re", dal potente di turno, al Popolo!
Non solo ma "regola prima" di uno stato democratico è che "jus" deve coincidere con "justium": quel che "è comandato" (la regola che si vuol far diventare "legge") deve tendere a coincidere -necessariamente - con ciò che è "giusto" per il bene della comunità

Nell'ambito di quegli incontri il sostituto procuratore della repubblica dott. Ciro Santoriello continuava la riflessione sul tema della "Legalità", tema e aspetto fondamentale per la storia e il futuro del nostro Paese, offrendoci una sintesi rappresentativa del ragionamento iniziato dal sen. Fassone: la Legalità, la Legge, da sola non bastaOccorre che le regole-leggi emanate siano ispirate a principi di Giustizia, perchè il Principio ha una "eccedenza deontologica" rispetto alla regola: "il Principio contiene doveri ( regole) morali assolute!  la Regola è un Sogno!...quando, e "se", si ispira ad un Principio.  

Elvio Fassone e Ciro Santoriello sottolinearono in quegli incontri il richiamo obbligatorio ai principi fondamentali della Costituzione Italiana: la "regola delle regole", la bilancia "ideale" su cui pesare il grado di Giustizia contenuto in una "regola" che  diviene "legge".  
E allora, quanti di quei Principi (Sogni!) contenuti nella Costituzione siamo riusciti a trasformare in realtà, nonostante la mole di leggi che quotidianamente vengono emanate ? Quanta Giustizia vi è in quello che diviene "Legalità"?
Dov'è il Sogno? Dov'è, qual'è, il Progetto offerto al nostro Paese, alle nostre comunità? 
Abbiamo reso concreto il "sogno-aspirazione" del Lavoro ( vero" onesto e dignitoso!) come fondamento della dignità degli individui e delle comunità? Abbiamo costruito una Legge uguale per tutti? Abbiamo  riconosciuto "il premio" ai più capaci e ai più meritevoli,? Abbiamo saputo difendere il Paesaggio?
Oggi sentiamo parlare di decreti che dovrebbero rilanciare l'economia del paese puntando sul "rilancio dell'edilizia", sulla "valorizzazione" dei beni comuni. Salvatore Settis, fra gli altri, sottolinea da tempo la  continuità di intenti inquietante che, sul tema, pare guidare "governi e governanti" degli ultimi decenni: "Questa cieca, suicida devastazione dello spazio in cui viviamo, la «progressiva trasformazione delle pianure e delle coste italiane in un'unica immensa periferia», non avverrebbe impunemente se vi fosse fra i cittadini «una chiara percezione del valore della risorsa e dell'irreversibilità del suo consumo».Salvatore Settis, Paesaggio Costituzione cemento
Sulla scorta dei  pensieri dai quali siamo partiti, pensieri "fuori luogo, invitiamo a riflettere su alcune questioni "politiche" poste nel documento Osservazioni e di cui anticipiamo la conclusione: "(...) Il territorio, le città e le risorse naturali che consentono la vita associata sono beni comuni non negoziabiliLe istituzioni pubbliche, attraverso le forme della partecipazione attiva della popolazione, ne sono i custodi e i garanti nel quadro delle specifiche competenze".  
Abbiamo imparato che è necessario provare a rispondere ad un quesito fondamentale: quanto di ciò che è reso "legale" è in realtà "giusto"?


Condiderazione iniziale
In un’economia di mercato gli edifici vengono costruiti per essere venduti! 
(...) ignorando totalmente i più elementari fondamenti della pianificazione urbanistica, la delibera sui “portici Blu” non fa certo riferimento a una “domanda abitativa da soddisfare” ma definisce -a priori- una ulteriore “offerta edilizia” rappresentata dai molti nuovi vani previsti. Nella realtà, a Pinerolo come altrove, non esiste affatto una richiesta di ulteriori costruzioni, stante la sovrapproduzione edilizia degli anni passati e il grande numero di alloggi vuoti posti in vendita o in affitto, spesso vanamente, dai proprietari. Non solo: a ulteriore conferma di quanto detto, numerose sono concessioni edilizie già approvate ma non ritirate dai proponenti. 
Soltanto un segmento della domanda di abitazione non trova soddisfazione, un segmento di mercato che la crisi che attraversiamo rende piuttosto consistente e in continua crescita: la richiesta di edilizia economico-popolare, abitazioni di costo contenuto o con affitti calmierati, categoria di abitazioni che tuttavia non sembra rientrare nelle intenzioni dell’Amministrazione a riguardo dell’area in questione.
Anche il procedimento seguito per arrivare a quantificare il presunto valore dell’area dei cosiddetti “Portici Blu” è del tutto inverso a quanto avviene nell’ordinaria gestione del territorio. (...) capovolgendo il procedimento, si fissano “a priori” le caratteristiche degli edifici dai quali “poi” scaturirà la tabella. Il motivo di questo strano modo di operare è del tutto evidente: si vuole arrivare a una cifra notevole da porre in Bilancio e, in conseguenza di quella, sono ipotizzate le caratteristiche dei “nuovi grattacieli”. Scriviamo “grattacieli” -sia pure commisurati “al metro pinerolese”- perché solo con edifici di elevata altezza si può raggiungere la prefissata rendita fondiaria. Un “modus operandi” capace di suscitare l’invidia di qualsiasi immobiliarista! …
La scelta (per altro obbligata dall’elevato costo di ciascun vano) di destinare una consistente parte degli edifici a uffici e servizi sembra poi andare in direzione contraria a quella consolidatasi negli ultimi anni: l’attuale tendenza, assai evidente in Pinerolo, è infatti quella di trasferire servizi e uffici in periferia, laddove minori sono i costi di gestione e più facile risulta anche trovare-offrire parcheggio agli utenti-clienti.
Da quanto sopra esposto, appare improbabile il coinvolgimento di uno o più operatori capaci di impegnare nell’impresa le risorse economiche necessarie. La crisi di liquidità di cui soffre il mercato (almeno per quel che riguarda il denaro “pulito”) è tale da scoraggiare qualsiasi imprenditore capace di valutare il rapporto costi-benefici: benefici incerti, costi sicuramente assai elevati e aleatori, almeno in parte, anche in virtù delle diverse problematicità che l’area presenta. Allora perché affrontare gli oneri di una variante ( oneri rilevanti a carico della comunità anche a causa dell’affidamento del progetto ad un professionista esterno) se questa difficilmente potrà trovare attuazione?
Perchè compromettere per sempre il carattere di "bene comune" di una piazza (rendendola edificabile) pur sapendo che il progetto ipotizzato difficilmente verrà attuato?
Infine, ci preme una considerazione di carattere “macroeconomico”. Le cosiddette “politiche della casa” prevalenti (da sempre) in Italia, hanno prodotto in verità effetti deleteri. Esaurito il loro ruolo storico nella fase di ricostruzione del dopo-guerra e nella loro funzione anticiclica durante il “miracolo economico”, hanno finito con l’ingenerare processi di sovrapproduzione del patrimonio edilizio. Si è costruito tanto, troppo rispetto ai bisogni reali. Bisogni che spesso sono stati quantificati neppure correttamente: si vedano, ad esempio, le previsioni del tutto errate del Piano Regolatore della Città di Pinerolo. Rendita fondiaria, tassi di profitti altissimi per i costruttori e rimunerazione di un capitale finanziario che difficilmente trovava altre forme d’impiego, per molti anni l’hanno fatta da padroni senza che le Istituzioni riuscissero a frenare “la colata di cemento” che si è conseguentemente abbattuta sul nostro Paese. Ma le istituzioni hanno mai voluto frenare quella colata di cemento, causa di tanti dissesti idrogeologici e della devastazione di tanta parte del territorio italiano? La domanda è  evidentemente retorica.
Gli effetti di quella politica sono stati anche altri. Alla devastazione del territorio si è aggiunto un massiccio trasferimento di risorse: dal reddito “da lavoro” e dal “risparmio” delle famiglie verso la rendita speculativa. Spinti all’acquisto della casa, all’investimento nel “mattone”, in molti –e soprattutto i proprietari delle abitazioni di minor pregio- oggi si ritrovano con un bene-casa il cui valore è assai inferiore di quanto era stato pagato (o che continua a essere pagato tramite i ratei dei mutui). (...) Promuovere nuove costruzioni, tutt’altro che necessarie in un mercato stagnante e con una offerta nettamente prevalente sulla domanda, a nostro parere significa perpetuare una politica irresponsabile e che, proprio alla luce di quanto esposto, appare cinica e affatto rispondente ai bisogni delle fasce più deboli della comunità, coloro che -più degli altri- avrebbero invece necessità di una politica accorta e lungimirante.

 Infine, un estratto della parte  conclusiva del documento Osservazioni:
Conclusioni
"(...) La variante dei «Portici blu» non risponde in alcun modo al problema che si è evidenziato, l’emergenza abitativa, e che riguarda sostanzialmente il diritto dei cittadini ad avere condizioni di vita dignitose e la conseguente possibilità  di accedere al bene-casa.
"(...) La “trasformazione” della piazzetta dei Portici Blu in edifici residenziali e commerciali contraddice il diritto ai servizi collettivi sempre affermato come centrale nella politica amministrativa della città. I cittadini verrebbero infatti (de)privati di uno di quei beni comuni che costituiscono elementi di qualità della vita associata. 
" (...) Il territorio, le città e le risorse naturali che consentono la vita associata sono beni comuni non negoziabili. Le istituzioni pubbliche, attraverso le forme della partecipazione attiva della popolazione, ne sono i custodi e i garanti nel quadro delle specifiche competenze".  

Osservazioni alla deliberazione di Consiglio comunale di Pinerolo n. 33 del 29 luglio 2014


Osservazioni alla deliberazione di Consiglio comunale di Pinerolo n. 33 del 29 luglio 2014: «Variante urbanistica ai sensi dell’art. 16bis della l.r. 56/77. Adozione documento di verifica di assoggettabilità allaVAS»


Al sindaco di Pinerolo
Al Presidente del Consiglio Comunale di Pinerolo
Al Responsabile del procedimento

tramite posta elettronica certificata all’indirizzo

i sottoscritti

 - Bertolotti Paolo, nato a Pinerolo il 7 dicembre 1957 e residente in Garzigliana via San Martino, 10, codice fiscale BRTPLA57T07G674I, tel. 3356752257,

- Garnero Enzo, nato a San Secondo di Pinerolo il 27 settembre 1955, e  residente in Pinerolo via Buniva 54, codice fiscale GRNNZE55P27I154Y, tel. 3282168009,

in qualità di componenti del gruppo «Osservatorio 0121», aderente al Forum nazionale «Salviamo il paesaggio – Difendiamo i territori»,

premesso che:
-       -  la deliberazione del Consiglio Comunale di Pinerolo n. 33 del 29 luglio 2014 richiama in premessa la delibera n. 36 del 2-3 luglio 2013 riguardante, per quanto riguarda l’area Portici Blu, l’adozione di variante urbanistica ai sensi dell'art. 16bis della l.r. 56/77
-        -  la conferenza dei servizi convocata il 29 agosto 2013 non è mai stata conclusa e che quindi la delibera n. 36 de 2-3 luglio 2013 deve ritenersi decaduta per quanto riguarda la variante Portici Blu
-         la relazione tecnica del giugno 2013 allegata alla sopracitata delibera è stata adottata nella presente delibera e quindi le osservazioni riguardano anche questo documento
-       -  con avviso del Dirigente del Settore urbanistico del Comune di Pinerolo del 08/08/2014 viene comunicato che gli elaborati approvati con la deliberazione consiliare n. 33 del 29 luglio 2014 sono pubblicati sul sito istituzionale della città di Pinerolo per quindici giorni fino al 02 settembre
-         nel medesimo avviso è fissato un periodo di quindici giorni (dal 03 al 17 settembre)  affinché chiunque possa presentare osservazioni alla variante urbanistica deliberata dal Consiglio comunale
-        -  la deliberazione in oggetto riguarda Il "Piano delle Alienazioni e Valorizzazioni" che dovrebbe essere allegato al bilancio di previsione 2014 (tuttora non ancora pubblicato nell’Albo Pretorio) ed ha l'obiettivo di garantire il riordino, la gestione e valorizzazione del patrimonio del Comune. Esso individua i beni immobili non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali del Comune, e pertanto suscettibili di essere valorizzati o alienati, tra questi l’area di terreno cosiddetta dei «Portici » via Buniva angolo via Chiappero, che è oggetto delle presenti osservazioni alla variante urbanistica relativa

Tutto ciò premesso si osserva:

1 – Condiderazione iniziale
In un’economia di mercato gli edifici vengono costruiti per essere venduti!
Nel caso in esame, l’intervento previsto nell’area dei “Portici Blu”, è necessario riflettere sulla possibilità di dare compimento a  questa asserzione preliminare (quasi banale). Risulta infatti difficile analizzare la coerenza e le  conseguenze economiche dell’intervento edilizio proposto dall’Amministrazione pinerolese, a causa di contraddizioni che paiono palesi e che vogliamo evidenziare.
Anzitutto, ignorando totalmente i più elementari fondamenti della pianificazione urbanistica, la delibera sui “portici Blu” non fa certo riferimento a una “domanda abitativa da soddisfare” ma definisce -a priori- una ulteriore “offerta edilizia” rappresentata dai molti nuovi vani previsti. Nella realtà, a Pinerolo come altrove, non esiste affatto una richiesta di ulteriori costruzioni, stante la sovrapproduzione edilizia degli anni passati e il grande numero di alloggi vuoti posti in vendita o in affitto, spesso vanamente, dai proprietari. Non solo: a ulteriore conferma di quanto detto, numerose sono concessioni edilizie già approvate ma non ritirate dai proponenti. Soltanto un segmento della domanda di abitazione non trova soddisfazione, un segmento di mercato che la crisi che attraversiamo rende piuttosto consistente e in continua crescita: la richiesta di edilizia economico-popolare, abitazioni di costo contenuto o con affitti calmierati, categoria di abitazioni che tuttavia non sembra rientrare nelle intenzioni dell’Amministrazione a riguardo dell’area in questione.
Anche il procedimento seguito per arrivare a quantificare il presunto valore dell’area dei cosiddetti “Portici Blu” è del tutto inverso a quanto avviene nell’ordinaria gestione del territorio. Nel nostro caso,  per dedurre quanto sia possibile edificare non si parte da una tabella del PRGC (che ovviamente, in questo caso, neppure esiste) ma, capovolgendo il procedimento, si fissano “a priori” le caratteristiche degli edifici dai quali “poi” scaturirà la tabella. Il motivo di questo strano modo di operare è del tutto evidente: si vuole arrivare a una cifra notevole da porre in Bilancio e, in conseguenza di quella, sono ipotizzate le caratteristiche dei “nuovi grattacieli”. Scriviamo “grattacieli” -sia pure commisurati “al metro pinerolese”- perché solo con edifici di elevata altezza si può raggiungere la prefissata rendita fondiaria. Un “modus operandi” capace di suscitare l’invidia di qualsiasi immobiliarista! …
La scelta (per altro obbligata dall’elevato costo di ciascun vano) di destinare una consistente parte degli edifici a uffici e servizi sembra poi andare in direzione contraria a quella consolidatasi negli ultimi anni: l’attuale tendenza, assai evidente in Pinerolo, è infatti quella di trasferire servizi e uffici in periferia, laddove minori sono i costi di gestione e più facile risulta anche trovare-offrire parcheggio agli utenti-clienti.
Da quanto sopra esposto, appare improbabile il coinvolgimento di uno o più operatori capaci di impegnare nell’impresa le risorse economiche necessarie. La crisi di liquidità di cui soffre il mercato (almeno per quel che riguarda il denaro “pulito”) è tale da scoraggiare qualsiasi imprenditore capace di valutare il rapporto costi-benefici: benefici incerti, costi sicuramente assai elevati e aleatori, almeno in parte, anche in virtù delle diverse problematicità che l’area presenta. Allora perché affrontare gli oneri di una variante ( oneri rilevanti a carico della comunità anche a causa dell’affidamento del progetto ad un professionista esterno) se questa difficilmente potrà trovare attuazione?
Perchè compromettere per sempre il carattere di bene comune di una piazza (rendendola edificabile) pur sapendo che il progetto ipotizzato difficilmente verrà attuato?
Infine, ci preme una considerazione di carattere “macroeconomico”. Le cosiddette “politiche della casa” prevalenti (da sempre) in Italia, hanno prodotto in verità effetti deleteri. Esaurito il loro ruolo storico nella fase di ricostruzione del dopo-guerra e nella loro funzione anticiclica durante il “miracolo economico”, hanno finito con l’ingenerare processi di sovrapproduzione del patrimonio edilizio. Si è costruito tanto, troppo rispetto ai bisogni reali. Bisogni che spesso sono stati quantificati neppure correttamente: si vedano, ad esempio, le previsioni del tutto errate del Piano Regolatore della Città di Pinerolo. Rendita fondiaria, tassi di profitti altissimi per i costruttori e rimunerazione di un capitale finanziario che difficilmente trovava altre forme d’impiego, per molti anni l’hanno fatta da padroni senza che le Istituzioni riuscissero a frenare “la colata di cemento” che si è conseguentemente abbattuta sul nostro Paese. Ma le istituzioni hanno mai voluto frenare quella colata di cemento, causa di tanti dissesti idrogeologici e della devastazione di tanta parte del territorio italiano? La domanda è  evidentemente retorica.
Gli effetti di quella politica sono stati anche altri. Alla devastazione del territorio si è aggiunto un massiccio trasferimento di risorse: dal reddito “da lavoro” e dal “risparmio” delle famiglie verso la rendita speculativa. Spinti all’acquisto della casa, all’investimento nel “mattone”, in molti –e soprattutto i proprietari delle abitazioni di minor pregio- oggi si ritrovano con un bene-casa il cui valore è assai inferiore di quanto era stato pagato (o che continua a essere pagato tramite i ratei dei mutui). Un deprezzamento del patrimonio edilizio che, lo ripetiamo, riguarda  soprattutto quella parte di cui sono proprietari i ceti popolari e “medi”, i più colpiti dalla crisi in atto.
Promuovere nuove costruzioni, tutt’altro che necessarie in un mercato stagnante e con una offerta nettamente prevalente sulla domanda, a nostro parere significa perpetuare una politica irresponsabile e che, proprio alla luce di quanto esposto, appare cinica e affatto rispondente ai bisogni delle fasce più deboli della comunità, coloro che -più degli altri- avrebbero invece necessità di una politica accorta e lungimirante.

2 – errata interpretazione legislativa.
- La variante relativa i «Portici blu» si basa sul presupposto della applicabilità alla zona A5.1 «Portici nuovi» del Piano regolatore di Pinerolo della normativa della legge regionale 56/1977, articolo 16 bis, così come modificata dalla L.r. 3/2013. Come è noto le zone di tipo «A» dei piani regolatori costituiscono la zona territoriale omogenea del  «centro storico» (art. 2 del decreto interministeriale. 1444/168)  cioè quella parte del territorio comunale interessate da edifici e tessuto edilizio di interesse storico, architettonico o monumentale.
- La normativa dell’art 16 bis escludeva l’applicabilità della procedura ai VAS (Valutazione Ambientale Strategica) per le varianti derivanti dal piano di alienazione e valorizzazione nei casi di «limitate dimensioni» della variante stessa. Non  è questo il caso in quanto la variante relativa prevede la costruzione di due edifici alti rispettivamente di 37,50 mt (10 piani+2 (pt e ammezzato) f.t) e 26, 50 (6 piani+2 (pt e ammezzato)  f.t.) di grande impatto paesaggistico e ambientale (come scritto, al paragrafo 2, nella “Verifica di assoggettabilità alla VAS dell’area Portici blu”.  L’arch. Guido Geuna definisce la variante “capace di lasciare un segno forte sul paesaggio cittadino.
Recentemente la Corte Costituzionale con la sentenza n. 197 dell’11 luglio 2014, ha cassato le disposizioni regionali del Piemonte (artt. 33-34 della legge regionale n. 3/2013) che prevedevano una generale esclusione dagli obblighi di sottoposizione alla procedura di valutazione ambientale strategica (V.A.S.) delle varianti agli strumenti urbanistici (P.R.G.) quando minime e relative ad aree di piccole dimensioni. Questi articoli sono proprio quelli che modificano l’art.16bis della L.R. 56/77 a cui si era fatto riferimento per evitare il procedimento VAS. 
- L’area dei «Portici blu» è utilizzata da alcuni lustri, in varie ore del giorno a fini sociali ( punto di incontro di giovani) ed è stata destinata con delibera del Comune ad area mercatale (mercato dei prodotti biologici) ed ospita manifestazioni di animazione culturali del quartiere.
- Non concordiamo, e a nostro parere non è corretto dal punto di vista normativo,  quanto dichiarato nella relazione  quando si afferma che la zonizzazione e le tutela previste per gli interventi indicati dall’art. 24 della L.R. 56/1977 « si limitano ad alcuni edifici e/o particolari scorci ed ambienti; l’area oggetto di variante urbanistica, non essendo compresa tra queste, non risulta soggetta ad alcun vincolo e quindi la sua trasformazione non incide in alcun modo sulle tutele esercitate dal citato articolo 24». Infatti il PRG approvato nel 1998  ha incluso nell’area A5.1(soggetta all’art. 24 della L.R. 56/1977 vedi NTA-PRG) l’area cosiddetta del «grattacielo»,  con annessa «piazzetta», priva di indici edificatori e circondata dai  «Portici blu» disegnati dal prof, Delio Fois. Tutto ciò è indice di una volontà di salvaguardia del luogo, luogo che pertanto gode delle tutele generali del «centro storico».
- Neppure condivisibile è l’argomento contenuto nella Relazione secondo cui « il mancato utilizzo dell’area potrebbe, comunque, indurre la trasformazione di altre aree di elevato pregio agricolo od ambientale». Il PRG di Pinerolo dispone in realtà ancora di molte altre aree disponibili per interventi edilizi di carattere residenziale e commerciale. A queste, si aggiungerebbe l’area dei Portici Blu trasformata in area edificabile non prevista nel PRGC.
Pertanto, qualora si volesse procedere alla modifica della destinazione d’uso della zona  questa dovrà essere effettuata con le procedure dei piani esecutivi e la variante dovrà essere in ogni  caso sottoposta alle procedure relative alla VAS.

3 -  carenza di documentazione
La documentazione pubblicata sul sito istituzionale del Comune è carente per quanto riguarda:
- manca agli atti la perizia estimativa del valore dell’area, comprensiva della dichiarazione dell’esistenza di eventuali servitù fondiarie. E’ noto che l’area è stata oggetto di un contenzioso tra l’Amministrazione comunale, l’impresa costruttrice e a proprietà del «grattacielo» conclusasi con un atto transattivo che ha trasferito la proprietà al Comune. Nel sottosuolo dell’area, stando a quanto dichiarano i residenti sono presenti strutture (vasche) di servizio per il «grattacielo»
manca agli atti la/e delibera/e di acquisizione dell’area «Portici blu» da parte del Comune con il  relativo progetto di sistemazione dell’area e di realizzazione dei Portici
- manca lo studio di conformità alla normativa antincendio degli edifici di possibile edificazione. ed in particolare per ciò che riguarda gli accessi delle autoscale dei VVF dell’intera area A5.1  (grattacielo in particolare) e l’allacciamento alla rete idrica dell’impianto antincendio.
Riteniamo che la conoscenza di questa documentazione sia indispensabile per una valutazione della variante.

4 - osservazioni
La relazione illustrativa afferma che «la variante urbanistica (Portici blu) ha lo scopo di valorizzare l’area, dotandola di una capacità edificatoria a destinazione residenziale ed altre destinazioni compatibili con la residenza, e di attuare una riqualificazione urbanistica ed edilizia di un terreno che costituisce un “vuoto urbano” generato da un intervento “incompiuto poiché l’ampliamento richiesto ed autorizzato del “grattacielo” non è mai stato realizzato».
In realtà il mancato complemento del grattacielo secondo il progetto dell’arch. Casassa, fu dovuto all’opposizione popolare e politica al progetto fin dagli anni 50 del 1900. Dalle cronache dell’epoca si appende che ci fu addirittura una raccolta di firme per contrastare l’opera. Ne sorse un contenzioso concluso con la revoca della licenza edilizia, l’acquisizione dell’area al patrimonio del Comune  e la realizzazione -a metà degli anni ‘80- di un minimo arredo urbano e dei cosiddetti «Portici blu».
Con questa configurazione l’area è stata utilizzata come spazio pubblico dagli abitanti/frequentatori della zona ed è sede, da circa 15 anni, del mercatino biologico che si tiene il primo ed il terzo sabato di ogni mese.
Come abbiamo già detto, secondo la relazione tale area oggi sarebbe un «vuoto urbano», da colmare con altre edificazioni per il completamento del costruito.
Ci permettiamo di non condividere questa considerazione.  Infatti, «vuoti urbani» sono le piazze, i parchi, le strade, gli interstizi non edificati o qualunque altro spazio aperto indipendentemente dalla loro scala.  Ciò che li identifica è la ricchezza di valori che possiedono, in modo più o meno marcato: valori simbolici, di attività o funzioni. Il cosiddetto “vuoto” deve allora essere pensato, percepito e rispettato come uno spazio pubblico multifunzionale: luogo di vita, nel quale ciascun individuo ha la possibilità di trascorrere il proprio tempo “personale”; spazio aggregativo che stimoli la crescita della vita sociale collettiva. Una città intelligente (smart) non ha orrore dei vuoti, ma li «valorizza» a livello culturale e sociale; non li utilizza per creare «moneta urbanistica» che depaupera il patrimonio della collettività, il bene comune.
Inoltre la relazione illustrativa afferma che la «variante si configura come una “ristrutturazione urbanistica” di un’area di “recupero urbano” all’interno della zona normativa A5.1, mediante un intervento edilizio di completamento del tessuto costruito: l’area in oggetto è stata perimetrata come sub-area della zona A5.1 ed identificata con la lettera A (...) trasformandola e dotandola di una capacità edificatoria adeguata e sufficiente per promuovere e realizzare un intervento capace di riqualificare la zona». Nella Relazione sull’assoggettabilità alla VAS, il professionista incaricato, arch. Guido Geuna, precisa che l’operazione permetterebbe una «buona operatività edilizia». Tuttavia  l’operatività edilizia a cui il professionista fa riferimento deriva da una capacità edificatoria in realtà non esistente e non prevista da alcuna normativa in un’area di tipo A.
In altre parole, la variante in oggetto diventa una modalità per realizzare un nuovo tipo di rendita: la «rendita parassitaria di procedura».

5.1- Osservazioni puntuali alla relazione illustrativa

Vista l’importanza degli argomenti si specificano alcune osservazioni puntuali alla “Relazione illustrativa - Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari: variante urbanistica ai sensi dell'art. 16bis della L.R. 05 dicembre 1977 n.56” e i rispettivi riferimenti normativi:

Osservazione 1
Nella “Relazione illustrativa al - Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari: variante urbanistica ai sensi dell'art. 16bis della L.R. 05 dicembre 1977 n.56” viene eseguita una verifica sugli standard dei servizi come richiesto dalla normativa urbanistica.  Si fa presente che nei vari calcoli non è stata conteggiata la variante della PMT (ex Beloit) approvata dal consiglio comunale lo scorso anno.
Per ottemperare alla legislazione, si richiede che vengano descritte le aree a servizi al fine di evitare gli artifici (anche questi meramente contabili) volti a far quadrare il bilancio degli standard, attraverso il computo di aree del tutto virtuali o inutilizzabili.

Osservazione 2
Dalla relazione illustrativa si apprende che “la variante urbanistica (Portici blu) ha lo scopo di valorizzare l’area, dotandola di una capacità edificatoria a destinazione residenziale ed altre destinazioni compatibili con la residenza, e di attuare una riqualificazione urbanistica ed edilizia di un terreno che costituisce un “vuoto urbano” generato da un intervento incompiuto poiché l’ampliamento richiesto ed autorizzato del “grattacielo” non è mai stato realizzato”.
Riteniamo non corretto richiamare la vicenda del mancato ampliamento del grattacielo come “un incompiuto”. Come tutte le città Pinerolo ha una sua storia di urbanizzazione in particolare questo luogo è rimasto per anni un luogo degradato, ma nella metà degli anni 80 l’amministrazione comunale lo ha valorizzato come luogo acquisendolo nel patrimonio e trasformandolo in piazza completa di aiuole ed arredo urbano con porticato coperto  in continuazione dei Portici presenti. 
La licenza edilizia del 24 novembre 53 che  autorizzava l’ampliamento del “grattacielo” è sicuramente venuta a cadere sotto tutti gli aspetti (procedurale, economico, urbanistico, paesaggistico) con la costruzione della piazzetta e della struttura denominata  “Portici blu”.

Osservazione 3
Nella relazione viene scritto: “L’area pur essendo di proprietà pubblica, non è vincolata con destinazione a spazio pubblico dal vigente PRGC; è utilizzata come “piazzetta” con una frequentazione non significativa da parte della cittadinanza, è “arredata” da aiuole sopraelevate e pavimentata con massetti in calcestruzzo autobloccanti e contornata sui due lati lungo via dal porticato già descritto.”
Probabilmente il PRGC non ha assegnato all’area la destinazione d’uso quale Piazza ma il porticato e le aiuole sono presenti da un trentennio e compaiono nelle tavole grafiche del PRGC. L’amministrazione pubblica che le ha realizzate ha certamente voluto destinare quell’area a piazza (spazio libero, limitato in tutto o in parte da costruzioni, all’incrocio di più strade o lungo il tracciato di una via importante) o piazzetta (piccola piazza).  Affermare che la piazza in questione ha una frequentazione poco significativa non corrisponde a verità: non sono infatti  presenti dati sulla frequentazione della piazza che possano portare a tale conclusione.  Gli scriventi possono tranquillamente affermare il contrario senza timore di essere smentiti.  Ad esempio, a cadenza quindicinale, sotto ai Portici Blu  si tiene un mercatino di prodotti biologici.  Si fa presente inoltre che anche piazzetta Verdi non ha una destinazione precisa nel piano regolatore (almeno sulle mappe cartografiche del PRGC) ma non crediamo che per questo “dettaglio” e/o “dimenticanza” cartografica piazzetta Verdi sia considerata non vincolata a spazio pubblico.

Osservazione n.4
Nella  relazione illustrativa si spiega che “La variante si propone, pertanto, di individuare un’area  di recupero urbano all’interno dell’area  contrassegnata con la sigla A5.1 esistente, trasformandola e dotandola di una capacità edificatoria adeguata e sufficiente per promuovere e realizzare un intervento capace di riqualificare la zona”.
Nella stessa relazione si scrive poi  che “la variante si configura come di “ristrutturazione urbanistica” di un’area di “recupero urbano” all’interno della zona normativa A5.1, mediante un intervento edilizio di completamento del tessuto costruito: l’area in oggetto è stata perimetrata come sub-area della zona A5.1 ed identificata con la lettera “a”.
Anzitutto si fa presente che l’intervento in esame opera una  “trasformazione”  piuttosto marcata. Con la variante proposta dall’Amministrazione, e nel caso in cui questa  venga approvata nonostante le osservazioni contrarie, si concede capacità edificatoria ad un’area che secondo il PRGC e la legislazione regionale - L.R. 56/77- non possiede assolutamente capacità edificatoria. In questo modo si  densifica in modo abnorme il tessuto urbanistico del centro della città aggravandone le condizioni di traffico e vivibilità, aggravando l’impatto di quell’edificio – il cosiddetto “grattacielo”- da molti ritenuto l’oggetto “osceno” del tessuto urbano pinerolese. A nostro parere, una variante urbanistica che voglia intervenire su una parte così critica della città può essere solo, dal punto di vista normativo, di tipo “strutturale”.
.La sub-area “a”, pensata per realizzare “la “valorizzazione dei Portici blu”,  rimane subordinata e interna alla zona A 5.1; zona A5.1 che nelle norme di attuazione del PRG (art.36  comma 2 e art.37 punto C -  NTA - Piano regolatore generale variante di adeguamento al PAI – luglio 2012) e in una tavola da disegno  allegata  viene individuata come “Centro storico commerciale - Portici Nuovi”  da intendersi come ambito prescritto dal PRGC ai sensi dell'art. 24 della LR. n. 56/77 (vedasi tavola PRGC).
Ai sensi della Legge Regionale 56/77 (modificata dalla legge 3/2013),  art. 13 c.5, la “ristrutturazione urbanistica”  non è ammessa nelle zone di tipo A (anche classificate secondo 1444/68 vedasi art 27 comma 5 LR 3/2013 – 13 comma 5 LR 56/77) come lo è la zona dei “Portici blu”  che una tavola del PRGC  individua come zona “centro storico commerciale” da intendersi come «ambito prescritto dal PRGC ai sensi dell'art. 24 della LR. n. 56/77».
Si fa notare inoltre che invocare il “recupero urbano”  per questa area non è corretto in quanto l’area non è affatto degradata. Infatti, per eseguire un recupero l’area dovrebbe essere considerata degradata e, come richiesto dalla legislazione, dovrebbe pertanto essere redatta una analisi (relazione) dello stato di consistenza e di degrado degli immobili e delle opere di urbanizzazione (vedasi tra l’altro art. 41bis-LR 3/13 art 54); relazione che non risulta agli atti. 
Realizzare un completamento del tessuto urbano significa realizzare “nuove opere su porzioni di territorio già parzialmente edificate” (art.13 comma 3 lettera f  L.R. 3/13 art.27), completare quindi aree già edificate (ad. es. completare un edificio esistente) ma non aree inedificate come è di fatto la piazza dei “Portici blu”. Riteniamo quindi che anche il completamento di questa area non è realizzabile e compatibile con la legislazione vigente.
Si tenga poi presente che la normativa regionale per gli interventi ammessi nelle zone A richiede (art. 13 comma 5 L.R. 3/13 art 27) la conformità degli stessi all’art. 24 L.R. 3/13 art.41 (cit. “sono ammessi gli interventi di cui alle lettere a),b),c),d),f) del 3° comma, con le precisazioni contenute nel successivo articolo 24”).  Ricadendo l’area “piazzetta” Portici Blu all’interno dell’art. 24 della LR 56/77 non è possibile sulla stessa area alcuna edificazione e certamente non l’edificazione prevista dalla scheda di variante al P.R.G.C. per la zona Sub area “a”. (vedasi  commi 3-4 art. 24 – L.R. 3/13 art.41).
Ci preme sottolineare che la Variante in oggetto, se approvata, rischia di costituire un “precedente normativo-procedurale” pericoloso in quanto potrebbe costituire “riferimento" per future analoghe iniziative proposte da soggetti privati.
La “Variante” svela quindi apertamente l’inganno lessicale che si attua, giacchè il termine “valorizzazione” non significa affatto rendere più apprezzabile il “bene comune” alla cui tutela gli amministratori sono chiamati. “Valorizzazione” (che qui significa “Vendita”!) è un termine che viene utilizzato nella sua accezione meramente economica-speculativa e corrisponde –banalmente!- all’incremento di valore conseguente al riconoscimento di diritti edificatori ad aree pubbliche che ne erano prive: la «rendita parassitaria di procedura» di cui parlavamo prima.

Osservazione 5
Nella relazione viene scritto: “fissa la dotazione dei parcheggi pertinenziali nelle misure minime di legge.” Richiediamo che, sin dal progetto di pre-fattibilità o preliminare, venga valutata la possibilità di adempiere a questa prescrizione sulla quale l’amministrazione non può, non deve, fare sconti (almeno per quanto riguarda i parcheggi privati). La carenza di parcheggi nella zona, carenza ormai cronica, di certo sarebbe aggravata dalla costruzione stessa per la mancanza di parcheggi privati all’interno del nuovo, ipotizzato, edificio.

 Osservazione 6
Nella relazione illustrativa viene scritto: «le distanze tra edifici ammettendo la possibilità di edificare in aderenza anche in riferimento all’art. n.7 delle norme di attuazione delle N.T.A..”»
Per l’eventuale edificio previsto in variante, essendo in Area di tipo A, la NTA del P.R.G.C. vigente non ammette la costruzione in aderenza. Infatti al punto 8 l’art. 7 afferma: “È ammessa, nelle zone di tipo B, C, D, NF, E ed EM (sempre salvo diversa prescrizione delle tabelle di area) la costruzione in aderenza al confine di proprietà, se preesiste una costruzione a confine senza finestre o con sole luci purché rientri in uno dei seguenti casi: 1) il nuovo edificio non superi l’altezza massima di m. 6,00 dal piano di campagna confinante 2) il nuovo edificio rientri nei limiti della sagoma dell'edificio esistente a confine 3) il nuovo edificio sia in continuità del fabbricato con fronte cieco in corrispondenza di un filo di fabbricazione su strada consolidato o prescritto 4) vi sia presentazione di progetto unitario per i fabbricati da realizzare in aderenza con vincolo a soluzioni progettuali che valorizzino l'unitarietà con l'edificio preesistente (allineamento piani, ritmo aperture, etc.).”
Le questioni relative alle distanze dai confini e tra fabbricati continuano a dare vita in vari ambiti ad un notevole contenzioso giurisdizionale. Facile prevedere che le discutibili prescrizioni contenute nella Scheda di Variante per la nuova zona “A” saranno oggetto  di possibili ricorsi da parte dei proprietari/inquilini del “grattacielo” e del palazzo “Juvenal”, a cui viene sicuramente modificato il paesaggio e la visuale cittadina.

 5.2 Osservazioni puntuali alla verifica di assoggettabilità alla VAS
Osservazione n.1
Nei riferimenti normativi del par. 1 deve essere inserita la sentenza della Corte Costituzionale n. 197 dell’11 luglio 2014 la quale ha cassato le disposizioni regionali del Piemonte (artt. 33-34 della legge regionale n. 3/2013) che prevedevano una generale esclusione dagli obblighi di sottoposizione alla procedura di valutazione ambientale strategica (V.A.S.) delle varianti agli strumenti urbanistici (P.R.G.) quando minime e relative ad aree di piccole dimensioni. Così come è costituzionalmente illegittima l’esclusione del Ministero per i Beni e Attività Culturali dai processi di verifica e conformazione delle suddette varianti “minime” ai sovra-ordinati strumenti di pianificazione paesaggistica e territoriale.
Osservazione n.2
Nel par. 2.2 “descrizione e simulazione dell’intervento edilizio” manca completamente la dimensione urbanistica della valutazione, non emergono effetti e impatti urbanistici.
Mancano dati quantitativi e qualitativi importanti:
1.     mancano gli abitanti insediati, le destinazioni d’uso, con particolare attenzione a quella commerciale e a quelle che solitamente creano impatti locali (visitatori, utenti, auto)
2.     mancano valutazioni e stime sullo stato attuale in riferimento alla dotazione di servizi (parcheggi in particolare) e sulle esigenze aggiuntive (nelle schede urbanistiche di variante si deve prevedere la monetizzazione, stante l’impossibilità di adempiere localmente alla richiesta aggiuntiva di parcheggi).
La simulazione (rendering) dell’intervento lascia molto a desiderare e appare oggettivamente “poco realistica”. Infatti, vengono inseriti nel paesaggio -come “funghi” in un prato- solo i fabbricati  che interessano al progettista a sostegno della tesi di riempimento del “vuoto urbano”. Le simulazioni dell’intervento edilizio sono proposte a volte “a volo d’uccello”, altre volte sono “viste ” dal piano stradale, a seconda della convenienza. La documentazione non consente pertanto di verificare oggettivamente neppure quale sia la riduzione di visuale dovuta alla costruzione del nuovo palazzo.
Osservazione n.3
Sono irrilevanti (cap. 11) le informazioni circa “la fase di cantiere”. Non viene previsto un crono-programma, neppure indicativo, che definisca le problematiche di cantiere per tipologia, per successione e per durata dei lavori. Dovrebbero essere indicate sommariamente le attività e le iniziative da porre in atto localmente per ridurre o rimediare agli scompensi: il cantiere, verosimilmente, potrebbe durare anche diversi anni, con la necessità di occupazione di strade e spazi pubblici e conseguente riduzione di sedi viabili, delle quantità di parcheggi disponibili in un’area fortemente antropizzata e con notevole caratteristica commerciale. Il disagio arrecato agli abitanti ed agli esercizi commerciali derivanti dal cantiere non viene assolutamente valutato.
 Osservazione n.4
Non vengono trattati i problemi indotti dagli aspetti strutturali del nuovo edificio (requisiti antisismici, vicinanza/aderenza al grattacielo, estensione delle fondazioni di base).
Sembra siano state accantonate, con eccessiva leggerezza, le problematiche relative al comportamento di edifici di notevole altezza in un tessuto urbano posto in zona sismica. Non è sufficiente seguire la normativa relativa alle distanze per escludere conseguenze in caso di sisma. In particolare, siamo qui in presenza di un edificio (il cosiddetto “grattacielo”) realizzato senza adottare criteri antisismici e coinvolto, almeno a livello di fondazione, dalle costruzioni in progetto. E’ probabile che si crei un’interazione tra queste ed è possibile, di conseguenza, che il grattacielo pre-esistente muti la sua “risposta sismica”. Pertanto, sarebbe necessario effettuare verifiche secondo i cosiddetti “modelli dinamici”, anche se la complessità della situazione prodotta dall’inserimento delle nuove costruzioni rende alquanto aleatorio il risultato giacchè le nuove fondazioni sarebbero contigue a quelle già esistenti e di cui -al momento- non si conoscono neppure le caratteristiche e le condizioni reali.
Osservazione n.5
Nella relazione non è previsto uno studio di conformità alla normativa antincendio degli edifici esistenti e a quelli di possibile edificazione. In particolare, per quanto riguarda gli accessi delle autoscale dei VVF all’edificio del “grattacielo” e l’allacciamento alla rete idrica dell’impianto antincendio.
Gli attuali “Portici blu”, in prossimità del passo carraio, hanno un varco espressamente richiesto a suo tempo dai VVF proprio per permettere l’acceso delle autoscale ed intervenire -in caso di incendio- nel lato interno del grattacielo. Pertanto, nel caso della nuova costruzione l’accessibilità alla facciata retrostante del grattacielo esistente deve essere prevista e garantita, altrimenti verrebbe meno un fondamentale requisito per la sicurezza dell’intero complesso e dei suoi abitanti.
Osservazione n.6
La relazione (cap.2 e 5) parla ripetutamente dello stato attuale usando termini quali “reliquato urbano”, lato “incompiuto”, parzialmente vuoto… con una accezione negativa; anche la descrizione dell’uso attuale tende a derubricare i comportamenti ad attività residuali. Sarebbe invece auspicabile una valutazione più obiettiva sulla qualità e sulle potenzialità dello spazio pubblico, proprio a partire dalle sue condizioni attuali. Consigliamo una visita dei progettisti “sul luogo” per verificare come la piazza sia frequentata in tutte le ore del giorno e che non è assolutamente “vuota” ma sia invece luogo di attività, luogo di sosta, di “respiro urbano”, “di chiacchiere e di relazioni”.
Nella relazione a sostegno del provvedimento non esistono considerazioni-valutazioni sugli eventuali impatti negativi indotti dal riempimento del cosiddetto “vuoto urbano”: riduzione luce, irraggiamento solare, visuali aperte, ecc.. Così come non vengono considerate le interferenze che l’accesso automobilistico al palazzo (parcheggi interrati) può creare sulla mobilità pedonale di contorno (sotto i portici).
Contestiamo le seguenti affermazioni contenute nella relazione:
1.      l’affermazione (ai cap. 3, 5, 6,…) che questa densificazione permette di salvaguardare suoli agricoli in quanto raccoglie una domanda di residenze che altrimenti sarebbe soddisfatta su suoli agricoli esterni; la salvaguardia di suoli agricoli sarebbe molto meglio tutelata riducendo le aree di edificazione previste dal P.R.G.C, un piano regolatore largamente sovradimensionato rispetto alle reali esigenze residenziali della città di Pinerolo;
2.     l’affermazione che la variante (il nuovo edificio) “non modifica il sistema della viabilità” (cap. 3); in un’area già congestionata, un nuovo edificio di 11 piani adibito a residenze ed uffici e senza possibilità di creare parcheggi pubblici, non può che peggiorare ulteriormente la viabilità locale;  
3.     l’affermazione che la variante persegue un controllato ed equilibrato sviluppo del territorio e dei tessuti urbani, perché propone l’utilizzo di un “reliquato” che solo motivazioni diverse da considerazioni di ordine edilizio ed urbanistico hanno fatto si che sia ad oggi ancora oggi inutilizzato. Il suo corretto utilizzo potrebbe incidere significativamente sulla sicurezza e la tutela dell’ambiente fisico e sull’identità culturale dei luoghi. Affermare che riempire “i vuoti” significa perseguire un “controllato ed equilibrato sviluppo del territorio” ci pare affermazione del tutto arbitraria e, dal punto di vista culturale, davvero scandalosa.
Ci chiediamo: in quale modo la realizzazione dell’edificio ipotizzato sulla piazzetta “Portici Blu” riequilibra il territorio o l’area del centro storico pinerolese? L’edificio ipotizzato nella Variante ci pare piuttosto togliere spazio, vivibilità e sicurezza ad un contesto che già oggi presenta situazioni di criticità.
4.     l’affermazione che la variante apporta miglioramento generale al livello di qualità della vita perché consente la realizzazione di un intervento edilizio qualitativamente superiore; il progettista dovrebbe spiegare chi è il soggetto che avrà aumentato il livello di qualità della vita e sulla base di quali parametri oggettivi fondare tale affermazione.  Non pensiamo che gli abitanti del quartiere siano i soggetti a cui il progettista faccia riferimento.
5.     l’affermazione che la variante non va sottoposta a VAS (conclusione del  cap. 18). Poiché la Relazione di verifica di assoggettabilità presentata  risulta alquanto povera di prescrizioni (peraltro non facili da definire) e sicuramente carente nell’approfondimento urbanistico non pensiamo possibile  assecondare tale conclusione e, al contrario, chiediamo sia prevista la procedura VAS anche alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale n. 197 dell’11 luglio 2014.

6 – conclusioni

Con questa variante, Il PRG di Pinerolo porta a 54.605 gli abitanti insediabili, mentre gli abitanti rilevati al censimento 2011 erano 34.854. Il totale delle abitazione è di 20.284 e di queste almeno 4.000 risultano  oggi “non occupate”, o sfitte.
Si tratta dunque di un Piano Regolatore largamente sovradimensionato rispetto alle esigenze residenziali. Purtroppo la politica del diritto all’abitare dei cittadini non è stato in grado di affrontare i problemi dell’abitazione dei ceti meno abbienti colpiti dalla crisi economica  che investe anche il  pinerolese. La precarizzazione della vita lavorativa, l’incertezza di poter disporre di un reddito adeguato, le difficoltà nell’ottenimento di un mutuo bancario, impediscono a molti giovani  sia l’acquisto di una abitazione ma anche, più semplicemente, di  ottenerne una in affitto. Stiamo assistendo al moltiplicarsi di sfratti,  di casi del cosiddetto “disagio abitativo”: difficoltà o impossibilità di pagare fitti e spese a causa di perdita di lavoro o riduzione del reddito famigliare. A tutto questo, le amministrazioni -anche quella di Pinerolo- provano ad intervenire con provvedimenti che tuttavia rischiano di essere di tipo meramente assistenziale.
La variante dei «Portici blu» non risponde in alcun modo al problema che si è evidenziato, l’emergenza abitativa, e che riguarda sostanzialmente il diritto dei cittadini ad avere condizioni di vita dignitose e la conseguente possibilità  di accedere al bene-casa.
La “trasformazione” della piazzetta dei Portici Blu in edifici residenziali e commerciali contraddice il diritto ai servizi collettivi sempre affermato come centrale nella politica amministrativa della città. I cittadini verrebbero infatti (de)privati di uno di quei beni comuni che costituiscono elementi di qualità della vita associata.

7. richiesta

Lo scorso anno è stata fatta una raccolta di firme a sostegno della proposta di deliberazione al Consiglio Comunale, ai sensi dell’articolo 14 dello Statuto della Città di Pinerolo, avente come oggetto “Stralcio dalla deliberazione di Consiglio comunale di Pinerolo n. 36 del 2-3 luglio 2013: «Approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari – triennio 2013/2015 e relativa adozione di variante urbanistica ai sensi dell'art. 16bis della l.r. 56/77» della parte relativa alla alienazione della area dei “Portici Blu”, via Chiappero angolo via Buniva e relativa variante urbanistica della zona A5.1del PRGC”.
La maggioranza del Consiglio Comunale il giorno 11 dicembre 2013 ha respinto la richiesta dei 601 cittadini firmatari della proposta di delibera.
Pertanto, visto che la delibera n. 33 del 29 luglio 2014: «Variante urbanistica ai sensi dell’art. 16bis della l.r. 56/77. Adozione documento di verifica di assoggettabilità alla VAS» è la conseguenza di quella decisione, chiediamo di partecipare alla Conferenza dei servizi per poter illustrare le presenti osservazioni al fine di precisarne il significato.
Il territorio, le città e le risorse naturali che consentono la vita associata sono beni comuni non negoziabili. Le istituzioni pubbliche, attraverso le forme della partecipazione attiva della popolazione, ne sono i custodi e i garanti nel quadro delle specifiche competenze. 

Ringraziamo e porgiamo cordiali saluti.

Paolo Bertolotti         e-mail paolobertol@tiscali.it
Enzo Garnero           e-mail garnero.enzo13@gmail.com

In rappresentanza di
Osservatorio 0121 Salviamo il paesaggio difendiamo i territori del Pinerolese

Pinerolo, 15 settembre 2014