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sabato 31 maggio 2014

Don Luigi Ciotti: "Antimafia? Una parola che va eliminata"

Don Luigi Ciotti.Antimafia. Una volta era una parola nobile, ora snaturata da un uso superficiale: è diventata un'etichetta. Se la eliminassimo, sbugiarderemmo quelli che ci hanno costruito sopra una falsa reputazione. L'ho scritto anche a papa Francesco
Proponga allora una parola nuova! 
«Responsabilità. Sembra semplice, ma è la più impegnativa e basterebbe da sola a cambiare le cose»

L'antimafia. Lo abbiamo capito da tempo: per certi personaggi, per certi ambienti, "l'antimafia" è un affare favoloso. Carriere, denaro ( da gestire o da drenare), lustrini e ribalte. Da qui le divisioni, i personalismi. le "splendide carriere" dietro a cui si nasconde "il nulla", se non il vacuo riferimento a storie e nomi speculati per raggiungere e conquistare i lustrini,  le ribalte, i privilegi.
La mia personale opinione è che "fare memoria" non serve a molto se non capiamo che occorre guardarsi intorno -ovunque- per impedire che si generino situazioni e comportamenti mutuati dalla matrice mafiosa. Lo ripetiamo sempre: i meccanismi ( mafiosi) sono talmente semplici ed efficaci da essere "normalmente" praticati anche da chi "mafioso" non è dal punto di vista penale-giudiziario. Quanto poi è accaduto in queste elezioni, e proprio in Piemonte, ribadisce -a mio parere - la denuncia dell'oramai ex procuratore Caselli, denuncia pronunciata nella requisitoria al processo Minotauro: non bastano i giudici , non bastano i processi se la società civile (meglio sarebbe parlare di società "responsabile") non rivendica il limite dell'osceno, del "non accettabile".E allora accade che anche la lezione a Bassano del Grappa di Paolo Borsellino la si  metta da parte (anche quella?), accantonata perchè non faccia troppo male, perchè non dia troppo fastidio:


E allora, anche se si tratta di rapporti non penalmente rilevanti, è giusto, "è bello", che la politica abbia "scelto" i suoi uomini senza provare la vergogna di candidare certi personaggi nella regione che ha visto assassinare Bruno Caccia?
Occorre riflettere! Tutti!...noi per primi! Questa è la mia opinione
Arturo Francesco Incurato
referente presidio LIBERA "Rita Atria" Pinerolo


Fonte : L'ESPRESSO

In un'intervista a “l'Espresso” nel numero in edicola venerdì 30 maggio, Don Luigi Ciotti, fondatore del gruppo Abele e promotore di Libera, prete da sempre in prima linea contro l'illegalità, prende le distanze dalla retorica dell'antimafia.
Don Luigi Ciotti. “Antimafia. Una volta era una parola nobile, ora snaturata da un uso superficiale: è diventata un'etichetta. Se la eliminassimo, sbugiarderemmo quelli che ci hanno costruito sopra una falsa reputazione. L'ho scritto anche a papa Francesco

- Il termine “antimafia”? 
"Una di quelle parole «una volta nobili e ora snaturate da un uso superficiale che le ha rese inservibili».
A 50 anni dai voti sacerdotali, ricostruisce la sua vita di prete di periferia e parla del nuovo papa. «Ora l'aria è cambiata. Pensi che Francesco ha avuto persino l'umiltà di dirmi: “Mi mandi qualche appunto sulle mafie”»

- Che cosa gli ha scritto? 
«Quello che so e quello che va cambiato. A cominciare da parole una volta nobili e ora snaturate da un uso superficiale che le ha rese inservibili. Oggi tutti parlano di pace, di diritti, di giustizia e soprattutto di legalità, che è diventata fluida, malleabile, piegata ai bisogni di chi la pronuncia. L'uguaglianza di fronte alla legge ha bisogno di uguaglianza sociale, altrimenti la legalità diventa una discriminazione tra chi sta bene e chi tira la cinghia. Per non parlare dell'antimafia. E' ormai una carta d'identità, non un fatto di coscienza. Se la eliminassimo, forse sbugiarderemmo quelli che ci hanno costruito sopra una falsa reputazione. Per fortuna anche qualche politico lo ha capito. Rosy Bindi, presidente della Commissione antimafia, all'inizio criticata perché ritenuta incompetente, è stata qui ore e ore ad ascoltare con umiltà la nostra esperienza, ha approfondito e oggi si muove molto bene in un territorio scivoloso e difficile, a cui l'etichetta di antimafia non aggiunge niente. Anzi»

Proponga allora una parola nuova! 
«Responsabilità. Sembra semplice, ma è la più impegnativa e basterebbe da sola a cambiare le cose»


mercoledì 28 maggio 2014

Fare Memoria: Strage di Piazza della Loggia a Brescia . 28 maggio 1974

Lo abbiamo detto in altre occasioni: "(...) Morti innocenti, delitti oscuri perpetrati da mani a cui abbiamo dato il nome di mafie, bande, terroristi, servizi segreti deviati, golpisti. E’successo e potrebbe succedere ancora: delitti commessi pensando che, in Italia, potesse servire “a qualcosa e a qualcuno” spargere sangue innocente, seminare paure e insicurezza per annientare persone, idee, valori.(...)"



Quel giorno , il 28 maggio 1974, in Piazza della Loggia era in corso una manifestazione indetta dai sindacati e dal  Comitato Antifascista come atto di protesta contro gli episodi di terrorismo neofascista che si erano manifestati nei mesi precedenti. Una bomba nascosta in un cestino porta-rifiuti fu fatta esplodere mentre la folla era accalcata sotto il palco ascoltando il comizio.
Il 14 aprile 2012 la Corte d'Appello conferma l'assoluzione per tutti gli imputati appartenenti all'area della estrema destra, condannando le parti civili al rimborso delle spese processuali. 
L'ennesima strage italiana, l'ennesima strage "senza colpevoli". 
Quel giorno, il 28 maggio 1974,  oltre ad un centinaio di feriti, morirono 8 innocenti. .

Giulietta Banzi Bazoli, anni 34, insegnante
Livia Bottardi Milani, anni 32, insegnante
Euplo Natali, anni 69, pensionato
Luigi Pinto, anni 25, insegnante
Bartolomeo Talenti, anni 56, operaio
Alberto Trebeschi, anni 37, insegnante
Clementina Calzari Trebeschi, anni 31, insegnante
Vittorio Zambarda, anni 60, operaio

martedì 27 maggio 2014

Strage dei Georgofili. 27 maggio 1992: Caterina Nencioni (50 giorni di vita), Nadia Nencioni (9 anni), Angela Fiume (36 anni), Fabrizio Nencioni (39 anni), Dario Capolicchio (22 anni).

Nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993: a Firenze, viene fatta esplodere una Fiat Fiorino imbottita di esplosivo nei pressi della storica Torre dei Pulci, tra gli Uffizi e l'Arno, sede dell'Accademia dei Georgofili.
Nell'esplosione, perde la vita Caterina Nencioni (50 giorni di vita), Nadia Nencioni (9 anni), Angela Fiume (36 anni), Fabrizio Nencioni (39 anni), Dario Capolicchio (22 anni). Rimangono ferite 48 persone. 
Ora sappiamo che quella strage serviva ad alzare il prezzo del ricatto mafioso allo Stato: la trattativa vergognosa che qualcuno ora vuole cancellare



Riportiamo un articolo pubblicato da La repubblica nell'anniversario della strage del 2012
Fonte : LA Repubblica. maggio 2012

LAURA MONTANARI
" Ricordare non è un esercizio di ripetizione perché nessun anniversario è uguale al precedente.(...) Stanotte ha un senso restare svegli, mescolarsi al corteo che partirà all’una da piazza della Signoria per arrivare sotto la torre de’ Pulci. Ha un senso ricordare l’esplosione, le sirene, il fuoco, il tappeto di vetri e calcinacci sulla strada. Ha senso tornare alla notte in cui abbiamo creduto che fosse «soltanto» una fuga di gas e ricordare invece la mattina dopo quando ci hanno detto che invece era una bomba." 
Morirono Angela e Fabrizio Nencioni, le loro figlie Nadia e Caterina e lo studente in architettura Dario Capolicchio. Quarantuno persone rimasero ferite. Furono danneggiati gli Uffizi, Palazzo Vecchio, la chiesa di Santo Stefano al Ponte Vecchio e tutte le abitazioni intorno. 
(...) "Le istituzioni dovrebbero cercare quello sviluppo e quella crescita che permettano ai giovani di inserirsi nel mondo del lavoro, senza dover ricorrere alla mafia." Lo ha detto il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, parlando con gli studenti nell'incontro a Firenze. Grasso ha ricordato di quando un boss gli raccontò di un padre di famiglia che, per sfamare la figlia, gli chiese un lavoro, finendo poi per prestarsi alle richieste della malavita. "Quel boss mi disse - ha ricordato Grasso - che la mafia sarà sconfitta quando, in quelle condizioni di difficoltà, ci si rivolgerà allo Stato e non alla criminalita".
"Come posso parlare di legalità - ha poi aggiunto - a chi non sa come sfamare la figlia? Poter avere un lavoro rende liberi". "La mafia è un fenomeno criminale - ha spiegato Grasso - ma c'è anche chi va chiedere un lavoro alla mafia, anche perchè a volte non ci sono alternative".

Gli ultimi dieci minuti prima della bomba
fonte: Corriere della Sera


FIRENZE - Dario alza lo sguardo verso le lancette dell’orologio in cucina. Segna l’una meno cinque di notte. «Francesca, smettiamo un po’?». Lei accarezza le pagine del libro che sta studiando, sorride e lo guarda: «Dai, ancora una mezzora e poi ce ne andiamo a dormire». Hanno vent’anni, vengono da Sarzana, erano al liceo insieme e insieme si sono iscritti ad Architettura, a Firenze. Vivono in affitto in via dei Georgofili, all’ombra dei grandi finestroni degli Uffizi. Un piccolo appartamento al terzo piano, condiviso con un altro studente che stasera non c’è: il treno da Carrara è stato soppresso e lui non è riuscito a tornare a Firenze. Dario e Francesca non sono proprio partiti, la settimana prossima hanno un esame importante e hanno deciso di non perdere neanche un giorno. Quella casa è il loro sogno: le travi di legno, i quadri da appendere alle pareti, la vita quotidiana passata tra una colazione veloce, i quaderni degli appunti, l’armadio troppo piccolo per due, le cene con gli amici dell’università. «Va bene Frà, facciamo un altro quarto d’ora, dai».

La signora Giovannella ha 84 anni. È la direttrice della pensione «Quisisana», a due passi da Ponte Vecchio. Quella che ha ispirato lo scrittore Edward Morgan Foster per il romanzo «Camera con vista» e poi il celebre film di James Ivory. Ormai tutti i turisti vogliono passare almeno una notte nella «camera 22», proprio davanti al Corridoio Vasariano. Stasera ci dorme una coppia di americani, la ragazza è incinta di sei mesi. Per prendere la stanza ripetevano insistentemente «Ivory, Ivory». Giovannella non ha sonno. Apre una finestra e guarda San Miniato al Monte, respira l’aria di primavera che sembra ancora più bella a Firenze. Passeggia nel corridoio, butta un occhio sulle camere. Stanotte ci sono sessanta ospiti. Il latte, ci sarà il latte? Scappa in cucina, apre il frigo. Sì, c’è latte per tutti. Giovannella ha già apparecchiato la stanza delle colazioni. Poi si siede ad uno dei tavoli. Apre una rivista di enigmistica e comincia a fare due parole crociate. Così, per ingannare il tempo, che stanotte non la fa dormire.
Nadia invece a letto c’è da un po’. È la figlia di Angela, la custode dell’Accademia dei Georgofili. Vive nella Torre dei Pulci, ha nove anni. Suo papà Fabrizio è un vigile. L’ha sentito che si svegliava perchè Caterina piangeva. I bimbi così piccoli, pensa Nadia nel dormiveglia, piangono sempre e che urla che tirano. Oggi la mamma le ha detto che è stata brava: oltre a guardare la sorellina nata da due mesi, ha scritto anche una poesia. La recita al suo orsacchiotto: «Il pomeriggio se ne va/ il tramonto si avvicina/un momento stupendo/il sole sta andando via (a letto)/è già sera/tutto è finito».
All’Accademia regna un gran silenzio. È quello dei libri, più di 70mila volumi e dodicimila manoscritti dal 1700 ad oggi. Stanno lì e aspettano gli studiosi che domani verranno. Il Corridoio Vasariano invece, aspetta i suoi turisti. Pochi, scelti, perché lì si va solo per appuntamento. Da lì i granduchi si muovevano liberamente tra un palazzo e l’altro.
L’orologio della notte si ferma alle 1.04. Marco, da piazzale Michelangelo vede due lampi bianchi e una fiamma. Poi, Firenze muore.
Alessandra Brav

lunedì 26 maggio 2014

Pinerolo 27 maggio 2014 alle ore 21.00. Teatro Incontro. " Libera...le emozioni...senza lacrime, a pugni chiusi"

Pinerolo 27 maggio 2014 alle ore 21.00.   Teatro Incontro. Le classi terze della Scuola media "F. Brignone" plessi scolastici dell'Abbadia Alpina e San Secondo, in collaborazioneco presidio LIBERA "Rita Atria" Pinerolo, presentano lo spettacolo " Libera...le emozioni...senza lacrime, a pugni chiusi

 " Libera...le emozioni ...senza lacrime, a pugni chiusi
è da intendersi come il momento più importante del percorso 
che quasi 100 ragazzi hanno compiuto in questi due anni 
parlando di giustizia, di mafie,
 di uomini e donne che l'hanno combattute,
 lavorando a stretto contatto col presidio "Rita Atria" di Pinerolo. 
In scena ci saranno le emozioni, i sogni e le realtà di tutti loro" 
                                                     Daniela Carano, per le prof.sse dell F. Brignone


venerdì 23 maggio 2014

23 maggio 1992. Capaci. ore17.56'.48''. GIOVANNI FALCONE. FRANCESCA MORVILLO. ANTONIO MONTINARO. ROCCO DI CILLO .VITO SCHIFANI

GIOVANNI FALCONE: “GLI UOMINI PASSANO, LE IDEE RESTANO. RESTANO LE LORO TENSIONI MORALI E CONTINUERANNO A CAMMINARE SULLE GAMBE DI ALTRI UOMINI"





giovedì 22 maggio 2014

Giovanni Falcone. La giornata di venerdì 22 maggio,

Giovanni Falcone. La giornata di venerdì 22 maggio, fino a sera, Giovanni Falcone l'aveva trascorsa a mettere ordine nelle sue cose. Cosa fanno -in quegli stessi momenti- Antonio Montinaro, Vito Schifani, Rocco Di Cillo? La vita di uomini diventa Storia.


Fonte : "STORIA DI GIOVANNI FALCONE" di Francesco La Licata
"(...) La giornata di venerdì 22 maggio, fino a sera, Giovanni Falcone l'aveva trascorsa a mettere ordine nelle sue cose. Aveva utilizzato la macchina trita carte per distruggere alcuni documenti che non gli servivano più. Chi gli è stato vicino è rimasto molto impressionato da tanta meticolosità. Presagiva la fine? Forse è più consolante pensare che si preparasse psicologicamente a lasciare quell'ufficio, in vista della Procura nazionale che, chissà per quale convinzione, sentiva vicina. Nulla fa pensare che temesse: non avrebbe portato con sé Francesca, non l'avrebbe attesa per un giorno e mezzo. Anzi, il ritardo della moglie sarebbe stata la scusa ideale per poter viaggiare da solo, salvaguardandola così senza metterla in apprensione. Invece ha spostato più volte la partenza, si è mosso con estrema tranquillità, trovando persino la voglia e il tempo di fare un salto a casa per cucinarsi un piatto di spaghetti. E quando ha lasciato la sua stanza si è rivolto alla segretaria, salutandola, in un modo che non lasciava trasparire timori: "io vado, ci vediamo lunedì".


venerdì 16 maggio 2014

Mauro Rostagno. Condannati all'ergastolo mandante ed esecutore dell'omicidio del giornalista.


Non serve cercare un posto in questa società, ma creare una società dove valga la pena di trovare un posto. Questa la citazione più cara a Mauro Rostagno. Rostagno era nato a Torino, 6 marzo 1942. Fondatore di Lotta Continua, profondamente contrario alla lotta armata che segnarà drammaticamente il destino di quegli anni, morì in terra di Sicilia , a Lenzi di Valderice, 26 settembre 1988. Un delitto sarebbe rimasto senza processo se non fosse stato per l’ex capo della Mobile Linares e un poliziotto vecchio stampo, Nanai Ferlito, i quali fecero scoprire che, nonostante anni di indagine (“malfatte” è stato sentito dire più volte in aula), non erano mai stati fatti confronti balistici mentre “i soliti depistaggi” depistaggi avevano fatto seguire le solite “altre strade”.
Dalla metà degli anni ottanta, Rostagno lavora come giornalista e conduttore anche per l'emittente televisiva locale Radio Tele Cine (RTC). Attraverso la televisione denuncia le collusioni tra mafia e politica locale. Con il suo lavoro di denuncia e di ricerca della verità, Mauro Rostagno firmò la sua condanna a morte. Ieri sera, la verità processuale sul suo omicidio viene finalmente scritta e rivelata.

fonte : La Repubblica
TRAPANI - Ergastolo per entrambi gli imputati.  E' arrivata alle 23.30 la sentenza della Corte d'Assise di Trapani nel processo a carico del capomafia trapanese Vincenzo Virga e del sicario della famiglia mafiosa Vito Mazzara, accusati di essere rispettivamente il mandante e l'esecutore dell'omicidio di Mauro Rostagno, il sociologo e giornalista ucciso in contrada Lenzi, a Valderice (Trapani) il 26 settembre 1988. Inflitta anche l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. 

La Corte, presieduta da Angelo Pellino, era riunita in Camera di Consiglio dalle 12 di martedì scorso, nell'aula bunker del carcere di Trapani. Per i due imputati, entrambi detenuti per altre condanne, i pm della Dda di Palermo Gaetano Paci e Francesco Del Bene avevano chiesto l'ergastolo. Per la pubblica accusa, "il modus operandi seguito nel delitto Rostagno è quello tipicamente mafioso" e il movente sarebbe da rincondurre "all'attività giornalistica, destabilizzante della quiete criminale" che Rostagno conduceva dagli schermi dell'emittente televisiva locale Rtc. I difensori Stefano Vezzadini e Giancarlo Ingrassia, per Virga, e Vito e Salvatore Galluffo, per Mazzara, avevano invece chiesto l'assoluzione dei loro assistiti "per non aver commesso il fatto".

In aula c'erano la figlia di Rostagno, Maddalena (oggi è il suo compleanno), l'ex compagna Chicca Roveri e la sorella del sociologo-giornalista Carla, parti civili nel processo. Presenti anche l'ex pm e commissario della Provincia di Trapani Antonio Ingroia, che riaprì il caso, e il portavoce del M5S al Senato, il trapanese Vincenzo Santangelo. La lettura della sentenza è stata accolta con evidente soddisfazione, accompagnata in alcuni casi da un pianto liberatorio.

La condanna di Virga e Mazzara fa piazza pulita della tesi che aveva escluso la matrice mafiosa del delitto e aveva puntato all'interno della comunità Saman per tossicodipenti, fondata da Rostagno, adombrando un movente che mescolava storie private con una confusa gestione della struttura. Per lungo tempo, ha tuonato l'accusa, la ricerca della verità è stata frenata da "sottovalutazioni inspiegabili, omissioni, miopie".

"Se la Corte d'Assise è arrivata a questa decisione - dice ora il pm Paci - è per lo scrupolo e il rigore impiegati in questi anni di indagine nel non tralasciare alcune ipotesi tra quelle emerse nel tempo".


Il collegio ha condannato i due imputati al risarcimento delle parti civili tra le quali l'Ordine dei giornalisti, la comunità Saman, di cui Rostagno era il fondatore, i familiari del sociologo e l'Associazione della stampa. La Corte ha anche disposto la trasmissione in Procura delle deposizioni di una serie di testimoni tra i quali l'ex sottufficiale dei carabinieri Beniamino Cannas e l'editrice dell'emittente televisiva Rtc, Caterina Ingrasciotta, televisione privata dalla quale Rostagno denunciava Cosa nostra e i suoi legami con la massoneria deviata.

sabato 10 maggio 2014

Salone del Libro di Torino. 8-12 maggio 2014

Salone del Libro di Torino. 8-12 maggio 2014
"Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi, o, come gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere."
Gustave Flaubert, Lettera a Mille de Chantepie, 1857 

"Chi non legge ha solo la sua vita..."
E tu quante vite ricordi di aver vissuto?





"Chi non legge ha solo la sua vita, che, vi assicuro, è pochissimo. Invece noi quando moriremo ci ricorderemo di aver attraversato il Rubicone con Cesare; di aver combattuto a Waterloo con Napoleone, di aver viaggiato con Gulliver e incontrato nani e giganti.(...)"...di aver visto Caino mentre si scagliava contro Abele; di aver attraversato l'Inferno, il Purgatorio e infine essere giunti in Paradiso al fianco di Dante; di aver trepidato mentre Don Chisciotte affrontava inebetito i grandi e immobili mulini a vento;  di aver  pianto e tremato per lo stesso freddo patito in un lager da donne, uomini e bambini con pochi nomi da ricordare; di aver amato Marcella quando esclama "Io sono la spada tolta di mezzo..." Un piccolo compenso per la mancanza di immortalità." Umberto Eco e altri mille, e mille, e mille ancora...

E tu quante vite ricordi di aver vissuto?

venerdì 9 maggio 2014

9 maggio 1978. Aldo Moro e Peppino Impastato

Una data lega l'assassinio di due uomini: Aldo Moro e Peppino Impastato. Il primo ucciso dalle Brigate Rosse, il secondo ucciso da Cosa Nostra.  
Dagli schermi televisivi, dalle radio, dalla "rete", oggi vedremo, ascolteremo, assisteremo, alla ovvia e vuota retorica a cui siamo abituati. Salvo Vitale, l'amico fraterno di Peppino Impastato, lo sorso anno in occasione di un altro "anniversario" scrisse così: "Non li voglio vedere"...
Ci basterà, ce la faremo bastare, quella vuota retorica per giustificare la "legalità sostenibile" (di cui ha parlato in tante occasione don Luigi Ciotti, fondatore di LIBERA) e che ci siamo costruita a nostra misura affinchè non ci faccia troppo male e non ci costringa troppo? "A nostra insaputa" continuerà ad essere la giustificazione comoda che troveremo per atti, omissioni e reticenze? 
Ce lo faremo bastare? 
Oppure cominceremo davvero a fare memoria affinchè le cose accadute non abbiano più a ripetersi, affinchè si metta in atto l'insegnamento di coloro che, come in un triste rosario, continuiamo a snocciolarne nomi, date di nascita e di morte prematura?
Che non siano state morti inutili!


Il discorso della Montagna
Peppino Impastato e Salvo Vitale, dall’alto di Monte Pecoraro,  guardando l’aeroporto di Punta Raisi, dopo la costruzione della terza pista:
PEPPINO: Sai cosa penso? 

SALVO : Cosa? 

PEPPINO: Che questa pista in fondo non è brutta. Anzi 

SALVO (ride) : Ma che dici?! 
PEPPINO: Vista così, dall'alto ... [guardandosi intorno sale qua e potrebbe anche pensare che la natura vince sempre ... che è ancora più forte dell’uomo. Invece non è così. .. in fondo le cose, anche le peggiori, una volta fatte ... poi trovano una logica, una giustificazione per il solo fatto di esistere! Fanno 'ste case schifose, con le finestre di alluminio, i mri di mattoni finti, i balconcini ... mi segui?

SALVO: Ti sto seguendo


PEPPINO:... Senza intonaco, i muri di mattoni vivi ... la gente ci va ad abitare, ci mette le tendine, i gerani, la biancheria appesa, la televisione ... e dopo un po' tutto fa parte del paesaggio, c'è, esiste ... nessuno si ricorda più di com'era prima. Non ci vuole niente a distruggerla la bellezza ... 


SALVO: E allora?


PEPPINO: E allora forse più che la politica, la lotta di classe, la coscienza e tutte 'ste fesserie ... bisognerebbe ricordare alla gente cos'è la bellezza. Insegnargli a riconoscerla. A difenderla. Capisci? 


SALVO: ( perplesso) La bellezza…


PEPPINO: Sì, la bellezza. È importante la bellezza. Da quella scende giù tutto il resto. 

giovedì 8 maggio 2014

Nino Di Matteo: "Una circolare del Csm blocca la continuità delle indagini"

Nino Di Matteo fra gli uomini della scorta
Anche Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo , si è espresso con durezza contro quella che sembra essere l'ennesimo ostacolo frapposto al processo sulla "Trattativa"
"Stanno strappando il processo sulla trattativa a Di Matteo e agli altri magistrati che se ne stanno occupando(...) "Il Csm sta cercando di smantellare il pool di Palermo come accadde 20 anni fa. Il popolo deve reagire, non può aspettare che altri magistrati vengano eliminati.




Fonte: La repubblica
L'allarme del pm Di Matteo: "Una circolare del Csm blocca la continuità delle indagini". Il magistrato palermitano impegnato nelle indagini sulla trattativa Stato-mafia denuncia lo smantellamento del pool

E' preoccupato Nino Di Matteo dopo lo stop alle nuove indagini sulla trattativa imposto da una decisione del Csm: "Una circolare del Consiglio superiore della magistratura, soprattutto se interpretata in maniera restrittiva, sacrifica la continuità investigativa indispensabile nelle indagini più complesse, come quelle sulle stragi e sui rapporti di Cosa nostra con interlocutori esterni".

Nino Di Matteo non potrà fare più nuove indagini sulla trattativa fra i vertici della mafia e pezzi dello Stato. Anche Roberto Tartaglia dovrà fermarsi. E, fra un mese, la stessa sorte toccherà a Francesco Del Bene. Tira un’aria pesante nelle stanze blindate della Procura. Il pool di Palermo è praticamente azzerato, resta soltanto il coordinatore del gruppo, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi. È il primo drammatico effetto di una circolare arrivata dal Consiglio superiore della magistratura il 5 marzo scorso: ordina che tutti i nuovi fascicoli d’inchiesta sulla mafia debbano essere affidati esclusivamente a chi fa parte della Dda, la direzione distrettuale. E Di Matteo è formalmente scaduto da quattro anni, ufficialmente è assegnato al gruppo che si occupa di abusi edilizi. Tartaglia, invece, non fa ancora parte della Dda. Fino ad oggi, i due magistrati che hanno istruito il processo in corso a Palermo sono stati solo «applicati» al pool. Il terzo componente del gruppo, Francesco Del Bene, è l’unico ancora legittimato a fare nuove indagini, ma fino al primo giugno, poi scadrà anche lui dall’incarico decennale in Dda.

La circolare del Csm spedita a tutte le procure d’Italia è perentoria: nessun nuovo fascicolo antimafia potrà più essere gestito da chi non fa parte della direzione distrettuale, «salvo casi eccezionali». E i casi eccezionali sono particolari competenze «nei delitti contro l’economia, la pubblica amministrazione, la salute e l’ambiente». Oppure, dice il Csm, tutti i componenti della Dda dovrebbero avere dei carichi di lavoro tali da non poter condurre più altre indagini.

Così, al procuratore di Palermo Francesco Messineo non è rimasto che fermare una nuova importante assegnazione a Di Matteo e Tartaglia. Quale, resta un segreto d’indagine. Ma sembra che riguardi proprio gli sviluppi di una serie di accertamenti fatti in questi ultimi mesi. Perché, ormai, non è più un mistero che i pm di Palermo hanno proseguito le indagini sulla trattativa anche dopo l’inizio del processo in Corte d’assise: l’estate scorsa, si sono presentati con la Dia nelle sedi romane dei servizi segreti per acquisire una montagna di documentazione. Di recente hanno poi continuato a interrogare decine di uomini delle istituzioni come testimoni. Il pool di Palermo sta cercando di chiarire il ruolo della misteriosa Falange Armata, la sigla che rivendicava gli attentati del 1992-1993 ai centralini delle agenzie di stampa. E sembra che alcuni nomi su cui indagare siano saltati fuori. Ma su questi nomi Di Matteo e Tartaglia non potranno fare alcuna indagine, anche se sono stati loro a individuarli nella giungla dei misteri che ancora restano. 

La circolare del Csm non ammette deroghe. Non importa che un gruppo di magistrati abbia acquisito una competenza unica. Non importa che le indagini offrano nuovi spunti di approfondimento, e relative iscrizioni nel registro degli indagati. Perché, intanto, quella misteriosa sigla della “Falange armata” è ricomparsa, in una lettera minacciosa spedita in carcere al boss Totò Riina dopo la pubblicazione sui giornali delle sue intercettazioni all’ora d’aria. «Chiudi la bocca, ricordati che hai famiglia», gli hanno scritto.

L'allarme di Salvatore Borsellino
"Stanno strappando il processo sulla trattativa a Di Matteo e agli altri magistrati che se ne stanno occupando", dice il fratello del giudice Paolo parlando dal palco allestito a piazza Castelnuovo dal Movimento Cinque Stelle per il comizio di Beppe Grillo. Alle sue spalle un presidio di Scorta civica con uno striscione: "Siamo tutti Di Matteo". 
Salvatore Borsellino prosegue: "Il Csm sta cercando di smantellare il pool di Palermo come accadde 20 anni fa. Il popolo deve reagire, non può aspettare che altri magistrati vengano eliminati. Il presidente Napolitano, garante della Costituzione, è entrato a gamba tesa nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Vi esorto a chiedere la verità e giustizia ed evitare che venga messo il bavaglio ai magistrati. Non possiamo aspettare che sia versato altro sangue, vi esorto a fare sentire la vostra presenza ai magistrati e consentirgli di continuare a fare il loro lavoro, ribellatevi"
di SALVO PALAZZOLO



martedì 6 maggio 2014

Un anno fa, all'età di 71 anni, moriva Agnese Borsellino

Un anno fa, all'età di 71 anni, moriva Agnese Borsellino, la moglie del giudice Paolo Borsellino. Paolo Borsellino e Agnese Piraino Leto si erano sposati il 23 dicembre del 1968. Dal loro matrimonio sono nati tre figli: Lucia, Manfredi,  e Fiammetta. 
Dopo la morte di Paolo Borsellino, la signora Agnese si era tenuta sempre lontana dai riflettori. A chi glielo chiese, Agnese Borsellino rispose così«La tragedia della morte di mio marito? Ho sempre pensato, come tutti in famiglia, che una disgrazia o ti annienta o ti fa diventare più forte. Chi ha fede, un equilibrio interiore coltivato negli anni, non deve mai dire: il Signore mi ha castigato. Paolo era il primo a mettere in pratica questa convinzione. E noi, i suoi familiari, siamo forti dentro anche perché sappiamo di dover onorare la sua memoria, di doverci impegnare ancora di più rispetto a quando Paolo era in vita, per non rendere vani i suoi insegnamenti. Lo dico in tutta umiltà, senza ipocrisia: il dolore, lo strazio per la perdita di Paolo, non ci ha incattiviti. Porteremo con noi, per tutta la vita, il bagaglio etico e morale che mio marito ci ha lasciato. Cerchiamo ogni giorno, con le nostre piccole possibilità, di trasmettere agli altri questo patrimonio che abbiamo avuto in eredità».                        Salvo le poche testimonianze pubbliche a cui aveva deciso di presenziare, preferiva parlare con i giovani, consegnando a loro la sua speranza di vederli partecipi, artefici, della sconfitta della mafia. All’inaugurazione della nuova sede della Dia a Palermo, già provata dalla malattia, aveva pronunciato poche parole dense di significato Questa città deve resuscitare, deve ancora resuscitare."  
"Paolo sapeva che stava per essere ucciso. E andò incontro al suo destino". L'intervista esclusiva di Agnese Borsellino rilasciata a Sandro Ruotolo  nei mesi precedenti la scomparsa della signora Agnese

l'ultima intervista ad Agnese Borsellino

Nel ventennale della strage di Via D'Amelio, la signora Agnese aveva scritto una lettera a suo marito Paolo e un messaggio ai giovani. Li riportiamo:  


La lettera di Agnese a Paolo

Il messaggio di Agnese Borsellino ai giovani:
"Carissimi giovani, mi rivolgo a voi come ai soli in grado di raccogliere davvero il messaggio che mio marito ha lasciato, un`eredità che oggi, malgrado le terribili verità che stanno mano a mano affiorando sulla morte di mio marito, hanno raccolto i miei tre figli, di cui non posso che andare orgogliosa soprattutto perché servono quello stesso Stato che non pare avere avuto la sola colpa di non avere fatto tutto quanto era in suo potere per impedire la morte del padre.
Giovanni falcone, Paolo Borsellino, Antonino Caponnetto
Leggendo con i miei figli (qui in ospedale dove purtroppo affronto una malattia incurabile con la dignità che la moglie di un grande uomo deve sempre avere) le notizie che si susseguono sui giornali, dopo alcuni momenti di sconforto ho continuato e continuerò a credere e rispettare le istituzioni di questo Paese, perché mi rendo conto che abbiamo il dovere di rispettarle e servirle come mio marito sino all`ultimo ci ha insegnato, non indietreggiando nemmeno un passo di fronte anche al solo sospetto di essere stato tradito da chi invece avrebbe dovuto fare quadrato attorno a lui.
Io e i miei figli non ci sentiamo persone speciali, non lo saremo mai, piuttosto siamo piccolissimi dinanzi la figura di un uomo che non è voluto sfuggire alla sua condanna a morte, che ha donato davvero consapevolmente il dono più grande che Dio ci ha dato, la vita.
Io non perdo la speranza in una società più giusta ed onesta, sono anzi convinta che sarete capaci di rinnovare l’attuale classe dirigente e costruire una nuova Italia, l’Italia del domani.
Un caloroso abbraccio a voi tutti. 
Agnese Borsellino

Il 5 maggio 2013 Salvatore Borsellino, il fratello di Paolo, così annunciava la morte della signora Agnese: È morta Agnese. È andata a raggiungere Paolo. Adesso saprà la verità sulla sua morte,. 
Nei giorni antecedenti alla sua morte aveva preso il via a Caltanissetta il quarto processo per la strage di via D’Amelio e lei, che era già stata sentita in fase di istruttoria, era indicata tra i principali testimoni del dibattimento. Tra le altre cose, aveva dichiarato che le inquietudini del coniuge si erano accentuate dopo la strage di Capaci nella quale vennero uccisi Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta. “Paolo mi disse: ‘Mi ucciderà la mafia ma solo quando altri glielo consentiranno’
agnese-2Agnese Borsellino ha voluto affidare alle pagine di un libro i ricordi di una vita: “Ti racconterò tutte le storie che potrò”. Il libro è il risultato di una serie di interviste con il giornalista Salvo Palazzolo. Il titolo nasce da una frase pronunciata dal giudice: Lo sai perché stai con me? Perché io ti racconto la lieta novella. Io ti sollecito, ti stuzzico, ti racconto la lieta novella che sta dentro tante storie di ogni giorno. Ti racconterò tutte le storie che potrò. Così il nostro sarà un romanzo che non finirà mai, sino a quando io vivrò. La lieta novella manterrà sempre fresco il nostro amore. Perché l’amore ha bisogno di mantenersi fresco. Nel libro, anche considerazioni amarissime sui giorni successivi alla strage del 19 luglio 1992: In quei giorni – racconta la signora Agnese nel libro – ero contesa da prefetti, generali e alti esponenti delle istituzioni. Mi invitavano e mi sussurravano tante domande. Ora so perché mi facevano tutte quelle domande. Volevano capire se io sapevo, se mi aveva confidato qualcosa nei giorni che precedettero la sua morte. E allora tante parole di mio marito mi sono apparse chiare, chiarissime.
agnese borsellino

giovedì 1 maggio 2014

1 MAGGIO: Dalla strage di Portella delle Ginestre alla morte di Roberto Mancini

La Costituzione Italiana pone il tema del Lavoro ai primi quattro punti dei  Principi Fondamentali. Rileggiamo quei Principi! Comprenderemo allora perché, alla luce delle vicende storiche passate e presenti,  proprio il Lavoro in Italia sia stato usato come arma di ricatto dalle forme di potere -palesi e occulte- che dominano la storia di questo Paese. Anche contro questo, contro il ricatto del lavoro, manifestavano i contadini di quel I maggio del 1947 a Portella delle Ginestre. 
Proprio in queste ore LIBERA vuole esprimere vicinanza e affetto ai familiari di Roberto Mancini, morto ieri a causa di un tumore per aver voluto svolgere con onore, coerenza e coraggio il suo lavoro. Roberto Mancini era Sostituto Commissario di Polizia a Roma e nella seconda metà degli anni '80 aveva iniziato ad occuparsi di ecomafie e traffici illegali di rifiuti. 
Fu il primo ad accorgersi di cosa stava accadendo nella "terra dei fuochi".
la stele che ricorda la strage di Portella delle Ginestre avvenuta il 1 maggio 1947
Roberto Mancini, il poliziotto che scoprì cosa avveniva nella "terra dei fuochi"

La connivenza, la complicità, fra mala-politica e mafie è poi un corollario drammatico, scandaloso, inequivocabile, provato. Scandaloso è vedere come i comportamenti del "potere" abbiano ricalcato esattamente i principi del potere mafioso: così come i capi-mafia siciliani distribuivano  le terre ai contadini - ingiustamente, non per merito bensì per "appartenentza o contiguita", per ricatto!- così il "Potere" concede spesso il Lavoro. Da principio a fondamento di una nazione, il Lavoro è diventato merce di scambio, regalia per compensare e premiare amici e servi del potere: uno scambio che appare "ricatto"
Anche contro questo, contro il ricatto del lavoro, manifestavano i contadini di quel I maggio del 1947 a Portella delle Ginestre. 
Roberto Mancini
Roberto Mancini era Sostituto Commissario di Polizia a Roma. Nella seconda metà degli anni '80 iniziò ad occuparsi di ecomafie e traffici illegali di rifiuti. Fu il primo ad accorgersi di cosa stava accadendo nella "terra dei fuochi". Nel '95 consegnò alla procura di Napoli il risultato delle sue indagini in una nota informativa, se fosse stata presa in considerazione forse il disastro ambientale e umano che tutti conosciamo si sarebbe potuto evitare. Nella sua vita professionale Roberto si è sempre occupato di reati ambientali legati al ciclo di rifiuti. 15 anni di attività al servizio dello Stato che lo hanno esposto a gravissimi rischi. La lunga e costante esposizione con materiali tossici e scorie radioattive ha stroncato la sua volontà di consegnare alla giustizia i delinquenti che avvelenano l'ambiente e la vita delle persone. Roberto Mancini è morto ieri, 30 aprile 2014, a Perugia per un linfoma non Hodgkin contro cui ha combattuto per anni. Una "malattia professionale" per la quale lo Stato gli ha riconosciuto 5000 euro. Chiediamo alle Istituzioni che sia presto riconosciuto l'alto valore della sua missione. 
Non saremo mai abbastanza grati a Roberto Mancini per il suo prezioso lavoro al servizio della comunità, portato avanti a rischio della vita, anche accanto a Legambiente. A lui dedicheremo il prossimo Rapporto Ecomafia.