Lino Aldrovandi, papà di Federico Aldrovandi: "Non dimentichiamolo"
"Federico Aldrovandi nato a Ferrara il 17 luglio 1987, terminò forzatamente la sua breve vita ad appena diciotto anni, alle ore 06:04 di un assurdo 25 settembre 2005, sull’asfalto grigio e freddo di via Ippodromo, di fronte all’entrata dell’ippodromo, in Ferrara, in un luogo forse troppo silenzioso, ucciso senza una ragione all’alba di una domenica mattina da 4 persone con una divisa addosso.
I loro nomi: Monica Segatto, Paolo Forlani, Luca Pollastri ed Enzo Pontani.
il 25 settembre di ogni anno, giunta l’alba, si ripete quello che per me rimarrà per sempre un incubo, o peggio, il ricordo orribile dell’uccisione di un figlio da parte di chi avrebbe dovuto proteggergli la vita. Quello che non mi darà mai pace sono le urla di Federico con quelle sue parole di basta e aiuto sentite anche a centinaia di metri, ma non da quegli agenti (atti processuali). Anzi, il quarto, quello proteso in piedi a telefonare col cellulare di un collega, mentre Federico è a terra bloccato, a tempestarlo di calci (testimonianza in incidente probatorio del 16 giugno 2006). Un’immagine ai miei occhi di padre non diversa, anzi peggiore, considerandone gli autori di quel massacro (54 lesioni Federico aveva addosso, la distruzione dello scroto, buchi sulla testa e per finire il suo cuore compresso o colpito da un forte colpo gli si spezzò o meglio gli fu spezzato) rispetto ad altri casi orribili in cui la violenza l’ha fatta da padrona. Perchè?
Gli atti processuali dei tre ordini di giudizio portarono si alla condanna definitiva degli agenti (eccesso colposo in omicidio colposo con pena a 3 anni e 6 mesi, ridotta a 6 mesi per via dell’indulto), ma sono le parole “scritte dai giudici nei tre gradi di giudizio” che rimarranno lì come un macigno a rendere un poco di giustizia a “un ragazzo ucciso”, e che faranno sempre la differenza, i cui risvolti avrebbero potuto avere un epilogo di pena ben più grave nei confronti dei responsabili di un omicidio tanto assurdo quanto ingiustificato. Ricordiamocelo sempre quando si abbia a parlare di questa orribile storia, per non correre il rischio di sminuire, annullare o resettare una verità che oltre a produrre inevitabilmente tanto dolore lacerante, sopratutto in chi l’ha subita, ha comunque aperto una strada anche se difficile da percorrere, verso quei luoghi chiamati rispetto, dignità, civiltà, democrazia, legalità, umanità, partecipazione, impunità. Maggior ragione oggi non perdere di vista quelle mete. Non a caso, a volte penso volutamente, si rischia a tutti i livelli, di perdere la bussola del buon senso e della normalità. Non perdiamola."
Il processo a coloro che provocarono la morte di Federico Aldrovandi non sarebbe stato possibile senza la testimonianza decisiva di Anne Marie Tsegue, l’unica testimone oculare che ebbe il coraggio di presentarsi in procura per riferire quanto aveva visto dalla sua finestra la notte del 25 settembre 2005 quando Federico Aldrovandi moriva, ucciso mentre chiedeva aiuto. . Fu lei l’unica testimone oculare che decise di presentarsi in aula, rivivendo quegli attimi della colluttazione tra i quattro poliziotti e Federico, gli ultimi attimi di vita per il 18enne.
Anne Marie Tzegue volle testimoniare nonostante la paura che le sue parole potessero avere in qualche maniera ripercussioni sul suo permesso di soggiorno all'epoca in scadenza: “L’ho fatto perché sono mamma anch’io. Federico per me è diventato come un figlio, aveva pochi anni in più del mio bambino. Ancora oggi quando ripenso a quella notte non riesco a dormire; è difficile svegliarsi e pensare che al suo posto ci poteva essere mio figlio. Solo dopo aver parlato mi si è liberata l’anima. Da questa via non ci passo più; non posso immaginare di essere stata l’unica a vedere. Perché via Ippodromo non è una strada deserta, è viva. Solo molto tempo dopo ho saputo di essere stata l’unica ad avere il coraggio di testimoniare. Io credo che nessuna madre può tacere a vita. Se quella mattina non avessi avuto paura, se solo avessi pensato che poteva essere la fine per lui.. ma lui era lì con degli adulti che stavano facendo il loro lavoro, la polizia era già lì… . Spero almeno di aver dato una mano alla giustizia italiana e ai bambini, italiani e stranieri, i bambini non hanno colore”.
Patrizia Moretti, mamma di Federico Aldrovandi: “Sono molto felice che venga riconosciuto il coraggio di Anne Marie. Devo a lei l’esito del processo. È un esempio di coscienza civile per tutti”.
Filippo Vendemmiati, giornalista di Rai 3 è autore del documentario “È stato morto un ragazzo”.
Nel 2010 l'associazione Articolo 21 assegna un premio speciale ad Anne Marie Tzegue: “una straordinaria signora”: “Questi ospiti, le loro storie, le loro battaglie – afferma una nota di Articolo 21 -, sono il nostro orizzonte ideale, rappresentano i nostri punti di riferimento etici e politici, il comune sentire della nostra associazione che ha la sola ambizione di sostenere e valorizzare chi davvero si batte per la libertà, la dignità, la legalità e molto spesso lo fa rischiando di persona, circondato dalla diffidenza di chi ha ormai alzato bandiera bianca di fronte agli squadristi della volgarità, della intolleranza, del razzismo, della esclusione sociale”.
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