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martedì 1 maggio 2018

Primo Maggio. Festa del Lavoro: c'è davvero poco da festeggiare e ancora tanto per cui dover lottare:

Primo Maggio: Festa del Lavoro,  Primo maggio 1947: Strage di Portella delle Ginestre. 

Un filo rosso-sangue fa sì che in Italia ancora oggi sia forte il "ricatto del lavoro", tanto che c'è davvero poco da festeggiare e ancora tanto per cui dover lottare: per coloro che hanno perso il lavoro; per coloro che un lavoro non l'hanno mai avuto; per coloro che lavorano senza diritti; per coloro che sul lavoro hanno perso la vita. 


Da principio fondamentale di una nazione, in Italia il Lavoro continua ad essere merce di scambio, svilito spesso da  regole-norme-leggi che, cancellando diritti conquistati a duro prezzo, privilegiano i cosiddetti "poteri-forti" e creano forme di moderna schiavitù: da regalia per compensare e premiare amici  o "servi del potere", ad elemento-chiave che ha reso possibile l'incremento delle diseguaglianze e la conseguente accumulazione di ricchezza nelle mani di "soliti noti". 

Eppure la Costituzione Italiana pone il tema del Lavoro ai primi quattro punti dei Principi Fondamentali. Rileggiamo quei Principi e comprenderemo allora perché, alla luce delle vicende storiche passate e presenti, proprio il Lavoro in Italia sia stato usato come arma di ricatto dalle forme di potere -palesi e occulte- che dominano la storia di questo Paese.  Anche contro questo, contro il ricatto del lavoro, manifestavano i contadini di quel I maggio del 1947 a Portella delle Ginestre. 

La Strage di Portella della Ginestra, Primo maggio 1947, viene considerata il primo esempio di "strage di stato", l'inizio di quella che negli anni successivi verrà detta "strategia della tensione": spargere sangue innocente per impedire che le cose cambino, oppure per indirizzare il cambiamento nella direzione voluta da un potere oscuro e "mafioso". La connivenza, la complicità, fra mala-politica e mafie è poi un corollario drammatico, scandaloso, inequivocabile, provato. 
Scandaloso è vedere ora come alcuni comportamenti del "potere" sembrano ricalcare i principi del potere mafioso: così come i capi-mafia siciliani distribuivano  le terre ai contadini - ingiustamente, non per merito bensì per "appartenentza o contiguita", per ricatto!- così il "potere" concede spesso il Lavoro, spesso non per merito ma per indurre a complicità ad accondiscendenza.    
Da principio fondamentale di una nazione, il Lavoro è diventato merce di scambio, regalia per compensare e premiare amici e servi (del potere), regole-norme a privilegiare i cosiddetti "poteri-forti", elemento chiave che ha reso possibile da un lato l'incremento delle diseguaglianze e dall'altro l'accumulazione di ricchezza nelle mani di "soliti noti": uno scambio che appare "ricatto".
Anche contro questo, contro il ricatto del lavoro, manifestavano i contadini di quel 1° maggio del 1947 a Portella della Ginestra.

la stele che ricorda la strage di Portella delle Ginestre avvenuta il 1 maggio 1947

Le parole di Serafino Pettasopravvissuto alla strage dei contadini di Portella della Ginestra, che fece 12 morti e 27 feriti.


«Ci eravamo dati appuntamento per festeggiare il Primo maggio ma anche l’avanzata della sinistra all’ultima tornata elettorale e per manifestare contro il latifondismo. Non era neanche arrivato l’oratore quando sentimmo degli spari. Avevo 16 anni, pensavo che fossero i petardi della festa, ma alla seconda raffica ho capito. Ho cominciato a cercare mio padre, non l’ho trovato. Quello che ho visto sono i corpi distesi per terra. I primi due erano di donne: la prima morta, sua figlia incinta ferita. Questa scena ce l’ho ancora oggi negli occhi, non la posso dimenticare». A sparare fu la banda di Salvatore Giuliano, «i mandanti non si conoscono ancora ma ad armare la sua mano furono la mafia, i politici e i grandi feudatari», spiega. «Volevano farci abbassare la testa perché lottavamo contro un sistema in cui poche persone possedevano migliaia di ettari di terra e vi facevano pascolare le pecore, mentre i contadini facevano la fame. Un mese dopo successe però una cosa importante: «Tornammo qua a commemorare i morti senza paura, “Non ci fermerete”, gridavamo tutti e non ci hanno fermati. Abbiamo cominciato la lotta per la riforma agraria e nel ‘52 abbiamo ottenuto 150 assegnatari di piccoli lotti. Ma neanche loro si sono fermati, e a giugno bruciarono sedi di Cgil e partito comunista, poi nel mirino finirono anche i sindacalisti».

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