Parole, quelle recitate da Pierfrancesco Savino, che sono una voce dai tanti che non hanno più voce ma che avrebbero forse tante cose da raccontare alle vite di ciascuno, in un misto di rabbia, disperazione, solitudine che si vorrebbe rompere, speranza che si vorrebbe ricostruire. magari sentendosi più vicini e responsabili delle sorte di chi ci sta accanto e che inceve troppe volte sentiamo "estraneo, diverso, nemico".
Il testo nel monologo
Bisognerebbe stare dall’altra parte senza nessuno intorno, amico mio
quando
mi viene di dirti quello che ti devo dire,
stare
bene tipo sdraiati sull’erba, una cosa così
che
uno non si deve più muovere con l’ombra degli alberi.
Allora
ti direi: ‘qua ci sto bene, qua è casa mia, mi sdraio e ti saluto’.
Ma
qua, amico mio, è impossibile, mai visto un posto dove ti lasciano in pace e ti
salutano.
Ti
dobbiamo mandare via, ti dicono, vai là, tu vai là
vai
laggiù, leva il culo da là
e
tu ti fai la valigia, il lavoro sta da un’altra parte,
sempre
da un’altra parte che te lo devi andare a cercare,
non
c’è il tempo per sdraiarsi e per lasciarsi andare, non c’è
il
tempo per spiegarsi e dirsi ‘ti saluto’.
A
calci in culo ti manderebbero via, il lavoro sta là, sempre più lontano, fino
in Nicaragua.
Se
vuoi lavorare, ti devi spostare, mai che puoi dire ‘questa è casa mia e ti
saluto’
tanto
che io quando lascio un posto ho sempre l’impressione che quello sarà casa mia,
sempre
di più di quello in cui vado a stare.
Quando
ti prendono a calci in culo di nuovo, tu te ne vai di nuovo
là
dove te ne vai sei sempre più straniero, sempre meno a casa tua.
E
quando ti prendono a calci in culo, tu te ne vai di nuovo
quando
ti giri a guardarti indietro, amico, è sempre il deserto.
Fermiamoci
una buona volta e diciamo ‘Andate a fanculo’
io
non mi sposto più, voi mi dovete stare a sentire
se
ci sdraiamo una buona volta sull’erba e ci prendiamo tutto il tempo
che
tu racconti la tua storia, quelli venuti dal Nicaragua
che
ci diciamo che siamo tutti, più o meno stranieri
ma
che adesso basta, stiamo a sentire, tranquilli, tutto quello che ci dobbiamo
dire
allora
sì che capisci che a loro non gliene frega un cazzo di noi.
Io
mi sono fermato, ho ascoltato, mi sono detto: ‘Io non lavoro più’
finché
non ve ne frega un cazzo di me.
A
che serve che quello del Nicaragua viene fino qua e che io vado a finire laggiù
se
da tutte le parti la stessa storia.
Quando
ho lavorato ancora, ho parlato a tutti quelli presi a calci in culo che
sbarcano qua
per
trovare lavoro e loro mi sono stati a sentire.
Io
sono stato a sentire quelli del Nicaragua che mi hanno spiegato com’è da loro
Laggiù
c’è un vecchio generale, che sta tutto il giorno e tutta la notta al bordo di
una foresta
gli
portano da mangiare perché non si deve spostare
che
spara su tutto quello che si muove
gli
portano le munizioni quando non ce ne ha più.
Mi
parlavano di un generale coi suoi soldati che circondano la foresta
tutto
quello che si muove diventa un bersaglio
tutto
quello che compare al bordo della foresta
tutto
quello che notano che non c’ha lo stesso colore degli alberi
e
che non si muove allo stesso modo
Io
sono stato a sentire tutto questo e mi sono detto che da tutte le parti è la
stessa cosa
più
mi faccio prendere a calci in culo e più sarò straniero
loro
finiscono qua e io finirò laggiù
laggiù
dove tutto quello che si muove sta nascosto nelle montagne
Io
ho ascoltato tutto questo e mi sono detto: “Io non mi muovo più, se non c’è
lavoro non lavoro
se
il lavoro mi deve far diventare matto e mi devono prendere a calci in culo, io
non lavoro più
Io
voglio sdraiarmi, una buona volta, voglio spiegarmi, voglio l’erba
l’ombra
degli alberi, voglio urlare, voglio poter urlare, anche se poi mi sparano
addosso.
Tanto
è quello che fanno. Se non sei d’accordo, se apri la bocca,
ti
devi nascondere in fondo alla foresta. Ma allora meglio così
almeno
ti avrò detto quello che ti devo dire.
Nessun commento:
Posta un commento
Abbiamo deciso di non moderare i commenti ai post del blog. Vi preghiamo di firmare i commenti.