RITA ATRIA
TESTIMONE DI GIUSTIZIA
"(...) Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici; la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci. (...)".
TESTIMONE DI GIUSTIZIA
"(...) Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici; la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci. (...)".
Il contributo di Rita Atria alla lotta culturale contro le mafie è essenziale. Rita Atria comprende tutto sulla mafia perchè Rita Atria comprende "la verità" su uno degli elementi essenziali della mafie: il pensiero mafioso. E Rita Atria, grazia all'esempio di sua cognata Piera Aiello, trova il coraggio di affermarlo: "la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci".
Se abbiamo compreso questa verità occorre avere i comportamenti conseguenti a cui Rita Atria chiama. Usare "la maschera", il nome di Rita Atria, senza assumersi la responsabilità di comportamenti conseguenti alla sua semplice, radicale e definitiva comprensione del "pensiero mafioso", significa vanificare la morte, cancellando quello che Lei ci ha fatto scoprire con la sua vita, semplicemente ma radicalmente, una volta per tutte!
Perchè Rita Atria non voleva morire per diventare l'eroina da esporre sugli altari delle nostre ipocrisie.
Rita Atria -"a picciridda", così la chiamava con affetto Paolo Borsellino- voleva vivere! Rita Atria voleva vivere in un mondo differente: "(...) un altro mondo fatto di cose semplici ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo".
Il senso del nostro impegno, dell'impegno del presidio LIBERA Rita Atria Pinerolo
"(...) Quando ci chiediamo cosa
sono le mafie, la risposta più semplice, essenziale, la troviamo
“facendo memoria” delle parole scritte da Paolo Borsellino la
mattina del 19 luglio 1992, poche ore prima di essere ucciso insieme
agli agenti della sua scorta: “(…) La mafia è
essenzialmente ingiustizia.(...)”
E
poi dobbiamo
“fare memoria” di un altro “pezzo di verità”che emerge dalla
storia di una ragazzina siciliana, divenuta
testimone di giustizia
grazie all'esempio della cognata Piera
Aiello
e all'incontro prorpio col giudice Paolo Borsellino. Rita
Atria,
lei è la “ragazzina siciliana”, lascia scritta nel suo diario il
“pezzo di verità” dinanzi alla quale tutti siamo chiamati a
confrontarci: “(...) Prima di combattere la
mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver
sconfitto la mafia dentro di te, puoi combarrete la mafia che c'è
nel giro dei tuoi amici, perchè la mafia siamo noi ed il nostro modo
sbagliato di comportarsi.”
Il
“pensiero mafioso”, l'ingiustizia -piccola o grade- commessa ai danni di qualcun
altro per ottenere quello che non ci meritiamo o per trarne qualche
beneficio, è un meccanismo semplice, primitivo ma efficacissimo in
un “sistema malato” quale quello italiano, soggiogato da mafie e
corruzione; talmente efficace, quel “pensiero”, che da tempo
viene utilizzato anche da coloro che “mafiosi” in senso stretto
non sono e non possono essere definiti.
Fare memoria di Rita Atria per noi significa non tanto commemorarne la morte quanto rispondere e rendere concreto l'insegnamento della sua vita, agendo -concretamente- per liberarci, noi per primi, dal "pensiero mafioso", perche se
è vero che pochi di noi avranno la ventura di trovarsi dinanzi ad un
mafioso propriamente detto, tutti noi -quotidianamente- possiamo
invece scontrarci col “pensiero mafioso”:
attraverso una
“ingiustizia” ( più o meno grande) cercare di ottenere quello
che non ci meritiamo.(...)"
La domanda essenziale allora diventa la seguente: "Cosa cambia per una
comunità se ad usare il “pensiero mafioso” è un mafioso propriamente detto oppure uno (o un gruppo!) che persegue gli stessi obiettivi ( per ottenere ciò che non si merita!) ?
E dopo essersi posta questa domanda, occorre avere i comportamenti conseguenti a cui Rita Atria chiama! Questo il significato della vita di Rita Atria, questo l'impegno del presidio LIBERA "Rita Atria" - Pinerolo
Arturo Francesco Incurato
referente presidio LIBERA "Rita Atria" Pinerolo
"Una Storia disegnata nell'aria"
frammento tratto dal testo drammaturgico di Guido Castiglia:
26 Luglio 1992 - Roma
Quartiere Tuscolano - 33 gradi - ore 15,00
Il frullio di ali di un passero, scuote velocemente le fronde di un albero di fronte al numero 23 di viale Amelia e si alza in volo, inseguendo una traiettoria ripida, superando il tetto del palazzo.
Lassù, al settimo piano, una finestra si apre, una ragazza si affaccia.
I capelli ondulati, scuri, sciolti, ben pettinati.
La pelle chiara, gli occhi neri.
La ragazza si chiama Rita.
Al secondo piano una signora sparecchia la tavola del pranzo. Piccole cose, dettagli.
Alle spalle della ragazza le stanze sono spoglie, neanche l’ombra di un oggetto familiare sui mobili, di una collana appoggiata momentaneamente su un tavolino, nessuna maglietta dimenticata su una sedia.
Solo scatoloni da trasloco pronti ad essere svuotati, pieni di vestiti e di pochi oggetti.
Quella ragazza è abituata ai traslochi improvvisi, ma questa volta quei vestiti, ha deciso di lasciarli sul fondo delle scatole.
Ha deciso che uscirà così, indossando il pigiama di seta rosa con le righe bianche, leggero, estivo.
Si è preparata, si è pettinata, si è truccata, ora è pronta.…
Rita si arrampica sulla finestra.
Vuole provare a riempire quel suo corpo di vento.
Vuole abbandonare la sua vita nelle scatole alle sue spalle per riscriverla nel vento.
Con un gesto abituale si sistema i capelli… e si lascia cadere.
Rita Atria
Rita Atria è nata il 4 settembre 1974 a Partanna, in provincia di Trapani, figlia di Vito Atria, un boss della mafia locale. Rita ha solo 17 anni quando, dopo l’uccisione del padre e del fratello Nicola, nel novembre del 1991 decide di seguire l’esempio della cognata, Piera Aiello, denunciando i segreti che le erano stati confidati dallo stesso Nicola.
Nasce così il particolare rapporto di fiducia col Procuratore della Repubblica di Marsala, il giudicePaolo Borsellino il quale, per Piera e Rita, diventerà lo “zio Paolo”. Sarà Paolo Borsellino a far trasferire Rita e Piera Aiello a Roma, sotto falsa identità, per meglio proteggerle dalla vendetta dalle cosche.
Il giorno dopo la strage di via D'Amelio, Rita scrive nel suo diario nel diario le parole che costituiscono il suo testamento spirituale, parole che da allora -come abbiamo spesso detto- si impongono alla riflessione di ognuno: "(…)Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita …Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici; la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci. Borsellino sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta. "
Nonostante l'affetto e la vicinanza di Piera Aiello, con Paolo Borsellino muore anche “la speranza" del cambiamento possibile che Rita Atria aveva riposto nel giudice. "Un'altra delle mie stelle è volata via., me l'hanno strappata dal cuore". Queste sono le parole che Rita confiderà singhiozzando a Piera, dopo aver appreso della morte del giudice e degli agenti della sua scorta, le parole riportate dal Piera Aiello nel suo libro "Maledetta mafia"
Sabato 25 luglio 1992. Rita aveva deciso di restare a Roma e non seguire Piera Aiello che ha bisogno di andare in Sicilia: tornare per rivedere la madre e cercare di attenuare in qualche modo l'angoscia della morte dello "zio paolo". All'aereoporto, improvvisamente, Rita dice a Piera: "Io non parto". E ritorna nella casa di Via Amelia, nel quartiere Tuscolano.
Domenica 26 luglio 1992, la domenica successiva alla strage di via D'Amelio.
In quel pomeriggio Rita lascia cadere la speranza, l'ultima, nel vento.Sabato 25 luglio 1992. Rita aveva deciso di restare a Roma e non seguire Piera Aiello che ha bisogno di andare in Sicilia: tornare per rivedere la madre e cercare di attenuare in qualche modo l'angoscia della morte dello "zio paolo". All'aereoporto, improvvisamente, Rita dice a Piera: "Io non parto". E ritorna nella casa di Via Amelia, nel quartiere Tuscolano.
Domenica 26 luglio 1992, la domenica successiva alla strage di via D'Amelio.
Tema di maturità di Rita Atria
Titolo
"La morte del giudice Falcone ripropone in termini drammatici il problema della mafia. Il candidato esprima le sue idee sul fenomeno e sui possibili rimedi per eliminare tale piaga".
Svolgimento
"La morte di una qualsiasi altra persona sarebbe apparsa scontata davanti ai nostri occhi, saremmo rimasti quasi impassibili davanti a quel fenomeno naturale che è la morte del giudice Falcone, per chi aveva riposto in lui fiducia, speranza, la speranza di un mondo nuovo, pulito, onesto, era un esempio di grandissimo coraggio, un esempio da seguire. Con lui è morta l'immagine dell'uomo che combatteva con armi lecite contro chi ti colpisce alle spalle, ti pugnala e ne è fiero.
Mi chiedo per quanto tempo ancora si parlerà della sua morte, forse un mese, un anno, ma in tutto questo tempo solo pochi avranno la forza di continuare a lottare. Giudici, magistrati, collaboratori della giustizia, pentiti di mafia, oggi più che mai hanno paura, perché sentono dentro di essi che nessuno potrà proteggerli, nessuno se parlano troppo potrà salvarli da qualcosa che chiamano mafia.
Mi chiedo per quanto tempo ancora si parlerà della sua morte, forse un mese, un anno, ma in tutto questo tempo solo pochi avranno la forza di continuare a lottare. Giudici, magistrati, collaboratori della giustizia, pentiti di mafia, oggi più che mai hanno paura, perché sentono dentro di essi che nessuno potrà proteggerli, nessuno se parlano troppo potrà salvarli da qualcosa che chiamano mafia.
Ma in verità dovranno proteggersi unicamente dai loro amici: onorevoli, avvocati, magistrati, uomini e donne che agli occhi altrui hanno un'immagine di alto prestigio sociale e che mai nessuno riuscirà a smascherare. Ascoltiamo, vediamo, facciamo ciò che ci comandano, alcuni per soldi, altri per paura, magari perché tuo padre volgarmente parlando è un boss e tu come lui sarai il capo di una grande organizzazione, il capo di uomini che basterà che tu schiocchi un dito e faranno ciò che vorrai.
Ti serviranno, ti aiuteranno a fare soldi senza tener conto di nulla e di niente, non esiste in loro cuore, e tanto meno anima. La loro vera madre è la mafia, un modo di essere comprensibile a pochi. Ecco, con la morte di Falcone quegli uomini ci hanno voluto dire che loro vinceranno sempre, che sono i più forti, che hanno il potere di uccidere chiunque. Un segnale che è arrivato frastornante e pauroso.
I primi effetti si stanno facendo vedere immediatamente, i primi pentiti ritireranno le loro dichiarazioni, c'e chi ha paura come Contorno, che accusa la giustizia di dargli poca protezione. Ma cosa possono fare ministri, polizia, carabinieri? Se domandi protezione, te la danno, ma ti accorgi che non hanno mezzi per rassicurare la tua incolumità, manca personale, mancano macchine blindate, mancano le leggi che ti assicurino che nessuno scoprirà dove sei. Non possono darti un'altra identità, scappi dalla mafia che ha tutto ciò che vuole, per rifugiarti nella giustizia che non ha le armi per lottare.
I primi effetti si stanno facendo vedere immediatamente, i primi pentiti ritireranno le loro dichiarazioni, c'e chi ha paura come Contorno, che accusa la giustizia di dargli poca protezione. Ma cosa possono fare ministri, polizia, carabinieri? Se domandi protezione, te la danno, ma ti accorgi che non hanno mezzi per rassicurare la tua incolumità, manca personale, mancano macchine blindate, mancano le leggi che ti assicurino che nessuno scoprirà dove sei. Non possono darti un'altra identità, scappi dalla mafia che ha tutto ciò che vuole, per rifugiarti nella giustizia che non ha le armi per lottare.
L'unica speranza è non arrendersi mai. Finché giudici come Falcone, Paolo Borsellino e tanti come loro vivranno, non bisogna arrendersi mai, e la giustizia e la verità vivrà contro tutto e tutti. L'unico sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi che vivono tra la mafia che al di fuori c'è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore.
Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo.
Rita Atria
Erice 5 giugno 1992
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