Vito Teti |
Il "j'accuse" di Vito Teti?
Vito Teti, ancora una volta, si rivolge anzitutto ai calabresi; a quei calabresi che "(..) non possono tacere, non possono assistere silenziosi non solo a questo degrado, ma anche alle spiegazioni che ne vengono date, ma che spesso sono stati considerati traditori e calunniatori della loro terra."
Il "j'accuse" di Vito Teti
all’indomani di quanto avvenuto in occasione della funzione religiosa che si svolgeva ad Oppido Mamertino, fatti aggravati dal comportamento censurabile del parroco del paese don Benedetto Rustico
Ma le parole di Vito Teti sono rivolte anche a "tutti noi": agli italiani che non possono più considerare colpevoli solamente "gli altri". Anche noi, in altri luoghi, in altre situazioni, assistiamo -consapevoli o inconsapevoli- "ad inchini" di natura simile di quello fatto durante la processione religiosa di Oppido ( l'inchino "al potere") ma di forma differente.
Ma le parole di Vito Teti sono rivolte anche a "tutti noi": agli italiani che non possono più considerare colpevoli solamente "gli altri". Anche noi, in altri luoghi, in altre situazioni, assistiamo -consapevoli o inconsapevoli- "ad inchini" di natura simile di quello fatto durante la processione religiosa di Oppido ( l'inchino "al potere") ma di forma differente.
Tutta la Calabria è come Oppido Mamertina
la processione della Madonna delle Grazie a Oppido Mamertina |
“Per dare speranza alla regione bisogna partire da questa scomoda verità.C’è una cappa mediatica e un’opa identitaria angusta sulla Calabria. Te
ne accorgi quando vai fuori, in Italia e all’estero, e provi un senso di
sollievo, misto ad amarezza, nel non leggere (su carta o su tanti siti web)
commenti, riflessioni, retoriche identitarie che affossano la nostra regione,
ne annullano il senso critico, un vero e problematico, sofferto, sentimento
dell’appartenenza, incoraggiano alla lamentela, al rivendicazionismo
immotivato, al rifiuto di ogni assunzione di responsabilità.
C’è un cerchio che non è nemmeno magico – non esistono leader autorevoli o progetti consapevoli cui legarsi –
ma è soltanto una prigione, una
trappola, un sotterraneo senza uscita. È fatto da commentatori, studiosi, giornalisti che, più o meno in buona fede,
più o meno consapevolmente, più o meno legati tra di loro, si fanno portavoce di una “calabresità” pelosa. Siamo in presenza
delle piccole vedette dell’identità proclamata, risentita, rancorosa, reattiva,
mai propositiva, per qualcosa.
La calabresità pelosa
Provo a riassumere, in maniera riduttiva e schematica, le “tesi”
che mi capita leggere su giornali, riviste, siti, facebook – che ormai stancano
e sono anche illeggibili, nella loro ripetitività, nella loro inconsistenza
analitica, nella loro incapacità di sguardo prospettico e di alimentare
speranza a partire dal sé e non da quello che dicono gli altri. Cosa sostengono i portavoce dell’identità
assediata?
1) La Calabria è oggetto di
attacchi, incomprensioni, calunnie esterne e questo spiega la sua
“arretratezza”, la sua marginalità.
2) Il problema della Calabria non è la ‘ndrangheta, non è la
malapolitica, non sono i calabresi, ma sono
gli altri, la stampa del Nord, chi non comprende una regione bella e ricca,
accogliente ed ospitale.
3) La ‘ndrangheta del passato aveva dei valori popolari ed era
anche risposta all’aggressione dei colonizzatori esterni.
4) La ‘ndrangheta è una continuazione del brigantaggio ed esprimeva
anche i sentimenti di giustizia delle popolazioni.
5) Tutti i guai della Calabria e del Sud cominciano con l’unificazione
nazionale: prima c’era l’Eden, lo “sviluppo”, la primitività genuina,
adesso tutto è stato corrotto dagli
altri, dai forestieri, dai nemici esterni.
La colpa…
Come se la Calabria e il Sud non avesse partecipato, con i suoi ceti
politici e dirigenti, al degrado, all’avvelenamento, alla corruzione del Sud e
dell’intero paese.
Come se scempi urbanistici, mancanza di tutela del territorio, incuria e incompiutezze, macerie e degradi non
avessero visto come protagonisti interessati quanti poi piangono per la
sfortunata e incompresa regione.
Potrei continuare a segnalare revisionismi localistici, letture infondate, asserzioni
indimostrabili, affermazioni superficiali. Potrei ricordare come queste versioni tendono, di fatto, a
legittimare la ’ndrangheta, a dare sempre alibi a “noi” contro gli altri, a occultare scempi e devastazioni compiute
dai calabresi.
La colpa è degli altri; la
salvezza è all’indietro, nel buon tempo antico; noi calabresi siamo quasi
“geneticamente” (razzismo alla rovescia) buoni, accoglienti e ospitali e siamo
stati rovinati dagli altri: i piemontesi, lo Stato, il Nord, i partiti
nazionali. La colpa non è della
‘ndrangheta, della politica clientelare, dei professionisti collusi, organici,
capi clan, di gente asservita e che non si indigna. No, la colpa è assegnata a
chi non ci comprende, a chi segnala le malefatte dei locali, a chi denuncia
quotidianamente le ombre e le responsabilità delle popolazioni.
…e I traditori!
Giudici, studiosi, giornalisti seri che amano questa terra, ma non
possono tacere, non possono assistere silenziosi non solo a questo degrado, ma
anche alle spiegazioni che ne vengono date,
spesso sono stati considerati traditori e calunniatori della loro terra,
alla quale hanno dedicato, magari, una vita e, spesso, la vita.
Il bersaglio dichiarato di molti commentatori è a volte la retorica
dell’antimafia. Ora che l’antimafia abbia partorito anche interessi, spazi
di potere, collocazione e visibilità poco edificanti, è sotto gli occhi di
tutti. Ma ridurre l’opposizione vera
alla criminalità sempre e comunque come un gioco di potere complementare alla
delinquenza, diventa ingeneroso, calunnioso, pericoloso per quei giovani
che non vogliono tacere, per magistrati e forze dell’ordine che sono in prima
linea nel contrasto alla criminalità, per intellettuali, professionisti, gente
comune che vivono nel rispetto delle regole, onestamente, e sono in prima linea
nella difesa della legalità.
“Il garantismo”
La parolina magica che accomuna tanti “maestri del pensiero”, notisti,
fondisti è “garantismo” come se il garantismo possa diventare uno slogan,
un invito ad assolvere i criminali e i loro sodali e sostenitori, e non una
pratica democratica, una conquista civile e illuminata, valida sempre e per
tutti. E invece i predicatori del
garantismo sono garantisti con i giudici indagati e condannati, mai con i
magistrati che contrastano il crimine, rischiando la vita, quotidianamente.
Il garantismo è per quella Chiesa perdonista e predicatoria e non per quei
parroci coraggiosi e veri che contrastano, nei fatti, non solo a parole, la
criminalità e invitano alla legalità. Il
garantismo è per gli imprenditori che rubano il danaro pubblico, sciupano i
fondi europei, si arricchiscono nel giro di pochi mesi e mai per i giovani
senza lavoro e che perdono il lavoro.
Il garantismo è sempre per i carnefici, mai per le vittime. Le
garanzie vengono invocate, anche giustamente, per ogni cittadino, ma ci sono
cittadini più degli altri. Se qualcuno ha commesso un reato, può stare più
tranquillo di chi lo ha subito.
Quale Chiesa?
Adesso – dopo silenzi e omissioni della Chiesa – la presa di posizione
e le parole profonde e vere del Papa mostrano che il Re è nudo, che non
basta coprirlo con piccoli pannicelli sporchi, con commenti che ubbidiscono a
interessi più o meno palesi, o semplicemente a bisogno di visibilità, al gioco
di spararla grossa, ad analisi in cui si sostiene tutto e il contrario di
tutto, a commenti nei quali, in maniera schizofrenica, si passa
dall’indignazione parolaia estrema all’autoassoluzione più vergognosa.
Adesso quanto accade ad Oppido – ma c’era bisogno di Oppido? Non bastavano i fatti di Sant’Onofrio e
Polsi, le analisi e le descrizioni, pure di Sales, Saviano, Gratteri, Nicaso, Ciconte, Albanese, Baldassarro, Comito e tanti altri? – ci dice quanto radicate siano l’assuefazione, l’apatia, la confusione.
C’era bisogno della voce di papa Bergoglio per fare capire come non sia
possibile più nascondersi, ammiccare, giocare con revisionismi, informare in
maniera tendenziosa, cedere alla lamentela. Credo che in molti dovrebbero almeno tacersi ed evitare, adesso, di dirci quanto ha ragione Papa Francesco e anche
fare finta di stupirsi per Oppido.
Tutta la Calabria è una grande Oppido
Tutta la Calabria, senza per questo dimenticarne bellezze e grandezza,
generosità e slanci, è, purtroppo, in maniera diversa, una grande Oppido. Da qui bisogna partire, da questa
dolente constatazione, da questa scomoda verità, se si vuole dare, davvero, speranza a questa terra.
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