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giovedì 9 maggio 2013

"Sai contare?... E allora conta e cammina!

"Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà... 
Felicia Impastato, la mamma, e la foto di Peppino

... All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore ". Peppino Impastato

Peppino non si arrese mai, nè all'omertà nè alla rassegnazione. 
"Sai contare? E allora conta e cammina!"

Sono passati 35 anni dalla notte del 9 maggio 1978, la notte in cui Peppino Impastato venne ucciso, fatto a pezzi dalla "montagna di merda". 
Ma il suo invito risuona ancora. Oggi più che mai, l'invito di Peppino Impastato a difendere la Bellezza è diventato l'imperativo per chi vuole cambiare le sorti di questo paese, un paese devastato nella sua Bellezza così come nella sua Etica. Ma la storia di Peppino Impastato e di mamma Felicia non è morta. La storia di Peppino, così come altre storie, continueranno a camminare con le nostre gambe se avremo il coraggio "di cambiare". 



fonte: La Repubblica

Ma il "caso Impastato" non è chiuso

S'indaga ancora, dopo trentacinque anni. Su depistaggi, carte sparite, testimoni scomparsi. Quello che sembrava un esemplare delitto di mafia, forse nasconde qualche altro movente e qualche altro mandante. Il "caso Impastato" non è chiuso, destinato per sempre agli archivi. Ci sono troppo indizi che raccontano un'altra storia sull'uccisione di Peppino.
Basta cominciare da ciò che abbiamo sempre avuto sotto gli occhi: la scena del crimine. I binari, il "terrorista" steso in mezzo al sua sangue e ai frammenti della sua bomba. Quando avevano ucciso così i boss, in Sicilia? Mai. La scena del crimine  -  decisamente inconsueta per un omicidio di mafia  -  a rivederla anche dopo tanto tempo sembra più un'"operazione" di tipo militare che una vendetta di Cosa Nostra. 
E poi l'inchiesta contraffatta, fin dalle prime battute, per sostenere la tesi dell'attentato finito male. Una sentenza scritta in fretta: Peppino Impastato "morto sul lavoro", mentre metteva bombe. L'hanno "suicidato" tutti già quella notte il ragazzo di Cinisi. Tutti. Magistrati. Carabinieri. Testi mendaci. Un inquinamento investigativo così imponente (e sincronizzato) che non sembra giustificare  -  ora come allora - la copertura di un mafioso così importante come era Tano Badalamenti, il re della droga, un bovaro diventato ricco come un creso con l'eroina mandata in America.
Come è finita, si sa: don Tano è stato condannato all'ergastolo per l'uccisione di Peppino Impastato moltissimi anni dopo. Ma forse, forse è stata fatta giustizia solo a metà. Forse in quel delitto di Cinisi, fra la notte dell'8 e del 9 maggio 1978, si può scorgere adesso una di quelle "convergenze di interessi" fra Cosa Nostra e altri poteri che hanno segnato tante altre vicende siciliane. S'indaga ancora su Peppino, dopo trentacinque anni.






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