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mercoledì 21 novembre 2012

Quando la crisi uccide la speranza


Leggi Marco Aurelio: "Di ogni singola cosa chiediti che cos'è in se, qual'è la sua natura..."

Lo abbiamo capito: quando parliamo della battaglia non-violenta alle mafie, quando parliamo di "antimafia", parliamo essenzialmente della "guerra" che, a partire dalle prime cooperative siciliane nate alla fine dell'Ottocento, è stata combattuta per la conquista del Lavoro:  il lavoro vero e onesto che permette di liberarsi dal ricatto degli uomini delle mafie. 

Il lavoro è il mezzo attraverso il quale si conferisce dignità e libertà alla nostra vita. 


Fonte: La Stampa

Non trova un lavoro

Si uccide a cinquant’anni


La moglie: nessuno lo voleva L’uomo, Massimo P., ha telefonato alla moglie al lavoro alle 11 e alle 14,30 ha impugnato la pistola che teneva in casa

Era disoccupato da gennaio, si è sparato alla tempia
MASSIMO NUMA
«Ci faremo sentire noi, grazie e arrivederci». Poi, «Il curriculum va benissimo, lei è proprio adatto al tipo di lavoro che noi offriamo;  unico problema l’età....». Stanco di queste risposte, stanco di camminare da un’agenzia interinale all’altra, stanco di ritornare a casa dalla moglie, che almeno un lavoro l’ha ancora, con la solita faccia di chi non riesce a risolvere il problema, lo stesso da mesi, esattamente da gennaio, quando era scaduto - senza rinnovo - l’ultimo contratto di lavoro. 

Il problema è quello di essere un precario, un disoccupato senza speranza. Abbastanza giovane per assumere ancora un incarico di responsabilità, ma ormai inesorabilmente tagliato fuori dal mondo del lavoro, in preda a una crisi che non accenna a risolversi. Così Massimo P., 50 anni, un’ex guardia giurata, residente in corso Brunelleschi, ieri alle 14,30, ha impugnato la pistola regolarmente denunciata, e s’è sparato un colpo alla testa. Morto sul colpo. Fine della sofferenza.  

L’ultima telefonata con la moglie, ieri mattina alle 11. Niente che lasciasse trapelare le sue intenzioni. Una coppia con una vita serena alle spalle, senza figli. «Era molto triste in questo periodo, proprio per la mancanza di lavoro, ma non prendeva nè farmaci, nè aveva mai dato segni di un esaurimento nervoso», ha detto la moglie alla polizia. E’ lei che, tornando a casa, ha scoperto il corpo. Il marito non ha lasciato alcun biglietto. «Da gennaio era rimasto definitivamente a casa, inutili tutti i suoi tentativi di trovare un’occupazione, di qualsiasi tipo, anche diversa dalla sua. Niente. Aveva collezionato solo delusioni». 
Un dolore profondo vissuto con dignità, senza mai abbandonare il rispetto per se stesso e gli altri. Quella lunga teoria di porte chiuse, di lunghe attese in uffici anonimi, con il vestito buono per fare bella figura, sempre in ordine, gli avevano scavato l’anima.  

Guardarsi allo specchio, ogni mattina, e chiedersi perchè svegliarsi e ritrovarsi prigioniero di un incubo, ad aspettare invano una telefonata; aprire il computer, scrutare la casella delle mail ingombre solo di spam. Ripercorrere per mille volte gli anni passati, quando i colleghi, i capi, lo stimavano per le sue qualità, per tutte quelle volte che si era trovato a risolvere situazioni difficili e delicate. E la sua onestà, che nel curriculum non si può indicare, come un inutile optional, valore zero. 

«Non riusciva più ad avere un impiego che non fosse a tempo, che durasse non più di qualche mese, a volte tre mesi, e poi di nuovo a casa, ad aspettare», spiega ancora la sua compagna, rimasta sola, con i ricordi felici di pochi anni fa, quando erano una coppia con i conti in ordine, con la possibilità di andare in vacanza, di dare un senso alla fatica quotidiana. Restano le foto di un mondo che non c’è più, con i suoi riti che sino a ieri sembravano immutabili.  

Gli agenti del 113 hanno ricostruito la storia, la Scientifica ha concluso l’intervento solo a tarda sera. Solo atti burocratici e una scarna relazione di servizio, eguale o simile ormai a tante altre, in questo periodo.  

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