Fonte: La Stampa
Trattativa tra Stato e mafia, indagato l'ex ministro della Giustizia Conso
Inchiesta dei pm di Palermo,
l’ex Guardasigilli nel mirino
per false informazioni: «Sono
curioso di conoscere le accuse»
PALERMO
L’11 novembre del 2010, davanti alla commissione Antimafia, a sorpresa, tirò fuori una notizia passata praticamente sotto silenzio per anni: tra novembre del 1993 e gennaio dell’anno dopo, quando ancora rimbombavano gli echi delle stragi mafiose, a oltre 300 uomini d’onore venne revocato il carcere duro.
«Io e solo io, in solitudine, presi la decisione nella convinzione che in questo modo si sarebbero fermate le stragi», rivelò in sostanza l’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso ai commissari che lo ascoltavano a palazzo San Macuto. Un’assunzione di paternità non richiesta, quella del novantunenne ex Guardasigilli, a cui i pm di Palermo che indagano sulla trattativa tra Stato e mafia non hanno mai creduto. Tanto che, dopo averlo interrogato più volte e dopo avere acquisito documenti che proverebbero l’esistenza di un disegno politico volto a fare concessioni alle cosche sul 41 bis, hanno deciso di iscriverlo nel registro degli indagati per false informazioni al pubblico ministero.
In via Arenula da febbraio del ’93 ad aprile del ’94, Conso è il terzo ex ministro a essere coinvolto nell’indagine che si appresta a una svolta imminente: è atteso per le prossime ore il deposito dell’avviso di conclusione che dovrebbe essere notificato a una decina di persone. Nel registro degli indagati, infatti, oltre ai boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Antonino Cinà e Giovanni Brusca e a tre esponenti del Ros, i generali Mario Mori, Antonio Subranni e all’ex capitano Giuseppe De Donno, al senatore del Pdl Marcello dell’Utri e a Massimo Ciancimino, sono stati iscritti l’ex ministro del’Interno Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza, e l’ex ministro per il Mezzogiorno Calogero Mannino, al quale i pm hanno contestato il reato di violenza o minaccia a Corpo politico dello Stato. L’inchiesta a carico di Conso - lo impone il codice penale - resterà ferma fino alla definizione in primo grado del processo principale, quello sulla trattativa, appunto.
Ma a smentire l’ex Guardasigilli e a confermare l’ipotesi della procura che vede proprio nell’alleggerimento del 41 bis uno degli argomenti che furono oggetto della trattativa Stato-mafia c’è un documento. Una nota riservata che porta la firma dell’ex capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Adalberto Capriotti, risalente al 26 giugno ’93, sei mesi prima che Conso facesse scadere 140 provvedimenti di carcere duro e non ne rinnovasse altri 200. Nel documento indirizzato in via Arenula il capo del dap annunciava al ministro della Giustizia l’imminente scadenza di 373 provvedimenti di 41 bis per altrettanti detenuti di «media pericolosità», applicati nel ’92 dal Dap. E suggeriva al Guardasigilli di farli scadere per dare un segnale «positivo di distensione». Non solo, in un secondo punto si proponeva di ridurre del 10% i provvedimenti di carcere duro relativi ai mafiosi pericolosi. Il documento, subito ritenuto dai pm di straordinaria rilevanza, cozza con la versione sempre ribadita da Conso che più che «solitario» ideatore di un segnale di distensione lanciato alle cosche, sarebbe, per i pm, uno dei protagonisti della trattativa portata avanti dallo Stato.
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