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lunedì 21 ottobre 2024

VAGNONE – PREVISIONE INIZIO LAVORI - PREOCCUPAZIONE PER IL DESTINO DELLE CICOGNE

Come gruppo "Associazione Rita Atria Pinerolo, continuiamo ad occuparci di gestione del territorio poiché, a nostro parere, questo può rappresentare un indicatore utile a individuare gli scopi, gli indirizzi,  il “progetto generale” che guida e determina il carattere di una amministrazione locale. Non solo: avere cura e amore per i territori è un primo fondamentale strumento per opporsi a mafie e al "pensiero mafioso" (fare di tutto per ottenere quel che non si merita). 

Continua pertanto la battaglia culturale che vede il Coordinamento Associazioni Pinerolesi (C.A.P.) impegnato  a difesa delle cicogne, della ciminiera, dello storico opificio Vagnone, della storia architettonica-urbanistica di Pinerolo: la tutela del patrimonio storico, architettonico e urbanistico della nostra città è salvaguardia della identità stessa della nostra comunità. 

"Quale cultura esprime una amministrazione, una comunità, che permette la distruzione di un nido di cicogne, di una ciminiera, di uno storico opificio, per costruire il 17° supermercato pinerolese?" A chi giova?

 Un progetto sbagliato, in un luogo non appropriato! 

 VAGNONE – PREVISIONE INIZIO LAVORI

PREOCCUPAZIONE PER IL DESTINO DELLE CICOGNE



Pare che sia imminente l’inizio dei lavori per la costruzione dell’ennesimo supermercato sull’area dell’ex setificio Vagnone, con buona pace della tutela del commercio di prossimità, della viabilità locale e, non ultimo, della coppia di cicogne che da oltre vent’anni abita la storica ciminiera al centro del sito interessato dai lavori. Permanendo la contrarietà dello scrivente Coordinamento a tale intervento di demolizione di un pezzo significativo del patrimonio storico-industriale della Città di Pinerolo, contrarietà condivisa peraltro da buona parte della cittadinanza attiva di Pinerolo, chiediamo che siano confermatati gli interventi compensativi a seguito della demolizione della ciminiera con conseguente eliminazione del soprastante nido abitato dalla coppia di cicogne.
Ricordiamo che il Comune di Pinerolo aveva previsto obbligatoriamente, a carico dei costruttori, la costruzione di un posatoio per il nido delle cicogne sul territorio, a compensazione dell’abbattimento della ciminiera.
L’’inizialmente prevista localizzazione al parco della Pace era stata poi scartata a seguito di accertata inidoneità del sito, prevedendo quindi, in accordo con i costruttori, la realizzazione del posatoio all’interno del perimetro dell’area ex Vagnone stessa. 
Di questa previsione il Coordinamento chiede conferma, chiedendo anche di conoscere la cronologia dei lavori previsti, auspicando che la costruzione del nuovo posatoio avvenga prima della demolizione della ciminiera, per consentire il trasferimento dell’attuale nido sul posatoio stesso, come promesso dai costruttori in vari incontri con gli enti pubblici ed il Coordinamento delle Associazioni Pinerolesi.
Coordinamento delle Associazioni Pinerolesi.






lunedì 7 ottobre 2024

COMUNICATO STAMPA DI PINO MASCIARI - 6 OTTOBRE 2024

Dopo le eclatanti,  chiare e inusuali dichiarazioni di eminenti esponenti delle forze dell'ordine e della magistratura piemontesi circa la presenza tossica delle mafie nella nostra regione, in particolare della 'ndrangheta calabrese; dopo aver appreso la situazione di pericolo in cui  continua a trovarsi il testimone di giustizia Pino Masciari e la sua famiglia, (qui la sua storia) l'apparente "cecità" che si continua a palesare ci pare inaccettabile (qui le considerazioni di Pino Masciari.:"Cosa non si fa per il potere")

LE RIVELAZIONI DI UN COLLABORATORE DI GIUSTIZIA CONFERMANO I DISEGNI DI VENDETTA NEI CONFRONTI DELL’IMPRENDITORE E TESTIMONE DI GIUSTIZIA PINO MASCIARI.


"Ho dovuto rendere pubblica l’interezza dei messaggi dei quali sono stato destinatario nello scorso dicembre. Sono stato contattato via “Messenger” da una persona che si è poi rivelata essere Andrea Mantella, il quale mi ha circostanziato precisamente i disegni di vendetta orditi nei miei confronti nel 2004: “(…)le dico che nelle Serre vibonesi nell'anno 2004 soggetti dei così detti viperari avevano intenzioni di vendetta nei suoi riguardi chiedendo ausilio ad una feroce cosca di Sant'Onofrio ai tempi mia alleata.” E poi, ancora adesso (dicembre 2023), ha continuato sottolineando l’attualità del rischio, avendo l’accortezza di raccomandarmi di non abbassare mai la guardia, perchè “la 'ndrangheta non dimentica. La vendetta da costoro è solo una questione di tempo! (…)Il tempo non cancella assolutamente questa loro sete di vendicarsi. Purtroppo testimoni e collaboratori di giustizia non c'è mai un periodo che può stare tranquillo senza rischio. Noi siamo dei predestinati (…) Addirittura dopo tantissimi anni. Ecco, qual è la nostra triste realtà.. il futuro??????? Pieno di punti interrogativi. La tutela, è un bene primario è uno strumento per salvarsi dalla morte. Non andrebbe mai tolta..! Purtroppo non sempre è così..! Anzi si va di male in peggio. Mi perdoni se mi permetto, lei questo lo dovrà sottolineare anche a costo di incatenarsi davanti all'scp Via dell' Arte (…) faccia tesoro dei miei input(…) ”. 

Ho tenuto il riserbo sull’identità dell’interlocutore finché è stato possibile. Mi sono rivolto a tutti, in via formale, in prima persona e attraverso i miei legali. Ho scritto a tutte le Istituzioni competenti per chiedere, visto l’allarme che derivava dal contenuto di quei messaggi, un innalzamento di attenzione nei miei confronti, con un altrettanto adeguato livello di protezione. Ma ho ricevuto solo risposte evasive, nei rari casi in cui ci sono state. 

Non posso stare tranquillo, perchè chi mi ha parlato è una fonte ritenuta attendibilissima dalla Magistratura, ma anche dalla ‘ndrangheta, considerato quanto emerso pure nell’ultima operazione “Factotum”. Se la ‘ndrangheta si è data molto da fare per screditare le rivelazioni di Mantella, al punto da inviare dal Piemonte persone a rendere falsa testimonianza per raggiungere lo scopo, vuol dire che Mantella sa e le sue affermazioni sono difficilmente confutabili.

Il significato chiaro, essenziale, che emerge dal contenuto di quei messaggi è l’attualità del rischio, ancora oggi, oltre che l’impossibilità di prevederne la fine, perchè prima o poi la vendetta arriverà. Chi ne sarà responsabile? Tutti coloro che sapevano, avevano la possibilità di intervenire, avevano ruolo e strumenti per prevenire e agire per evitare il peggio e hanno dolosamente omesso di farlo."

Pino Masciari 



                     Siamo chiamati a non essere "complici", codardi, cretini"

Come gruppo "Associazione Rita Atria Pinerolo"chiediamo ancora una volta  una presa di posizione anche da parte dell'amministrazione pinerolese a sostegno della vita di un nostro concittadino e della sua famiglia; nostro concittadino che, fra i pochi in Italia, ha denunciato la ‘ndrangheta e le sue collusioni sinanco col mondo delle istituzioni e della politica. 

Come gruppo "Associazione Rita Atria Pinerolo" abbiamo sempre pensato che il conferimento della cittadinanza onoraria ad un testimone di Giustizia quale Pino Masciari costituisse anzitutto un impegno assunto da parte delle stesse comunità: rendere riconoscibili, e riconosciuti dalle comunità, i principi incarnati dalla storia di Pino Masciari.
Alle amministrazioni si chiede di mettere in atto  pratiche e politiche concrete volte a impedire  le condizioni che favoriscono l'infiltrazione e la presenza delle organizzazioni mafiose nel tessuto sociale, economico e produttivo, di una comunità. 
Ricordiamo che il primo baluardo contro le mafie è considerato la nostra stessa Carta Costituzionale perchè proprio nei suoi Principi Fondamentali si ritrovano gli stimoli e le indicazioni a cui debbono fare riferimento comunità e amministrazioni che vogliano impegnarsi responsabilmente contro le mafie ( e contro il "pensiero mafioso"): la difesa della dignità dell’uomo, il diritto al lavoro, allo studio, alla salute; la difesa del territorio-paesaggio, della sua memoria e della sua cultura; la trasparenza amministrativa e la partecipazione della comunità all'elaborazione di politiche  lungimiranti, eque e sostenibili.

Quanto sia lungo il cammino ancora da compiere per costruire “anticorpi” efficaci che pongano le comunità al riparo dalle lusinghe devastanti delle mafie lo dimostra la storia di Pino Masciari e della sua famiglia. 
A questo ci richiama la storia di Pino Masciari, imprenditore calabrese, testimone di Giustizia, anche cittadino di Pinerolo.

giovedì 23 maggio 2024

GIOVANNI FALCONE, FRANCESCA MORVILLO, ANTONIO MONTINARO, ROCCO DICILLO, VITO SCHIFANI - 23 maggio 1992 - ore 17:57:48 - Capaci - 32 anni senza verità, senza giustizia.

Giovanni Falcone:"Gli uomini passano , le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini".

Oggi più che allora questa Italia ha bisogno di persone oneste che agognino il sogno Paolo Borsellino: "(...) il fresco profumo di libertà che si contrappone al puzzo del compromesso morale dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità". Resta la memoria e l'insegnamento di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino, dei tanti che hanno sacrificato la loro vita per gli ideali Giustizia, Verità e Libertà. 

Invitiamo a riflettere su quell'avvenimento che, insieme alla Strage di Via D'amelio,  segnò il culmine di una stagione di sangue nella quale, per mezzo dei mafiosi, si compie un drammatico disegno di "conservazione" nel nostro Paese. 
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non sono stati uccisi "solo" dai mafiosi; Falcone e Borsellino sono uccisi da "menti raffinatissime" alle quali ancora oggi non è stato dato volto. Uccisi perché l'Italia continuasse ad essere un Paese "medioevale": un Paese in cui mafie, cricche, caste e cosche continuano a dominare. 

Ma con ancora maggior forza che nel passato, in questi giorni giunge l'appello accorato dei magistrati impegnati concretamente contro mafie e "pensiero mafioso",associazioni, cittadini, sindacati,  affinché cessi l'ipocrisia di tante cerimonie Anche noi conosciamo e riconosciamo coloro che anche oggi indosseranno le "maschere pittate a lutto"gli ipocriti, gli opportunisti, "le maschere" della "docile antimafia" descritta da Attilio Bolzoni nel suo libro "Il padrino dell'antimafia"; coloro che hanno fatto "mercato" di quelle vite sacrificate e offerte per servire l'ideale di Giustizia in un paese che,troppo spesso, appare ancora "irredimibile". 

Il Presidente Mattarella: "Fu un attacco alla democrazia italiana. I tentativi di inquinamento della società civile sono sempre in agguato"

In memoria di GIOVANNI FALCONE, FRANCESCA MORVILLO, ANTONIO MONTINARO, ROCCO DICILLO, VITO SCHIFANI, siamo ancora a chiedere Giustizia e Verità!


                              Per Loro chiediamo Verità e Giustizia

Nella fotografia, la Croma bianca su cui viaggiavano Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e Giuseppe Costanza, l'agente che avrebbe dovuto guidare l'auto di Falcone e che sopravvisse alla strage. A pochi metri la croma azzurra sulla quale viaggaivano gli altri tre agenti di scorta che rimarranno solo feriti dall'esplosione: Angelo Corbo, Gaspare Cervello, Paolo Capuzza.
In questa immagine i resti della Croma marrone su cui morirono, dilaniati dall'esplosione che li investì in pieno, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. 
Il nome in codice della scorta era "Quarto Savona Quindici"

 Per AMORE
GIOVANNI FALCONE, FRANCESCA MORVILLO, ANTONIO MONTINARO, ROCCO DICILLO, VITO SCHIFANI, vivono nelle parole pronunciate da Paolo Borsellino la sera del 23 giugno 1992 , ad un mese dalla strage di Capaci:
Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua sorte. Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte. Non poteva ignorare, e non ignorava, Giovanni Falcone, l’estremo pericolo che egli correva perché troppe vite di suoi compagni di lavoro e di suoi amici sono state stroncate sullo stesso percorso che egli si imponeva. 
Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? 
Per amore! 
La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato, che tanto non gli piaceva. 
Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli siamo stati accanto in questa meravigliosa avventura, amore verso Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria a cui essa appartiene.(...)"

mercoledì 22 maggio 2024

"LA MAFIA SIAMO NOI"

In occasione della Giornata della Legalità, in memoria delle Vittime Innocenti delle mafie, il Comune di Piscina invita ad una serata di riflessione dal titolo significativo: "Perché la mafia siamo noi". La dichiarazione "coraggiosa" contenuta nel titolo della serata è tratta da quanto Rita Atria, testimone di giustizia, scrive nel suo diario poco dopo l'uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta.


Il gruppo "INSIEME PER IL FUTURO" proporrà alcune letture per "fare memoria" di donne che hanno avuto il coraggio di opporsi alle mafie offrendo il loro impegno nelle comunità, nelle scuole, chiamando a responsabilità anche le istituzioni:fra queste, Rita Atria, Saveria Antiochia...

Il gruppo "Associazione Rita Atria - Pinerolo" offrirà invece una riflessione  sulla vera natura delle mafie e sulla loro presenza in "casa nostra",  in Piemonte. L'Operazione "Minotauro", portata a termine dalleforze dell'ordine nel 2011 ed il successivo processo giudiziario, hanno mostrato infatti quale sia la quantità e la qualità delle mafie in Piemonte e quali le contiguità inaccettabili palesatesi fra mafie e "pezzi" della politica, dell'imprenditoria, delle comunità piemontesi. Le parole pronunciate da Giancarlo Caselli, allora procuratore di Torino, sono chiare: "(…) La mafia c'è perché c'è mercato per i suoi servizi. Vedremo che ci sono tante persone che traggono vantaggi dall'esistenza della mafia. Persone che non hanno nessun interesse a denunziare nulla, persone, politici amministratori(...)"

Perché la mafia siamo noi?

Anche su  questo si riflettera' nella serata in cui si farà memoria del sacrificio dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e delle Vittime Innocenti delle mafie.



giovedì 9 maggio 2024

Aldo Moro e Peppino Impastato uccisi nella stessa "notte buia dello stato italiano"

Una data lega l'assassinio di due uomini: Aldo Moro e Peppino Impastato: il primo ucciso per mano delle Brigate Rosse, il secondo ucciso da Cosa Nostra. 

Aldo Moro e Peppino Impastato uccisi nella stessa "notte buia dello stato italiano", alle prime ore del 9 maggio 1978.

E da tempo ripetiamo che In Italia la ragnatela del potere lega vicende  e trame di cui ancora oggi non siamo stati capaci di definire pienamente i contorni: morti innocenti, delitti oscuri, perpetrati da mani a cui abbiamo dato il nome di mafie, bande, terroristi, servizi segreti deviati, golpisti. Delitti e stragi commessi pensando che, in Italia, potesse servire spargere sangue innocente: per seminare paure e insicurezza per annientare persone, idee e valori, per impedire o indirizzare cambiamenti. 
Oggi il "potere" ha imparato ad usare metodi differenti, più adatti al momento storico che viviamo, tanto che quotidianamente scopriamo che mafie e "pensiero mafioso", corruzione e mala-politica, sono fattori potenti e presenti come non mai, tanto da essere diventati "il cancro" che mina presente e futuro di questo Paese. 
Facciamo nostre le parole di Alessia Candido: "Peppino Impastato era un rivoluzionario, un militante, un comunista senza "se, ma, forse". Uno che aveva capito che combattere le mafie significa combattere il sistema economico, politico e di potere di cui sono architrave. Significa lottare contro le speculazioni edilizie, gli ostinati latifondi, contro le mega-opere inutili che a forza di varianti diventano sempiterni bancomat (...)"



"La mafia è una montagna di merda"
Non siamo in grado di parlare della figura di Aldo Moro e ce ne scusiamo. Quale potesse essere il contributo che come uomo, prima ancora che come statista, avrebbe potuto lasciare all'Italia, lo mostra la sua ultima lettera indirizzata alla moglie Noretta:
«Mia dolcissima Noretta, credo di essere giunto all’estremo delle mie possibilità e di essere sul punto di chiudere questa mia esperienza umana. Ho tentato di tutto.
Credo di tornare a voi in un’altra forma. Ci rivedremo. Ci ritroveremo. Ci riameremo.
A Te devo dire grazie, infinite grazie, per tutto l’amore che mi hai dato.
Ricordati che sei stata la cosa più importante della mia vita.
Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli. 
A ciascuno la mia immensa tenerezza che passa per le tue mani.
Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile.
Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo.
Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo».

Qualcosa vorremmo dire invece di Peppino Impastato ."La mafia è una montagna di merda!" Sarebbe necessario trovare ancora oggi il coraggio di gridarlo a certe "facce", a chi si è abituato a quelle facce e al puzzo della "montagna di merda", al puzzo del compromesso morale, della convenienza , ai tanti misteri che soffocano la Giustizia di questo paese, misteri custoditi dal sigillo del Potere.
O ci basterà la vuota retorica della commemorazione, del ricordo? Ce la faremo bastare, quella retorica vuota, per giustificare la "legalità sostenibileche abbiamo costruita a nostra misura affinchè non ci faccia troppo male e non ci costringa troppo? Oppure cominceremo davvero a "fare memoria", ad avere il coraggio e la coerenza necessarie affinché le cose accadute non abbiano più a ripetersi, affinché si metta in atto l'insegnamento di coloro che, come in un triste rosario, continuiamo a snocciolarne nomi, date di nascita e di morte prematura?
Che non siano state morti inutili.

Due testimoniane a memoria di Peppino Impastato

Salvo Vitale, amico fraterno di Peppino Impastato (fonte Antimafiaduemila)"(...)sembra ieri. Che cosa rende Peppino sempre attuale e degno di interesse? Indubbiamente la sua giovane età: è morto a 30 anni e quindi non ha avuto il tempo di invecchiare o di lasciare invecchiare le sue idee e tutto ciò in cui credeva. Altro elemento che lo rende vivo e presente è la radicalità delle sue scelte, il rifiuto del compromesso, la scelta senza discussioni delle proprie idee come base per costruire una società nuova e quindi la contestazione delle strutture autoritarie della società borghese, dalla chiesa, alla famiglia, alla scuola, alle istituzioni in genere. E poi la sua attualità è nella scelta degli strumenti di comunicazione, ultimo dei quali la Radio. Peppino progettava un’informazione veramente libera, non soggetta a censure, formativa e informativa dove la notizia era la narrazione del vissuto che ci circonda, dei drammi quotidiani dell’esistenza e non le vicende dei personaggi importanti, l’ufficialità dell’avvenimento, l’informazione istituzionalizzata. Peppino era un giornalista purosangue, anche se non ha mai avuto il tesserino, anzi gli è stato dato ad honorem nel 1996, così come, sempre, nello stesso anno, la laurea. In questo contesto assume particolare importanza la satira e il dileggio di atteggiamenti, di idee, di manovre, di speculazioni, che “le persone che contano” ritengono intoccabili e sacrosante e di cui giornalmente si nutrono. In prima fila, tra queste persone, mafiosi e politici, ma anche preti, medici, avvocati, affaristi, in pratica quella che una volta si definiva “classe dominante”.
Una delle canzoni da lui preferite era “Vecchia piccola borghesia”, di Claudio Lolli, “Vecchia piccola borghesia, per piccina che tu sia, non so dirti se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia”. Dall’altro lato della barricata c’erano le persone più deboli e indifese, i lavoratori, gli edili, i contadini di Punta Raisi, gli stagionali di Città del mare, i disoccupati, i pescatori di Terrasini, coloro a cui Peppino aveva dedicato la vita e per i quali sognava di costruire una società diversa, dove tutti fossero uguali e senza privilegi. 
E’ chiaro che una persona del genere che voleva cambiare il contesto sociale in cui era nato e che tutti invece accettavano, non poteva che essere considerata scomoda e, alla fine, la sua morte ha rappresentato una sorta di liberazione. Ma naturalmente resta il fascino delle sue idee, ed è per questo che ogni anno ci si ricorda del suo barbaro omicidio, del tentativo di depistaggio che voleva farlo passare per un attentato terroristico, dell’impegno della famiglia e dei compagni per ottenere giustizia e verità e della lunga strada durata 22 anni, prima di riuscirci. 
Nel vuoto culturale che ci circonda Peppino è sempre un punto di riferimento".

Alessia Candito, giornalista de La Repubblica: "Peppino Impastato era un rivoluzionario, un militante, un comunista senza "se, ma, forse". Uno che aveva capito che combattere le mafie significa combattere il sistema economico, politico e di potere di cui sono architrave. Significa lottare contro le speculazioni edilizie, gli ostinati latifondi, contro le mega-opere inutili che a forza di varianti diventano sempiterni bancomat come la terza pista dell’aeroporto di Cinisi, contro gli impasti massonico-mafiosi che permettono il perpetuarsi del sistema. Peppino era uno che aveva capito che la lotta alla mafia è lotta per i diritti di tutti contro i privilegi di pochi, per questo organizzava le lotte dei manovali contro i caporali, quelle dei braccianti e dei coloni contro il barone e padrone di turno.
Oggi i latifondi ci sono ancora, l'A3 è diventata A2 ma continua a far mangiare i clan, si torna a parlare di ponte sullo Stretto e Peppino Impastato è diventato "quello di Radio Aut".
La memoria o è vera, reale e completa o rimane esercizio buono per comodissime passerelle. "Cuntra mafia e putiri, c'è sulu rivoluzioni"

mercoledì 1 maggio 2024

Primo Maggio: Festa del Lavoro - Primo maggio 1947: Strage di Portella delle Ginestre.

Primo Maggio: Festa del Lavoro,  Primo maggio 1947: Strage di Portella delle Ginestre. 

Un filo rosso-sangue fa sì che in Italia ancora oggi sia forte il "ricatto del lavoro", tanto che c'è davvero poco da festeggiare e ancora tanto per cui dover lottare: per coloro che hanno perso il lavoro; per coloro che un lavoro non l'hanno mai avuto; per coloro che lavorano senza diritti; per coloro che sul lavoro perdono la vita. 


la stele che ricorda la strage di Portella delle Ginestre avvenuta il 1 maggio 1947
 


Il presidente Mattarella: "Mille morti sul lavoro in un anno rappresentano una tragedia inimmaginabile. Ciascuna di esse è inaccettabile.E' ben noto che il lavoro è una delle leve più importanti di progresso, di coesione sociale. Per le famiglie italiane ha c ostituito il vettore principale del miglioramento sociale nei decenni trascorsi". 

Nei primi quattro mesi del 2024 sono stati già più di 350 le vittime del Lavoro in Italia: uno scandalo che non provoca indignazione



La Strage di Portella della Ginestra, Primo maggio 1947, viene considerata la prima "strage di stato", l'inizio di quella che negli anni successivi verrà detta "strategia della tensione": spargere sangue innocente per impedire che le cose cambino, oppure per indirizzare il cambiamento nella direzione voluta da un potere oscuro e "mafioso". La connivenza, la complicità, fra mala-politica e mafie è poi un corollario drammatico, scandaloso, inequivocabile, provato. 
Scandaloso è vedere come alcuni comportamenti del "potere" sembrano ricalcare i principi del potere mafioso: così come i capi-mafia siciliani distribuivano  le terre ai contadini (non per merito bensì per "appartenenza,fedeltà o contiguità", per ricatto!) così il "potere" concede spesso il Lavoro: incarichi, nomine, accreditamenti, distribuiti secondo "familismi amorali" oppure a  premiare "indicibili meriti".  
Da principio fondamentale di una nazione, il Lavoro è diventato merce di scambio, regalia per compensare e premiare amici e servi del potere, costruendo nel contempo regole-norme a privilegiare i cosiddetti "poteri-forti": elemento chiave che ha reso possibile da un lato l'incremento delle diseguaglianze e dall'altro l'accumulazione di ricchezza nelle mani di "soliti noti": uno scambio che fortifica  "il ricatto del Lavoro".
Anche contro questo, contro il ricatto del lavoro, manifestavano i contadini di quel 1° maggio del 1947 a Portella della Ginestra.


Le parole di Serafino Pettasopravvissuto alla strage dei contadini di Portella della Ginestra, che fece 12 morti e 27 feriti.

«Ci eravamo dati appuntamento per festeggiare il Primo maggio ma anche l’avanzata della sinistra all’ultima tornata elettorale e per manifestare contro il latifondismo. Non era neanche arrivato l’oratore quando sentimmo degli spari. Avevo 16 anni, pensavo che fossero i petardi della festa, ma alla seconda raffica ho capito. Ho cominciato a cercare mio padre, non l’ho trovato. Quello che ho visto sono i corpi distesi per terra. I primi due erano di donne: la prima morta, sua figlia incinta ferita. Questa scena ce l’ho ancora oggi negli occhi, non la posso dimenticare». A sparare fu la banda di Salvatore Giuliano, «i mandanti non si conoscono ancora ma ad armare la sua mano furono la mafia, i politici e i grandi feudatari», spiega. «Volevano farci abbassare la testa perché lottavamo contro un sistema in cui poche persone possedevano migliaia di ettari di terra e vi facevano pascolare le pecore, mentre i contadini facevano la fame. Un mese dopo successe però una cosa importante: «Tornammo qua a commemorare i morti senza paura, “Non ci fermerete”, gridavamo tutti e non ci hanno fermati. Abbiamo cominciato la lotta per la riforma agraria e nel ‘52 abbiamo ottenuto 150 assegnatari di piccoli lotti. Ma neanche loro si sono fermati, e a giugno bruciarono sedi di Cgil e partito comunista, poi nel mirino finirono anche i sindacalisti».

mercoledì 24 aprile 2024

LIBERAZIONE è FRUTTO della RESISTENZA - "PER DIGNITA' NON PER ODIO"

  LIBERAZIONE è FRUTTO della RESISTENZA 

"PER DIGNITA' NON PER ODIO"

Piero Calamandrei: "(...) Vittoria contro noi stessi: aver ritrovato dentro noi stessi la dignità dell’uomo. Questo fu il significato morale della Resistenza: questa fu la fiamma miracolosa della Resistenza. Aver riscoperto la dignità dell’uomo, e la universale indivisibilità di essa: questa scoperta della indivisibilità della libertà e della pace, per cui la lotta di un popolo per la sua liberazione è insieme lotta per la liberazione di tutti i popoli dalla schiavitù del denaro e del terrore, questo sentimento della uguaglianza morale di ogni creatura umana, qualunque sia la sua nazione o la sua religione o il colore della sua pelle, questo è l’apporto più prezioso e più fecondo di cui ci ha arricchito la Resistenza. (...)".
(Ibrano è tratto da Passato e avvenire della Resistenza, discorso tenuto da Piero Calamandrei il 28 febbraio 1954 al Teatro Lirico di Milano, alla presenza di Ferruccio Parri.) 


Riportiamo il testo integrale del monologo di Antonio Scurati sul 25 aprile che lo scrittore avrebbe dovuto leggere  nella trasmissione  “Che sarà” e censurato dai dirigenti Rai:

Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924.

Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.

Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.

In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944.

Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. 

Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia?

Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023).

Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola, Antifascismo, non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.”

Antonio Scurati