RITA ATRIA
TESTIMONE DI GIUSTIZIA
"(...) Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici; la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci. (...)".
Il contributo di Rita
Atria alla lotta culturale contro le mafie è essenziale perché Rita
Atria aiuta a comprende "la verità" su uno dei drammi che
segnano ancora oggi la storia del nostro paese.
Quando ci chiediamo
cosa sono le mafie la risposta più semplice, essenziale, la
troviamo “facendo memoria” delle parole scritte da Paolo
Borsellino la mattina del 19 luglio 1992, rispondendo alla
lettera che gli era giunta da parte di una preside, poche ore prima
di essere ucciso insieme agli agenti della sua scorta: “(…) La
mafia è essenzialmente ingiustizia.(...)”
Ma provando a
rispondere a quella domanda (cos'è la mafia?) dobbiamo “fare
memoria” di un altro “pezzo di verità” che emerge proprio
dalla storia di questa ragazzina siciliana, divenuta testimone
di giustizia grazie all'esempio della cognata Piera
Aiello e dal loro incontro col giudice Paolo Borsellino.
Nelle ore che seguirono la strage di Via D'Amelio, la morte dello
“zio Paolo”, Rita Atria scrive nel suo diario il “pezzo di
verità” dinanzi alla quale tutti siamo chiamati a
confrontarci: “(...) Prima
di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi,
dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia
che c'è nel giro dei tuoi amici, perché la mafia siamo noi ed il
nostro modo sbagliato di comportarsi.”
Ma l'insegnamento di
Rita Atria è strettamente legato alla “presa di coscienza” e alla
volontà di cambiamento che la sua stessa vita esprimono. Lo avevamo
scritto sette anni or sono quando avevamo scelto di dedicare il nostro
impegno alla sua figura: pur
essendo nata in una famiglia mafiosa, Rita Atria scelse di
denunciare per tentare di “cambiare” il mondo nel quale era nata
e che la soffocava (….) Il valore del messaggio contenuto nelle
parole di Rita Atria, la sua figura di “giovane donna”, ci paiono
anche rispecchiare la speranza di cambiamento che leghiamo all'immagine della componente femminile della nostra società,
della donna.
Volendo sostenere la prova di maturità nel luglio del 1992, poche
settimane dopo la strage di Capaci, Rita dimostra di essere una
ragazza-donna forte, presente e partecipe del momento storico che
vive,nonostante i drammi della sua vita personale. Le sue riflessioni
sulle conseguenze immediate che l'uccisione di Giovanni Falcone potrà
produrre nella lotta alle mafie sono analisi lucide e profonde: le
ritrattazioni, le misure necessarie per sostenere coloro che
vorrebbero denunciare i mafiosi; la debolezza organizzativa e di
mezzi che palesa lo stato italiano nella lotta alle mafie. E poi,
sempre nel suo tema di maturità, l'appello, le parole rivolte ai
ragazzi e alle ragazze che, come lei, vivevano in “famiglie
mafiose”: (...) L'unico
sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi che
vivono tra la mafia che al di fuori c'è un altro mondo fatto di cose
semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò
che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o
perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore.
Forse un mondo
onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se
ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo".
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Piera Aiello |
Rita
vive la sua vita con coraggio e forza, rivolgendo sempre lo sguardo fuori da sé; vive sino all'ultima speranza, speranza riposta nella vita stessa dell'uomo in cui Lei stessa e l'Italia onesta si riconoscevano: Paolo Borsellino. Ma
Rita Atria continua a vivere accanto alle tante vite di tanti, primi
fra tutto lo “zio Paolo”, Paolo Borsellino, e Giovani Falcone.
Piera Aiello è stata eletta deputata nelle ultime elezioni politiche e siede nel Parlamento Italiano: dopo lunghi anni di anonimato, vissuti sotto protezione in una località segreta, sotto, ha potuto riavere il suo vero nome, mostrare finalmente il suo volto (leggi qui)
“(...)
la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi.”
Il nostro modo
sbagliato di comportarci, l'ottenere quello che non ci meritiamo,
costituisce quello che noi del presidio LIBERA “Rita Atria”
Pinerolo abbiamo definito come “pensiero mafioso”:
l'ingiustizia piccola o grande commessa ai danni di qualcun altro per
per trarne qualche beneficio immeritato. Si tratta di un meccanismo
semplice, primitivo ma efficacissimo in un “sistema malato” quale
quello italiano, soggiogato da mafie e corruzione. Talmente efficace,
quel “pensiero”, che da tempo viene utilizzato anche da coloro
che “mafiosi” in senso stretto non sono e non possono essere
definiti.
Fare memoria di Rita
Atria per noi del presidio LIBERA “Rita Atria” Pinerolo non
significa commemorare la morte della ragazzina siciliana quanto
rispondere e rendere concreto l'insegnamento della sua
vita, agendo per liberarci, noi per primi, dal
"pensiero mafioso", cercando poi di riconoscerlo e
contrastarlo negli atti della vita quotidiana. Perche, come diciamo
spesso, se è vero che pochi di noi avranno la ventura di trovarsi
dinanzi ad un mafioso propriamente detto, tutti noi -quotidianamente-
ci scontriamo col “pensiero mafioso”.
La domanda
essenziale, la traccia che lega i momenti e gli atti del nostro
impegno diviene pertanto la seguente: "Come provare ad essere
“sentinelle”, contro mafie e pensiero mafioso, nella nostra
comunità? Cosa cambia per una comunità se ad usare il “pensiero
mafioso” è un mafioso propriamente detto oppure uno (o un gruppo!)
che persegue gli stessi obiettivi, per ottenere ciò che non si
merita?
Questo, a nostro
parere, il significato della vita di Rita Atria, questo l'impegno del
presidio LIBERA "Rita Atria" Pinerolo
Rita Atria
Il giorno dopo la strage di via D'Amelio, Rita scrive nel suo diario nel diario le parole che costituiscono il suo testamento spirituale, parole che da allora -come abbiamo spesso detto- si impongono alla riflessione di ognuno: "(…)Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita …Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici; la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci. Borsellino sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta. "
Nonostante l'affetto e la vicinanza di Piera Aiello, con Paolo Borsellino muore anche “la speranza" del cambiamento possibile che Rita Atria aveva riposto nel giudice. "Un'altra delle mie stelle è volata via., me l'hanno strappata dal cuore". Queste sono le parole che Rita confiderà singhiozzando a Piera, dopo aver appreso della morte del giudice e degli agenti della sua scorta, le parole riportate dal Piera Aiello nel suo libro "Maledetta mafia"
Sabato 25 luglio 1992. Rita aveva deciso di restare a Roma e non seguire Piera Aiello che ha bisogno di andare in Sicilia: tornare per rivedere la madre e cercare di attenuare in qualche modo l'angoscia della morte dello "zio paolo". All'aeroporto, improvvisamente, Rita dice a Piera: "Io non parto". E ritorna nella casa di Via Amelia, nel quartiere Tuscolano.
Domenica 26 luglio 1992, la domenica successiva alla strage di via D'Amelio. In quel pomeriggio Rita si lascia cadere, lascia cadere l'ultima speranza, dal balcone dell'appartamento di Via Amelia regalando per sempre la sua vita a noi.
Tema di maturità di Rita Atria
Titolo
"La morte del giudice Falcone ripropone in termini drammatici il problema della mafia. Il candidato esprima le sue idee sul fenomeno e sui possibili rimedi per eliminare tale piaga".
Svolgimento
"La morte di una qualsiasi altra persona sarebbe apparsa scontata davanti ai nostri occhi, saremmo rimasti quasi impassibili davanti a quel fenomeno naturale che è la morte del giudice Falcone, per chi aveva riposto in lui fiducia, speranza, la speranza di un mondo nuovo, pulito, onesto, era un esempio di grandissimo coraggio, un esempio da seguire. Con lui è morta l'immagine dell'uomo che combatteva con armi lecite contro chi ti colpisce alle spalle, ti pugnala e ne è fiero.
Mi chiedo per quanto tempo ancora si parlerà della sua morte, forse un mese, un anno, ma in tutto questo tempo solo pochi avranno la forza di continuare a lottare. Giudici, magistrati, collaboratori della giustizia, pentiti di mafia, oggi più che mai hanno paura, perché sentono dentro di essi che nessuno potrà proteggerli, nessuno se parlano troppo potrà salvarli da qualcosa che chiamano mafia.
Ma in verità dovranno proteggersi unicamente dai loro amici: onorevoli, avvocati, magistrati, uomini e donne che agli occhi altrui hanno un'immagine di alto prestigio sociale e che mai nessuno riuscirà a smascherare. Ascoltiamo, vediamo, facciamo ciò che ci comandano, alcuni per soldi, altri per paura, magari perché tuo padre volgarmente parlando è un boss e tu come lui sarai il capo di una grande organizzazione, il capo di uomini che basterà che tu schiocchi un dito e faranno ciò che vorrai.
Ti serviranno, ti aiuteranno a fare soldi senza tener conto di nulla e di niente, non esiste in loro cuore, e tanto meno anima. La loro vera madre è la mafia, un modo di essere comprensibile a pochi. Ecco, con la morte di Falcone quegli uomini ci hanno voluto dire che loro vinceranno sempre, che sono i più forti, che hanno il potere di uccidere chiunque. Un segnale che è arrivato frastornante e pauroso.
I primi effetti si stanno facendo vedere immediatamente, i primi pentiti ritireranno le loro dichiarazioni, c'e chi ha paura come Contorno, che accusa la giustizia di dargli poca protezione. Ma cosa possono fare ministri, polizia, carabinieri? Se domandi protezione, te la danno, ma ti accorgi che non hanno mezzi per rassicurare la tua incolumità, manca personale, mancano macchine blindate, mancano le leggi che ti assicurino che nessuno scoprirà dove sei. Non possono darti un'altra identità, scappi dalla mafia che ha tutto ciò che vuole, per rifugiarti nella giustizia che non ha le armi per lottare.
L'unica speranza è non arrendersi mai. Finché giudici come Falcone, Paolo Borsellino e tanti come loro vivranno, non bisogna arrendersi mai, e la giustizia e la verità vivrà contro tutto e tutti. L'unico sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi che vivono tra la mafia che al di fuori c'è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore.
Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo.
Rita Atria
Erice 5 giugno 1992