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sabato 23 maggio 2015

Capaci. 23 maggio 1992. ore 17.56'.48": GIOVANNI FALCONE, FRANCESCA MORVILLO, ANTONIO MONTINARO, ROCCO DICILLO, VITO SCHIVANI

"Gli uomini passano , le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini." Giovanni Falcone.


Chiediamo Verità e Giustizia

E noi cosa possiamo fare? Grazie ai ragazzi dell'Officina Pinerolese che hanno organizzato l'incontro, insieme a Giancarlo Caselli e ad Elvio Fassone abbiamo  eri sera abbiamo riflettuto partendo propio dalle parole di Giovanni Falcone. 
le parole di Giancarlo Caselli: "La strada giusta è vivere il presente con radicalità. Radicalità significa rifiutare il compromesso e non cedere ai modelli che sembrano vincenti, significa avere il coraggio di denunziare e di non lasciare soli chi denuncia. Vuol dire anche uscire dal proprio recinto e riconoscersi nelle questioni sociali, far politica nel senso proprio del termine. Questo comporta il non cercare la via più breve e la scorciatoia, ma immettersi in strade spesso non ancora battute."

"Gli uomini passano , le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini." Giovanni Falcone.

giovedì 21 maggio 2015

Mafia, antimafia e società civile. Una riflessione in memoria di Giovanni Falcone, Francesca MorvilloRocco Di Cillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani

"Gli uomini passano , le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini." Giovanni Falcone
 Sono trascorsi 23 anni da quel 23 Maggio a Capaci, quando l'ordigno nascosto dalla mafia sotto il manto dell'autostrada, su commissione di potenti mandanti rimasti ancora nell'ombra, spense la vita di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo, degli agenti di scorta Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani. Vogliamo ricordare quella data, quei volti e quelle storie attraverso le tante iniziative organizzate nel Paese. 
Occore, oggi come sempre,  fare memoria: conocesce, comprendere cosa è avvenuto, cosa si cela dietro gli avvenimenti, e impegnarsi affinchè quelle cose non abbiano più a ripetersi.

Venerdì 22 maggio 2015, vigilia dell'anniversario della Strage di Capaci,   grazie alle ragazze e ai ragazzi dell'Officina Pinerolese, riflettiamo insieme a Giancarlo Caselli  ed Elvio Fassone
Pinerolo, 22 maggio 2015,  ore 21.00 
Auditorium "Vittime della mafia" del Liceo "M. Curie"  - Via De Rochis n. 12




mercoledì 20 maggio 2015

Riflettiamo sul tema dei migranti: conoscere, comprendere , accogliere

Invitiamo a riflettere sul tema dei migranti alla luce di tre parole: "conoscere, comprendere e accogliere”. La richiesta di Giustizia che muove coloro che fuggono da guerre, presecuzioni e povertà -lontane e vicine- investe l'intera Umanità. Quella richiesta di Giustizia chiama tutti noi alla responsabilità di metteere al primo posto quel principio essenziale, la GIUSTIZIA, affinche si creino condizioni di DIGNITA' e LIBERTA' per tutti.

Pinerolo, 21 maggio 2015, ore 21.00 presso l'Auditorium Baralis, via Marro n. 4
 "CORSI E RICORSI DELLA STORIA: IL VIAGGIO DALLA FUGA ALL’ACCOGLIENZA



La persecuzione e l’esilio dei Valdesi di ieri e la fuga dei migranti di oggi dalle guerre civili e da una realtà priva di diritti e di libertà: la Storia non ci ha ancora insegnato a rispettare “la diversità” e la persona nel suo essere fedele ai propri ideali e valori.
Assistiamo ancora oggi alla prevaricazione dell’uomo contro i suoi simili e all’annullamento di ogni forma di dignità umana, in particolare in quei Paesi dove non esiste la democrazia.
La nostra unica arma, per non continuare a perseverare con errori e orrori del passato, è “conoscere, comprendere e accogliere”.
Gli alunni della classe I TURISTICO dell’Istituto PORRO di Pinerolo e quelli della III Media dell’ISTITUTO COMPRENSIVO PIOSSASCO 2, presenteranno il loro viaggio verso la conoscenza di queste realtà, attraverso l’uso di immagini, fonti storiche e testimonianze orali, mirate all’acquisizione e alla condivisione di valori e principi come l’accoglienza, il diritto, la libertà, il rispetto del ”diverso”.

martedì 19 maggio 2015

La Scuola Italiana: da Piero Calamandrei a Maurizio Lupi

Il Governo italiano sta per varare l'ennesima riforma della scuola. Vogliamo confrontare le parole ed i concetti espressi da un ex ministro ancora figura di rilievo della politica italiana, Maurizio Lupi, con quelle di colui che viene considerato uno dei padri della Repubblica, Piero Calamandrei.
Quale sia il grado di civiltà etica e  civile espressa dalle due posizioni è giudizio che si affida alle coscienze di ognuno e alla Storia

Fonte AGI:
Maurizio Lupi, ex ministro:  "Finalmente la vera parita’ scolastica (AGI)
Grande soddisfazione” viene espressa da Maurizio Lupi, capogruppo di Area popolare alla Camera, per l’approvazione dell’articolo del disegno di legge sulla Buona Scuola che riconosce la detrazione dalla dichiarazione dei redditi di una parte della retta pagata dalle famiglie i cui figli frequentano le scuole paritarie. “Il riconoscimento sul piano fiscale afferma in modo definitivo il principio di un sistema pubblico a cui partecipano con uguale dignità scuole gestite dallo Stato e scuole gestite da soggetti privati. Con il voto della Camera oggi – prosegue Lupi – si è forse messa la parola fine a un conflitto ideologico ormai fuori dalla realtà di tutti i principali Paesi occidentali ma i cui rimasugli si sono visti oggi in Aula, prova ne sia il voto contrario, con le trite motivazioni sulla “svendita dell’educazione ai privati” e alle “scuole dei ricchi”, insieme a Sel e ai Cinque Stelle, di ben 36 deputati della sinistra del Partito democratico”.







Piero Calamandrei si esprimeva invece così nel febbraio 1950, nel suo discorso in difesa della Scuola nazionale pubblica.

"(...) Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito.
Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? 
Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c’è un’altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime. 
Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito?
(...) Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private.
Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna di­scutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: (1) ve l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni.
 (2) Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. 
(3) Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico! Quest’ultimo è il metodo più pericoloso. È la fase più pericolosa di tutta l’operazione(...)"
 
Testo integrale del discorso di Piero Calamandrei  
[Pubblicato in Scuola democratica, periodico di battaglia per una nuova scuola, Roma, iv, suppl. al n. 2 del 20 marzo 1950, pp. 1-5]
Cari colleghi,
Noi siamo qui insegnanti di tutti gli ordini di scuole, dalle elementari alle università […]. Siamo qui riuniti in questo convegno che si intitola alla Difesa della scuola. Perché difendiamo la scuola? Forse la scuola è in pericolo? Qual è la scuola che noi difendiamo? Qual è il pericolo che incombe sulla scuola che noi difendiamo? Può venire subito in mente che noi siamo riuniti per difendere la scuola laica. Ed è anche un po’ vero ed è stato detto stamane. Ma non è tutto qui, c’è qualche cosa di più alto. Questa nostra riunione non si deve immiserire in una polemica fra clericali ed anticlericali. Senza dire, poi, che si difende quello che abbiamo. Ora, siete proprio sicuri che in Italia noi abbiamo la scuola laica? Che si possa difendere la scuola laica come se ci fosse, dopo l’art. 7? Ma lasciamo fare, andiamo oltre. Difendiamo la scuola democratica: la scuola che corrisponde a quella Costituzione democratica che ci siamo voluti dare; la scuola che è in funzione di questa Costituzione, che può essere strumento, perché questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà […].
La scuola, come la vedo io, è un organo “costituzionale”. Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola “l’ordinamento dello Stato”, sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l’organismo costituzionale e l’organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell’organismo umano hanno la funzione di creare il sangue […].
La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall’afflusso verso l’alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l’alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società […].
A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità. Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali.
Vedete, questa immagine è consacrata in un articolo della Costituzione, sia pure con una formula meno immaginosa. È l’art. 34, in cui è detto: “La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Questo è l’articolo più importante della nostra Costituzione. Bisogna rendersi conto del valore politico e sociale di questo articolo. Seminarium rei pubblicae, dicevano i latini del matrimonio. Noi potremmo dirlo della scuola: seminarium rei pubblicae: la scuola elabora i migliori per la rinnovazione continua, quotidiana della classe dirigente. Ora, se questa è la funzione costituzionale della scuola nella nostra Repubblica, domandiamoci: com’è costruito questo strumento? Quali sono i suoi principi fondamentali? Prima di tutto, scuola di Stato. Lo Stato deve costituire le sue scuole. Prima di tutto la scuola pubblica. Prima di esaltare la scuola privata bisogna parlare della scuola pubblica. La scuola pubblica è il prius, quella privata è il posterius. Per aversi una scuola privata buona bisogna che quella dello Stato sia ottima (applausi). Vedete, noi dobbiamo prima di tutto mettere l’accento su quel comma dell’art. 33 della Costituzione che dice così: “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”. Dunque, per questo comma […] lo Stato ha in materia scolastica, prima di tutto una funzione normativa. Lo Stato deve porre la legislazione scolastica nei suoi principi generali. Poi, immediatamente, lo Stato ha una funzione di realizzazione […].
Lo Stato non deve dire: io faccio una scuola come modello, poi il resto lo facciano gli altri. No, la scuola è aperta a tutti e se tutti vogliono frequentare la scuola di Stato, ci devono essere in tutti gli ordini di scuole, tante scuole ottime, corrispondenti ai principi posti dallo Stato, scuole pubbliche, che permettano di raccogliere tutti coloro che si rivolgono allo Stato per andare nelle sue scuole. La scuola è aperta a tutti. Lo Stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto nell’art. 33 della Costituzione. La scuola di Stato, la scuola democratica, è una scuola che ha un carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini, non crea né cattolici, né protestanti, né marxisti. La scuola è l’espressione di un altro articolo della Costituzione: dell’art. 3: “Tutti i cittadini hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali. E l’art. 151: “Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. Di questi due articoli deve essere strumento la scuola di Stato, strumento di questa eguaglianza civica, di questo rispetto per le libertà di tutte le fedi e di tutte le opinioni […].
Quando la scuola pubblica è così forte e sicura, allora, ma allora soltanto, la scuola privata non è pericolosa. Allora, ma allora soltanto, la scuola privata può essere un bene. Può essere un bene che forze private, iniziative pedagogiche di classi, di gruppi religiosi, di gruppi politici, di filosofie, di correnti culturali, cooperino con lo Stato ad allargare, a stimolare, e a rinnovare con varietà di tentativi la cultura. Al diritto della famiglia, che è consacrato in un altro articolo della Costituzione, nell’articolo 30, di istruire e di educare i figli, corrisponde questa opportunità che deve essere data alle famiglie di far frequentare ai loro figlioli scuole di loro gradimento e quindi di permettere la istituzione di scuole che meglio corrispondano con certe garanzie che ora vedremo alle preferenze politiche, religiose, culturali di quella famiglia. Ma rendiamoci ben conto che mentre la scuola pubblica è espressione di unità, di coesione, di uguaglianza civica, la scuola privata è espressione di varietà, che può voler dire eterogeneità di correnti decentratrici, che lo Stato deve impedire che divengano correnti disgregatrici. La scuola privata, in altre parole, non è creata per questo.
La scuola della Repubblica, la scuola dello Stato, non è la scuola di una filosofia, di una religione, di un partito, di una setta. Quindi, perché le scuole private sorgendo possano essere un bene e non un pericolo, occorre: (1) che lo Stato le sorvegli e le controlli e che sia neutrale, imparziale tra esse. Che non favorisca un gruppo di scuole private a danno di altre. (2) Che le scuole private corrispondano a certi requisiti minimi di serietà di organizzazione. Solamente in questo modo e in altri più precisi, che tra poco dirò, si può avere il vantaggio della coesistenza della scuola pubblica con la scuola privata. La gara cioè tra le scuole statali e le private. Che si stabilisca una gara tra le scuole pubbliche e le scuole private, in modo che lo Stato da queste scuole private che sorgono, e che eventualmente possono portare idee e realizzazioni che finora nelle scuole pubbliche non c’erano, si senta stimolato a far meglio, a rendere, se mi sia permessa l’espressione, “più ottime” le proprie scuole. Stimolo dunque deve essere la scuola privata allo Stato, non motivo di abdicazione.
Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito.
Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? 
Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c’è un’altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime. 
Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci).
Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private.
Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna di­scutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: (1) ve l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. (2) Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. (3) Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico! Quest’ultimo è il metodo più pericoloso. È la fase più pericolosa di tutta l’operazione […]. Questo dunque è il punto, è il punto più pericoloso del metodo. Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito […].
Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante la Costituente, a prevenirlo nell’art. 33 della Costituzione fu messa questa disposizione: “Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza onere per lo Stato. Come sapete questa formula nacque da un compromesso; e come tutte le formule nate da compromessi, offre il destro, oggi, ad interpretazioni sofistiche […]. Ma poi c’è un’altra questione che è venuta fuori, che dovrebbe permettere di raggirare la legge. Si tratta di ciò che noi giuristi chiamiamo la “frode alla legge”, che è quel quid che i clienti chiedono ai causidici di pochi scrupoli, ai quali il cliente si rivolge per sapere come può violare la legge figurando di osservarla […]. E venuta così fuori l’idea dell’assegno familiare, dell’assegno familiare scolastico.
Il ministro dell’Istruzione al Congresso Internazionale degli Istituti Familiari, disse: la scuola privata deve servire a “stimolare” al massimo le spese non statali per l’insegnamento, ma non bisogna escludere che anche lo Stato dia sussidi alle scuole private. Però aggiunse: pensate, se un padre vuol mandare il suo figliolo alla scuola privata, bisogna che paghi tasse. E questo padre è un cittadino che ha già pagato come contribuente la sua tassa per partecipare alla spesa che lo Stato eroga per le scuole pubbliche. Dunque questo povero padre deve pagare due volte la tassa. Allora a questo benemerito cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, per sollevarlo da questo doppio onere, si dà un assegno familiare. Chi vuol mandare un suo figlio alla scuola privata, si rivolge quindi allo Stato ed ha un sussidio, un assegno […].
Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice la Costituzione, ma è un diritto il farselo pagare? È un diritto che uno, se vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla scuola pubblica. Per portare un paragone, nel campo della giustizia si potrebbe fare un discorso simile. Voi sapete come per ottenere giustizia ci sono i giudici pubblici; peraltro i cittadini, hanno diritto di fare decidere le loro controversie anche dagli arbitri. Ma l’arbitrato costa caro, spesso costa centinaia di migliaia di lire. Eppure non è mai venuto in mente a un cittadino, che preferisca ai giudici pubblici l’arbitrato, di rivolgersi allo Stato per chiedergli un sussidio allo scopo di pagarsi gli arbitri! […]. Dunque questo giuoco degli assegni familiari sarebbe, se fosse adottato, una specie di incitamento pagato a disertare le scuole dello Stato e quindi un modo indiretto di favorire certe scuole, un premio per chi manda i figli in certe scuole private dove si fabbricano non i cittadini e neanche i credenti in una certa religione, che può essere cosa rispettabile, ma si fabbricano gli elettori di un certo partito […].
Poi, nella riforma, c’è la questione della parità. L’art. 33 della Costituzione nel comma che si riferisce alla parità, dice: “La legge, nel fissare diritti ed obblighi della scuola non statale, che chiede la parità, deve assicurare ad essa piena libertà, un trattamento equipollente a quello delle scuole statali” […]. Parità, sì, ma bisogna ricordarsi che prima di tutto, prima di concedere la parità, lo Stato, lo dice lo stesso art. 33, deve fissare i diritti e gli obblighi della scuola a cui concede questa parità, e ricordare che per un altro comma dello stesso articolo, lo Stato ha il compito di dettare le norme generali sulla istruzione. Quindi questa parità non può significare rinuncia a garantire, a controllare la serietà degli studi, i programmi, i titoli degli insegnanti, la serietà delle prove. Bisogna insomma evitare questo nauseante sistema, questo ripugnante sistema che è il favorire nelle scuole la concorrenza al ribasso: che lo Stato favorisca non solo la concorrenza della scuola privata con la scuola pubblica ma che lo Stato favorisca questa concorrenza favorendo la scuola dove si insegna peggio, con un vero e proprio incoraggiamento ufficiale alla bestialità […].
Però questa riforma mi dà l’impressione di quelle figure che erano di moda quando ero ragazzo. In quelle figure si vedevano foreste, alberi, stagni, monti, tutto un groviglio di tralci e di uccelli e di tante altre belle cose e poi sotto c’era scritto: trovate il cacciatore. Allora, a furia di cercare, in un angolino, si trovava il cacciatore con il fucile spianato. Anche nella riforma c’è il cacciatore con il fucile spianato. È la scuola privata che si vuole trasformare in scuola privilegiata. Questo è il punto che conta. Tutto il resto, cifre astronomiche di miliardi, avverrà nell’avvenire lontano, ma la scuola privata, se non state attenti, sarà realtà davvero domani. La scuola privata si trasforma in scuola privilegiata e da qui comincia la scuola totalitaria, la trasformazione da scuola democratica in scuola di partito.
E poi c’è un altro pericolo forse anche più grave. È il pericolo del disfacimento morale della scuola. Questo senso di sfiducia, di cinismo, più che di scetticismo che si va diffondendo nella scuola, specialmente tra i giovani, è molto significativo. È il tramonto di quelle idee della vecchia scuola di Gaetano Salvemini, di Augusto Monti: la serietà, la precisione, l’onestà, la puntualità. Queste idee semplici. Il fare il proprio dovere, il fare lezione. E che la scuola sia una scuola del carattere, formatrice di coscienze, formatrice di persone oneste e leali. Si va diffondendo l’idea che tutto questo è superato, che non vale più. Oggi valgono appoggi, raccomandazioni, tessere di un partito o di una parrocchia. La religione che è in sé una cosa seria, forse la cosa più seria, perché la cosa più seria della vita è la morte, diventa uno spregevole pretesto per fare i propri affari. Questo è il pericolo: disfacimento morale della scuola. Non è la scuola dei preti che ci spaventa, perché cento anni fa c’erano scuole di preti in cui si sapeva insegnare il latino e l’italiano e da cui uscirono uomini come Giosuè Carducci. Quello che soprattutto spaventa sono i disonesti, gli uomini senza carattere, senza fede, senza opinioni. Questi uomini che dieci anni fa erano fascisti, cinque anni fa erano a parole antifascisti, ed ora son tornati, sotto svariati nomi, fascisti nella sostanza cioè profittatori del regime.
E c’è un altro pericolo: di lasciarsi vincere dallo scoramento. Ma non bisogna lasciarsi vincere dallo scoramento. Vedete, fu detto giustamente che chi vinse la guerra del 1918 fu la scuola media italiana, perché quei ragazzi, di cui le salme sono ancora sul Carso, uscivano dalle nostre scuole e dai nostri licei e dalle nostre università. Però guardate anche durante la Liberazione e la Resistenza che cosa è accaduto. È accaduto lo stesso. Ci sono stati professori e maestri che hanno dato esempi mirabili, dal carcere al martirio. Una maestra che per lunghi anni affrontò serenamente la galera fascista è qui tra noi. E tutti noi, vecchi insegnanti abbiamo nel cuore qualche nome di nostri studenti che hanno saputo resistere alle torture, che hanno dato il sangue per la libertà d’Italia. Pensiamo a questi ragazzi nostri che uscirono dalle nostre scuole e pensando a loro, non disperiamo dell’avvenire. Siamo fedeli alla Resistenza. Bisogna, amici, continuare a difendere nelle scuole la Resistenza e la continuità della coscienza morale.

lunedì 11 maggio 2015

Nino Di Matteo: "bocciato" dal Consiglio Superiore della Magistratura e anche dal Consiglio Comunale di Pinerolo

Nino Di Matteo
Sentinelle del territorio. Lo scorso 23 aprile 2015 è stata presentata nel Consiglio Comunale di Pinerolo  la  mozione di Luca Salvai, consigliere del Movimento 5 Stelle  qui il testo), per il conferimento della Cittadinanza Onoraria a Nino Di Matteo, giudice impegnato da  venti anni in procedimenti e indagini contro "cosa nostra" e  pubblico ministero  nel processo sulla "trattativa stato-mafia". La mozione è stata respinta.

Come presidio LIBERA "Rita Atria Pinerolo abbiamo deciso di indirizzare una Lettera Aperta ( in allegato) al Sindaco e al Consiglio Comunale: "(...) ci sentiamo di condividere la lapidaria considerazione contenuta nelle parole del consigliere Mauro Martina: "Non capisco la maggioranza di questa amministrazione che non solo non condivide la mozione ma neppure la dibatte"(...). Di seguito, la registrazione della seduta con lintervento del consigliere Luca Salvai, e di quanto è poi avvenuto,  a partire dal minuto 30'.
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Attendiamo, aupischiamo, una risposta da parte dei nostri amministratori,

 


Pinerolo 8 maggio 2015
- alla c. a. del Sindaco di Pinerolo
- alla c.a. del presidente del Consiglio Comunale
- alla c.a dei consiglieri

Lettera aperta
Nella seduta del Consiglio Comunale di Pinerolo dello scorso 23 aprile 2015 uno dei punti all'ordine del giorno è stata la mozione presentata dal consigliere Luca Salvai per il conferimento della Cittadinanza Onoraria al giudice Nino Di Matteo. Non vogliamo certo entrare nel merito della decisione assunta dal Consiglio Comunale che, “a maggioranza”, ha respinto la mozione. Tuttavia, sullo svolgimento del dibattito (che non ne è seguito) ci sentiamo di condividere la lapidaria considerazione contenuta nelle parole del consigliere Mauro Martina: "Non capisco la maggioranza di questa amministrazione che non solo non condivide la mozione ma neppure la dibatte"
Non abbiamo potuto assistere alla seduta ma, visionando la registrazione della seduta stessa, abbiamo potuto verificare le modalità con le quali il Consiglio Comunale di Pinerolo ha presto deliberato sul giudice Nino Di Matteo, minacciato di morte da Totò Riina e pubblico ministero nel processo sulla "trattativa Stato-mafia": la vicenda oscura che avrebbe legato le stragi siciliane del 1992 a supposte "convenienze" di pezzi della politica e delle istituzioni di quegli anni e degli anni a venire.
Ritornando alla seduta dello scorso 23 aprile, a noi che non siamo avvezzi "ai modi della politica" ha sorpreso un poco che quanto presentato dal consigliere proponente venisse sì bocciato “a maggioranza” dal Consiglio Comunale, ma chi si incaricava di "cassare" la mozione non fosse però un consigliere del primo partito di maggioranza. Quel consigliere dapprima esprimeva i necessari riconoscimenti all'attività di Nino Di Matteo, e di tutti i giudici che dovrebbero svolgere proficuamente il loro lavoro, dopodiché "cassava" Nino Di Matteo informando come del resto lo stesso giudice avesse visto da poco respinta anche la sua richiesta di passare alla Procura nazionale antimafia.
Su questo episodio, e sulle figure di coloro che sono stati preferiti a Nino Di Matteo per il passaggio alla Procura nazionale antimafia, invitiamo ad effettuare le ricerche-verifiche a cui siamo oramai avvezzi: a molti - con gli opportuni “distinguo”- l'episodio ha ricordato altre bocciature, avvenute in altri momenti della storia di questo Paese!
Pertanto, a Pinerolo la maggioranza -come suo diritto- "boccia", non dibatte, neppure si concede un ulteriore momento di riflessione, ma passa decisamente al successivo ordine del giorno!
Sulla figura di Nino Di Matteo, sul significato del lavoro svolto dal giudice, lo stesso don Luigi Ciotti - fondatore e presidente di LIBERA - aveva espresso tutt'altra considerazione nel novembre 2013, quando erano state rivelate le minacce di morte rivolte al giudice da Toto Riina. Don Luigi Ciotti aveva indirizzato a Nino Di Matteo la “lettera aperta” che segue e che, lo confessiamo, avremmo sperato suscitasse nei consiglieri della maggioranza pinerolese differente considerazione di quella adottata lo scorso 23 aprile 2015 e, di conseguenza, differente determinazione.
Anche noi del presidio LIBERA "Rita Atria" eravamo stati colpiti dalla vicenda del giudice Di Matteo. Ad alcune classi degli studenti che avevamo incontrati nello scorso anno scolastico avevamo fatto conoscere la lettera aperta di Luigi Ciotti chiedendo, nel caso in cui gli studenti avessero condiviso i contenuti della Lettera, di scattare una fotografia: "Anche Noi siamo con Nino Di Matteo e i giudici della trattativa". Cercheremo ora altre forme per continuare a ribadire -a Nino Di Matteo e agli altri giudici che svolgono il loro lavoro a servizio della verità e della giustizia- quanto scrive Luigi Ciotti:"Non sarete mai più soli"
Ringraziando per l'attenzione che avrete voluto dedicare al nostro scritto, porgiamo cordiali saluti.
Presidio LIBERA “Rita Atria” Pinerolo


Lettera aperta di don Luigi Ciotti a Nino Di Matteo - 14 novembre 2013

Caro Nino Di Matteo, devi sapere che non sei solo, che tutti voi a Palermo, e in ogni angolo d`Italia, non sarete mai più soli. Dalla stagione delle stragi è cresciuta nel nostro paese la consapevolezza che la questione delle mafie non è solo di natura criminale. È un problema più profondo, anche culturale e sociale. Una questione che non sarebbe ancora cosi grave se a contrastare le mafie ci fossero stati, oltre alla magistratura e alle forze di polizia, la coscienza pulita e l`impegno della maggior parte degli italiani. Questa coscienza e questo impegno, lentamente e faticosamente si sono negli anni moltiplicati.
Devi dunque sapere caro Nino, anche se qualcuno—mafiosi o complici dei mafiosi — continua a minacciare e lanciare messaggi inquietanti, che oggi tu e tutti gli altri magistrati siete meno soli. Che minacciare voi vuoi dire minacciare tanti di noi, tanti italiani, che nei più vari ambiti si sono messi in gioco. Cittadini che non si limitano a scendere in piazza, a indignarsi o commuoversi, ma che hanno scelto di muoversi, di trasformare il loro "no" alle mafie in un impegno quotidiano per la democrazia, per la libertà e la dignità di tutti.
Le luci non nascondono però le molte ombre. In tanti ambiti prevale ancora l`indifferenza o una semplice e facile risposta emotiva. Anche la politica non sempre ha saputo affrontare la questione con la pulizia morale e il respiro necessario: pensiamo solo ai troppi compromessi che hanno impedito un`adeguata riforma della legge sulla corruzione e ai patti sottobanco. Lo Stato, tutto lo Stato, deve proteggere se stesso e i suoi cittadini. Ma negli ultimi tempi, come molti segnali lasciano intendere, le mafie - indisturbate nei loro livelli più alti: economia, finanza, appalti, affari- hanno approfittato per organizzarsi in silenzio.
Quelle minacce dall`interno di un carcere dicono perciò una verità imbarazzante: se nell`ambito repressivo e giudiziario importanti risultati sono stati ottenuti, sul versante del contrasto politico e sociale c`è ancora molta strada da fare. Perché di una cosa dobbiamo essere certi: sconfiggeremo le mafie solo quando sapremo colmare le disuguaglianze sociali che permettono il loro proliferare. Le mafie non vanno solo inseguite: vanno prevenute. Prevenzione vuoi dire anche realizzare la condizione di dignità e di libertà responsabile prevista dalla Costituzione, il primo e più formidabile dei testi antimafia. Altrimenti, nello scarto fra le parole e i fatti, continuerà a insinuarsi la più pericolosa e subdola delle mafie: quella della corruzione, del privilegio e dell`abuso di potere. A te un forte abbraccio da parte mia e dalle oltre 1600 realtà associate a Libera.

Luigi Ciotti


Nota del presidio LIBERA “Rita Atria” Pinerolo: ci siamo permessi di evidenziare “in grassetto” alcuni passaggi della Lettera di don Luigi Ciotti, passaggi che riteniamo fondamentali per il significato della questione in oggetto.

collage delle fotografie: "Anche noi siamo con Nino Di matteo e i giudici della trattativa"
 

sabato 9 maggio 2015

la notte del 9 maggio 1978: Aldo Moro e Peppino Impastato

Una data lega l'assassinio di due uomini: Aldo Moro e Peppino Impastato. 
Il primo ucciso dalle Brigate Rosse, il secondo ucciso da Cosa Nostra.  
La notte del 9 maggio 1978


Così si canta la canzone: 
"(...) Era una notte buia dello stato italiano, quella del 9 maggio '78
la notte di Via Caetani e il corpo di Aldo Moro 
l'alba dei funerali di uno stato


Riproponiamo esattamente quanto avevamo scritto lo scorso anno. Perchè lo spirito di questo Paese non è cambiato , anzi, forse , è peggiorato. 
Il mistero, la verità sull'uccisione di Aldo Moro non si è rivelato. E ancora oggi bisogna trovare il coraggio di urlare quello per cui è stato ucciso Peppino Impastato: "La mafia è una montagna di merda". 
Urlarlo a chi si è abituato, e vorrebbe che ci abituassimo, al puzzo della "montagna di merda", al compromesso morale, ai misteri che soffocano la Giustizia di questo paese, misteri custoditi dal sigillo del Potere.

"Dagli schermi televisivi, dalle radio, dalla "rete", forse oggi vedremo, ascolteremo, assisteremo, alla ovvia e vuota retorica a cui siamo abituati. Salvo Vitale, l'amico fraterno di Peppino Impastato, in occasione di un altro "anniversario" scrisse così: "Non li voglio vedere"...
Ci basterà, ce la faremo bastare, quella vuota retorica per giustificare la "legalità sostenibile" (di cui ha parlato in tante occasione don Luigi Ciotti, fondatore di LIBERA) e che abbiamo costruita a nostra misura affinchè non ci faccia troppo male e non ci costringa troppo? "A nostra insaputa" continuerà ad essere la giustificazione comoda che troveremo per atti, omissioni e reticenze? Ce lo faremo bastare? 
Oppure cominceremo davvero a "fare memoria" affinchè le cose accadute non abbiano più a ripetersi, affinchè si metta in atto l'insegnamento di coloro che, come in un triste rosario, continuiamo a snocciolarne nomi, date di nascita e di morte prematura?
Che non siano state morti inutili!
Felicia Impastato, la mamma di Peppino.
 Lottò tutta la vita per ottenere verità e Giustizia per il figlio "suicidato" dalla mafia 


Il discorso della Montagna - dialogo dal film " I cento passi"
Peppino Impastato e Salvo Vitale, dall’alto di Monte Pecoraro,  guardando l’aeroporto di Punta Raisi, dopo la costruzione della terza pista:
PEPPINO: Sai cosa penso? 

SALVO : Cosa? 

PEPPINO: Che questa pista in fondo non è brutta. Anzi 

SALVO (ride) : Ma che dici?! 
PEPPINO: Vista così, dall'alto ... [guardandosi intorno sale qua e potrebbe anche pensare che la natura vince sempre ... che è ancora più forte dell’uomo. Invece non è così. .. in fondo le cose, anche le peggiori, una volta fatte ... poi trovano una logica, una giustificazione per il solo fatto di esistere! Fanno 'ste case schifose, con le finestre di alluminio, i mri di mattoni finti, i balconcini ... mi segui?

SALVO: Ti sto seguendo


PEPPINO:... Senza intonaco, i muri di mattoni vivi ... la gente ci va ad abitare, ci mette le tendine, i gerani, la biancheria appesa, la televisione ... e dopo un po' tutto fa parte del paesaggio, c'è, esiste ... nessuno si ricorda più di com'era prima. Non ci vuole niente a distruggerla la bellezza ... 


SALVO: E allora?


PEPPINO: E allora forse più che la politica, la lotta di classe, la coscienza e tutte 'ste fesserie ... bisognerebbe ricordare alla gente cos'è la bellezza. Insegnargli a riconoscerla. A difenderla. Capisci? 


SALVO: ( perplesso) La bellezza…


PEPPINO: Sì, la bellezza. È importante la bellezza. Da quella scende giù tutto il resto. 

venerdì 8 maggio 2015

Da Berlinguer a Saviano: i partiti e la questione morale

Troppi segnali ci dicono che la questione morale, l'etica della classe politica e dirigente di questo paese, non è fondamento prioritario nè per quanto riguarda la condotta di coloro che sono "nominati" ( eletti) a ricoprire cariche pubbliche, nè per quanto riguarda la scelta di costoro, operata dai partiti che hanno monopolizzato la vita e le espressioni della politica. Prova ne sono anche le leggi scaturite da un parlamento formato nella sua maggioranza proprio da "nominati"; i quali nominati debbono la loro elezione spesso al mero, e poco nobile, criterio di "appartenenza e lealtà" al capo di turno.
Anche il provvedimento deciso ieri sull'abolizione del vitalizio ai parlamentari condannati pare essere stato annacquato dall'ennesimo (vergognoso) accordo sottobanco fra partiti, tanto che oggi il presidente del Senato Pietro Grasso dichiara " Avrei voluto di più, ma ci vuole il consenso". Questo sappiamo: che anche ieri, aldilà delle dichiarazioni di facciata, nel parlamento italiano è  mancato il consenso per agire con decisione su una legge vergognosa. Vergogna!

Enrico Belinguer così diceva nella celebre intervista a E. Scalfari, pubblicata da La repubblica il 28 luglio 1981: "(...) I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss".(...)"

Di ieri la denuncia di Roberto Saviano: "Gomorra è nelle liste di Vincenzo De Luca. La lotta alla mafia non è una priorità di Matteo Renzi. (...) Nel Pd e nelle liste c’è tutto il sistema di Gomorra, indipendentemente se ci sono o meno le volontà dei boss. Il Pd nel Sud Italia non ha avuto alcuna intenzione di interrompere una tradizione consolidata. Il Pd non sta facendo la battaglia promessa. Ha creduto che utilizzare le figure di Grasso o di Cantone fosse la garanzia di un’immagine diversa. Ed è questo che Renzi vuole: un’immagine diversa. Sicuramente c’è una parte di mondo del Pd in prima linea contro le mafie, ma questo governo ha fatto poco contro le mafie".

 Fonte HUFFINGTON POST

Roberto Saviano: "Gomorra è nelle liste di Vincenzo De Luca. La lotta alla mafia non è una priorità di Matteo Renzi"

Roberto Saviano, cinque anni fa fu De Luca ad accusare Caldoro di avere in casa i casalesi. Ora i termini si sono ribaltati?
Le liste di De Luca non sono affatto liste con nomi nuovi e in nessun caso trasformano il modo di fare politica in Campania. Direi che ricalcano le solite vecchie logiche di clientele. E non c’è niente da fare. E' sempre stato questo e questo sarà: le liste si fanno su chi è in grado di portare pacchetti di voti.
Vedendo le liste elettorali a sostegno di De Luca, direi che il caso più imbarazzante è quello di Enrico Maria Natale. Che cosa rappresenta a Casal di Principe la sua famiglia?
È certamente quello di Natale il nome più eclatante perché la sua famiglia è stata più volte accusata di essere in continuità con la famiglia Schiavone. Negli anni Novanta hanno avuto un ruolo nel mondo dell’imprenditoria grigia. Questa candidatura a dimostrazione che De Luca non sta affatto cambiando il modo di fare politica in Campania.

E poi ci sono gli uomini di Cosentino che puntano sul centro-sinistra.
Gli uomini di Cosentino che puntano al centrosinistra per vendetta contro Caldoro ci sono sempre stati. Cosentino ha sempre considerato Caldoro uno dei responsabili della sua messa in crisi nel partito e quindi c’è sempre stato questo flusso apparentemente contrario a ogni logica. Nicola Turco ad esempio è un fedelissimo di Cosentino, ora sua moglie è candidata e ha dichiarato apertamente in un'intervista a Concita Sannino che "De Luca non è di sinistra, non ha nulla di sinistra…". E quindi ci sta bene. Pure la Criscuolo era legata a Cosentino e Scajola. Insomma c’è di tutto.

Insomma c’è di tutto.
Sì, pure Aveta, uno che si è sempre dichiarato neo-fascista.

Te lo chiedo senza tanti giri di parole: nelle liste del Pd e della coalizione che sostiene De Luca c’è Gomorra?
Ti rispondo senza giri di parole: assolutamente sì. Nel Pd e nelle liste c’è tutto il sistema di Gomorra, indipendentemente se ci sono o meno le volontà dei boss. Il Pd nel Sud Italia non ha avuto alcuna intenzione di interrompere una tradizione consolidata. E cioè alla politica ci si rivolge per ottenere diritti: il lavoro, un posto in ospedale… Il diritto non esiste. Il diritto si ottiene mediando: io ti do il voto, in cambio ricevo un diritto. Il politico non dà visioni, prospettive, percorsi, ma dà opportunità in cambio di consenso. E De Luca, in questo, è uno che ci sa fare. La politica dovrebbe essere tutt’altro. Dovrebbe ottenere consenso in cambio di trasformazioni complesse e complessive della società. Invece dando il proprio voto l'elettore rinuncia a chiedere progetto e trasformazione in cambio di una e una sola cosa.

Tu hai fatto un elenco di nomi e hai detto che il sistema Gomorra è anche nel centrosinistra. Significa, facendo il passaggio successivo, che non serve aspettare i processi per dire che con certe persone non si può neanche prendere il caffè al bar.
Al di là delle condanne e delle manette che sono altra cosa e mi interessa meno, non avendo mai avuto l’ossessione manettara di tanta parte del giornalismo italiano, lì si tratta proprio di opportunità politica. De Luca ha capito che per vincere deve portare clientele, attraverso persone modeste, senza visione e deve togliere le clientele a Caldoro. Ecco: la guerra che si stanno facendo Caldoro e De Luca è tutta qui, sulle clientele, ed è per questo che De Luca ha avuto bisogno di De Mita. Non c’è bisogno di andare in questura per dire che le persone di cui abbiamo parlato, a Casal di Principe e non solo, sono incandidabili se appartieni a un partito che dice, o meglio millanta, di trasformare. Non scherziamo. Ora: De Luca sa benissimo che sono impresentabili e forse, dopo questi articoli, farà la mossa di toglierne qualcuno ma non può fare a meno del voto di scambio.

Potremmo proseguire con altri nomi, come gli ex responsabili del governo Berlusconi a sostegno di De Luca: Iannaccone, Cesario o Pisacane che ha candidato la moglie. O l’ex mastelliano Barbato. Ma vorrei fare con te un ragionamento di fondo. Si può dire che siamo oltre il trasformismo? Qui stiamo di fronte a un blocco di potere e interessi che si lega allo schieramento finora alternativo, determinandone la mutazione genetica.
Secondo me la triste verità è che non si sposta nulla, resta tutto identico dove è sempre stato. Cambiano gli orientamenti ma tutto resta sempre lì, fermo, immobile. Il trasformismo nasce come una opportunità per chi fa politica, per fare cassa, ma non è solo un fatto economico. La tradizione meridionale, in questo senso, è tipica: il primo figlio fa il medico, quindi ha un ruolo importante; il secondo, che deve difendere gli affari di famiglia, fa l’avvocato; il più incapace il politico. È sempre stato così, nella tradizione meridionale. Ma il riciclo del ceto politico nasce non semplicemente dalla volontà delle persone, ma anche dalla volontà degli elettori. Può sembrare paradossale ma è così. L’elettore meridionale medio non ne vuole sapere di un politico nuovo che magari ha progetti e idee. Vuole il vecchio che gli garantisca il posto di lavoro, il posto alla nonna all’ospedale, la mensa, l’asilo, quello che ti dà di volta in volta il favore, in cambio del voto. Quindi l’elettorato non si fida del nuovo e preferisce il vecchio che vede come garanzia. Da qui nascono i nomi che abbiamo detto. Un vecchio arnese della politica garantisce favori più di un nuovo politico con idee e progetti che spesso nessuno gli farà realizzare.

E da qui l’allarme che lanciasti alle primarie.
Lanciai l’allarme perché sapevo che sarebbe successo questo. Dissi: non legittimate politici che hanno già in mente come vincere e come posizionarsi. E quindi l’invito a non votare era l’invito a non legittimare questo sistema. Le primarie non si sono svolte con una competizione su argomenti: tutti ci raccontavano la stessa storia, non era una questione di contenuti, erano solo una battaglia tra le fazioni e tra le clientele di uno e dell’altro.

Una volta il Pci era il partito della lotta alla mafia, il Pci di La Torre, il Pci che selezionava la propria classe dirigente prima che arrivasse la magistratura. Ora questo Pd cosa è?
Il Pd non sta facendo la battaglia promessa. Ha creduto che utilizzare le figure di Grasso o di Cantone fosse la garanzia di un’immagine diversa. Ed è questo che Renzi vuole: un’immagine diversa. Sicuramente c’è una parte di mondo del Pd in prima linea contro le mafie, ma questo governo ha fatto poco contro le mafie. In un certo senso si è trovato in una congiuntura anche positiva: non ci sono stragi o faide mafiose e quindi l’opinione pubblica non chiede a questo governo di rispondere con urgenza. Ma davvero non c’è stata una mossa vera per contrastare il riciclaggio, per contrastare la presenza endemica della mafia nelle banche o negli appalti. Questo Pd non ha un’anima che sente come una priorità l’antimafia. Ovviamente non mi sentirei di dire che stiamo parlando di collusioni come succedeva in Forza Italia, però da qui a considerarsi, appunto, un partito antimafia… ce ne passa. Anche la vicenda De Luca, lo dimostra.

Andiamo dritti alla narrazione renziana cui accennavi. Uno dei simboli è Cantone, magistrato di punta nelle inchieste sui casalesi, ora molto esposto col governo sulla terreno della lotta alla corruzione. Cantone da un lato e queste liste dall’altro. Come leggi questa fotografia?
Cantone aveva avuto un rapporto già con Enrico Letta poi con Renzi, quindi ha chiara la visione della situazione. La fotografia la spiego così: sembra esserci molta prudenza da parte del governo e da parte di Cantone, che è un amico, a prendere posizione. È come se tutti fossero in attesa di essere nel prossimo governo eletto dal popolo. Uso una metafora: oggi ci dobbiamo fare incudine e ci dobbiamo stare, domani quando saremo martello batteremo. Ho molto questa sensazione, si preferisce intervenire su De Gennaro, difendendolo, piuttosto che sulla vicenda Campania, che è un dramma incredibile. È come se ci fosse una specie di compromesso. In questo momento noi non possiamo agire perché il rischio di perdere e di farci male sarebbe troppo, quindi glissiamo e aspettiamo quando ci si darà il potere vero, con un governo eletto. Credo che Renzi speri in cuor suo che vinca Caldoro così da risolvergli il problema De Luca. Il grande rimosso del governo è il Sud Italia.

In conclusione: chi votare in Campania? Alle primarie dicesti: non partecipate. Lo dici anche oggi sperando che l’indignazione civica si esprima con l’astensionismo?
Non votare alle primarie aveva senso per mostrare che le primarie erano una competizione farlocca. Alle elezioni bisogna andare e prendere parte. Mi sento di dire che ognuno scelga nel migliore dei modi tra Cinque Stelle, Sel, Pd, Caldoro. Ormai la Campania è in una situazione drammatica. Si sta anche spostando l’attenzione mediatica e la narrazione che sta vincendo è quella cui ha contribuito anche De Magistris: chi racconta le cose sta in qualche modo diffamando e si deve parlare solo di cose belle, come il Maschio Angioino, la musica, l’arte. Ma queste bellezze non sono merito del sindaco, non sono merito di coloro che mi spingono a celebrarle. Ecco, anche questa narrazione ha contribuito a costruire la classe dirigente che strozza Napoli e la città è affogata tra l’estremismo di una minoranza ricca che almanacca su impossibili rivoluzioni e palingenesi e una piccola borghesia spesso compromessa e corrotta. In mezzo la parte maggiore onesta e assediata che un po' spera un po' subisce, un po' sta a guardare per capire se vince il toro o il torero. Penso che l’unico che potrebbe oggi descrivere la situazione se ne è andato qualche tempo fa e mi manca molto: Franco Rosi.

mercoledì 6 maggio 2015

Lezione: come funziona il patto 'ndrangheta-politica (che infesta l'Italia)!

Paolo Borsellino: " Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo". Quella situazione, molto spesso, è stata addirittura superata: come ci racconta Roberto Galullo nel suo articolo, nel patto mafie-politica ora sono le mafie a scegliere su chi puntare, dalla culla (comunali) alla tomba (politiche). E' davvero il caso dire : la 'ndrangheta è viva!..e marcia  e "vota" insieme a noi". Noi, anche in Piemonte, dobbiamo eliminare "quella politica di merda"

 

Guardia e ladri;  6 maggio 2015 - 08:55

La catena politica dalla culla (comunali) alla tomba (politiche), secondo “san” Giuseppe Pelle da San Luca.

Pochi giorni fa – il 29 aprile per l’esattezza – la Calabria si è svogliatamente risvegliata al suono dell’ennesima operazione anti-‘ndrangheta (denominata “Reale 6”).
L’operazione, delegata ai Carabinieri del Ros e al Gico della Guardia di finanza dai pm della Dda di Reggio Calabria Antonio Gratteri, Antonio De Bernardo e Giovanni Musarò, che l’hanno coordinata, ha strapazzato, ancora una volta, mister preferenze Santi Zappalà, candidato (eletto) per il Popolo della libertà alle regionali del 2010. Costui, secondo l’accusa, avrebbe fatto il giro delle sette parrocchie mafiose pur di raccattare gli indegni e miserevoli voti controllati dalla ‘ndrangheta.
Rimando al link a fondo pagina per il servizio di ieri.
Oggi cavalchiamo ancora l’onda del patto tra ‘ndrangheta e politica (questo connubio è indissolubile in quel sistema criminale che infesta l’Italia e che va molto oltre, come ho scritto mille volte, la singola mafia come siamo abituati a conoscerla).
Per farlo partiamo da quanto i pm dicono e il Gip Cinzia Barillà, che il 17 aprile 2015 ha firmato l’ordinanza, sottoscrive a pagina 138 del provvedimento: «L’analisi delle emergenze in atti consente di affermare, inoltre, che in occasione delle elezioni é assai diffusa la pratica di rivolgersi alla ‘ndrangheta erogando somme di denaro in cambio della promessa di voti e che, da questo punto di vista, Santi Zappalà era notoriamente un candidato disposto a pagare profumatamente il “pacchetto voti” a disposizione dell’organizzazione mafiosa…».
Non è un “così fan tutti” (il Gip e così i pm non lo scrivono e non so se lo pensano) ma poco ci manca…
Comunque sottoscrivono che rivolgersi ai padrini delle cosche è «una pratica diffusa». Se l’italiano ha un senso vuol dire che Zappalà (se sarà giudicato definitivamente colpevole) non è un’eccezione. E’ chiaro questo? Nessuno può spingersi (tantomeno sulla base delle evidenze giudiziarie) a scrivere che è la regola ma per un giudice e tre pm della Repubblica italiana fare il giro tra i quaquaraqua delle cosche non è un eccezione.
Andiamo avanti perché nelle pagine di questa interessantissima ordinanza c’è un risvolto importantissimo.
Ho sempre pensato – ancora una volta controcorrente – che non è affatto vero che la cancellazione del voto di preferenza indebolisce le mafie nel momento del voto alle elezioni politiche. Che il voto di preferenza gli agevoli il compito è indubbio ma che la cancellazione della preferenza li faccia disperare beh, proprio no.
Ho sempre pensato, infatti, che le mafie allevino come polli da batteria i politici o, viceversa, puntino su alcuni di loro, tra i tanti che bussano alle loro porte. Questi si chiamano “investimenti”. Se questo è vero (ed è vero, credetemi) le mafie sono pronte a seguire i propri “cavalli in erba” dalla culla alla tomba. In altre parole: dalle comunali su per li rami alle elezioni provinciali, regionali e infine politiche, con un ricambio necessario e vitale non solo per le cosche (che avrebbero in questo modo sempre più leve riconoscenti da manovrare in ogni Palazzo che conta) ma per le stesse aspirazioni di chi si vende o si fa comprare.
Liberi di non credermi (tanto non cambio idea) ma vi chiedo di soffermarvi su alcuni interessantissimi dialoghi captati il 14 marzo 2010 a casa di Giuseppe Pelle, nel corso dei quali “gambazza” figliolo classe ‘60, introduce la necessità che la ‘ndrangheta si proponga di agire in maniera unitaria in occasione delle consultazioni elettorali future, sostenendo un ristretto numero di candidati, al dichiarato fine di non disperdere voti.
Gambazza” introduce il discorso così: «ogni paese chi ne ha due, chi ne ha tre, chi ne ha quattro .. o per me è una cosa che non la condivido, sapete perché? Perché poi ognuno ha le sue, voi avete le vostre, quello ha le sue, l’altro ha le sue e questi voti compare si disperdono tutti…Perché se voi portate, voi dovete stabilire, che portiamo due, tre persone l’anno prossimo nella Provincia, che si può o…due, tre e c’è la possibilità, c’è una possibilità che si va, ma se qua c’è tutta sta…».
Tutti i presenti, si legge a pagina 161 dell’ordinanza, si dichiarano d’accordo con Giuseppe Pelle (avrei voluto vedere il contrario…). Uno di loro, in particolare, evidenziò che spettava alla ‘ndrangheta e non ai partiti, scegliere le candidature (giusto, cazzu-cazzu!), in quanto un candidato che avesse potuto contare sui voti dell’intera organizzazione (o, quantomeno, di un mandamento sui tre) sarebbe stato certamente eletto alla Provincia; per cui i voti dei singoli locali di ‘ndrangheta (vale a dire cellule strutturate con almeno 50 affiliati) avrebbero dovuto essere gestiti indipendentemente dai partiti e convogliati in modo unitario su determinati candidati («però è una cosa che dobbiamo gestire noi in tutto il nostro locale, nel paese nostro dobbiamo gestircela noi, no che la gestiscono loro … Perché a noi ci tiranoun paese piccolo come Natile. Noi con i voti se si porta uno, d’accordo, noi con i voti nostri lo mandiamo alla Provincia»). Il problema era dovuto proprio alla mancanza di una strategia unitaria che indirizzasse i voti su un solo candidato («Quando ci sono le provinciali, non è che dicono: “d’accordo, mandiamone uno”»).
L’argomento sarà affrontato nuovamente il 27 marzo 2010 da Giuseppe Pelle con altri interlocutori. In quella circostanza il “boss” (?!) (come si legge nell’ordinanza, che lo definisce anche capo indiscusso ma vedrete nel servizio di domani che la parola diventerà questione di finissima interpretazione non ancora conclusa) di San Luca si espresse in termini ancora più espliciti con riferimento alla strategia unitaria che la ‘ndrangheta avrebbe dovuto adottare in occasione delle future elezioni politiche, criticando quello che fino a quel momento era stato fatto: affermava, in particolare, che per il consiglio regionale l’organizzazione avrebbe dovuto appoggiare candidati ben precisi, scelti fra soggetti appartenenti ai diversi mandamenti in cui l’organizzazione è strutturata («la politica nostra è sbagliata…omissis…se noi eravamo una cosa più compatta compà, noi dovevamo fare una cosa, quanti possono andare? Da qua…diciamo qua dalla jonica, quando raccogliete tutti i voti che avete, vanno tre persone per volta, altre tre vanno alla piana e sono sei, e vanno già sei per il consiglio regionale»).
Poi Pelle aggiunse che i candidati scelti dalla ‘ndrangheta ed eletti con i voti dell’organizzazione, se avessero dimostrato di meritarne la fiducia, sarebbero stati successivamente appoggiati per le elezioni politiche : «La prossima volta quei sei che dovevano andare…che escono dalle regionali, se si portavano bene andavano a Roma…andavano a Roma e andavano altri sei al posto di quelli, in questa maniera si può andare avanti, potevamo ottenere una cosa, uno…c’era chi ci guardava le spalle, poco dopo aveva … ». Altro che listone bloccato e listini: ci pensano loro, cazzu cazzu, a dare le consegne a chi deve redigere le liste elettorali!
E c’è chi è entusiasta della riflessione di Pelle (sfido io il contrario…). Così uno dei presenti evidenziò che per i politici l’appoggio della ‘ndrangheta era assolutamente fondamentale: «Compare, sapete quale è il fatto? Che noi siamo due di quelli che hanno bisogno, di noi, perché noi siamo una “valvola di scarico”, loro hanno bisogno di noi».
Già gli uni hanno bisogno degli altri ma noi, persone oneste e perbene, non abbiamo bisogno né della ‘ndrangheta e dei suo quaquaraqua né di quella politica di merda.