Giorno verrà, dottor Scarpinato
Fonte: Notizie Radicali
30-07-2012
Più leggo le parole pronunciate da Roberto Scarpinato per Borsellino e più mi convinco che sono e suonano spietata critica di «questo» Stato, un gelido mostro, direbbe Nietzsche, che ha mentito e mente in tutte le lingue del bene e del male, ed è bello leggere, insieme alle parole di Scarpinato, le ultime parole della giovane testimone di giustizia Rita Atria, Partanna 4 settembre 1974 – Roma 26 luglio 1992, «Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi», «Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta», ed è bello leggere, insieme alle parole di Rita, le parole dell’Associazione Antimafie che porta il suo nome, «“Noi Sappiamo” anche senza le sentenze. Chi sorride, chi stringe le mani ai “figli” del malaffare e quindi ai complici dell’oppressione sociale… è complice», ed è bello leggere, insieme alle parole dell’Associazione Antimafie «Rita Atria», le parole di Borsellino, «La rivoluzione si fa con la gente in piazza; il cambiamento si fa con la matita», e qui la «bellezza» non ha niente a che fare con l’eroismo a basso prezzo, ha a che fare con il coraggio di quelle persone che come Rita denunciarono la mafia eretta a Stato e lo Stato sulla mafia fondato, ha a che fare con la stessa «bellezza» da Yeats cantata per l’Easter Rising irlandese, «A terrible beauty is born», e io mi dico, «We will arise and go now, and go to…», con i sospensivi d’obbligo.
Avvocato. Docente ordinario di Filosofia del diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pisa.
Caro dott. Scarpinato,
quando lei entrò in magistratura c’era ancora nel nostro codice penale il cd. delitto d’onore, io avrei potuto uccidere in stato d’ira anche mia sorella scoprendola in qualsiasi luogo nell’atto di consumare un’illegittima relazione carnale, me la sarei cavata con una pena diversa e minore rispetto alla pena prevista per l’omicidio, e altri orrori c’erano, io potevo stuprare una minorenne, poi me la sposavo per non andare in galera, e il matrimonio riparava al mio delitto, lo estingueva. Ci sono voluti sacrifici e lotte e morti per cambiare, sacrifici e lotti e morti della società civile contro la società politica che quelle norme manteneva. E abbiamo dovuto aspettare la legge 5 agosto 1981 n. 442 perché il cd. delitto d’onore fosse abrogato. Quanto tempo abbiamo dovuto aspettare? Tanto: dall’emanazione del codice Rocco, e lei e io non c’eravamo allora.
Questo per dirle, io di lei più anziano, che alle porte dei lussuosi palazzi del potere politico ed economico menzognero, quando lei busserà in nome dello Stato sognato da Falcone e Borsellino, non sarà solo. Ci saremo con lei pure noi della società civile democratica. E forte busseremo. Per giustizia e non per vendetta busseremo a quelle porte. E non importerà dove saranno e se alte o basse saranno e se saranno presidiate da cavalieri a cavallo o da guardie imponenti più dei Bronzi di Riace. «Giorno verrà».
E quel giorno ci ricorderemo delle parole di Sepulveda all’indomani della condanna di Pinochet da parte della Camera dei Lords di Londra, era il 25 novembre 1998: «I Lords britannici hanno appena finito di leggere le loro ragioni legali che tolgono l’immunità diplomatica a quella spazzatura chiamata Pinochet […]. Scrivo queste righe perché non so fare altro. Abbraccio mia moglie e tutti e due piangiamo. Piangiamo per la nostra casa saccheggiata dai militari a Santiago, piangiamo per tutti e ciascuno dei nostri fratelli assassinati, piangiamo per quelli che hanno finito i loro giorni nei cimiteri senza nome dell’esilio, piangiamo per quelli che sono tornati sconfitti dagli anni. Piangiamo per la nostra gioventù decimata dal fascismo, piangiamo per il ricordo di mio padre, che vidi per l’ultima volta all’aeroporto di Santiago nel 1977 quando uscii dal carcere per andare in esilio. Piangiamo il pianto liberatorio di quanti non abbiamo mai dimenticato».
La Nazione, che lei non a torto cita e che crudeltà e viltà ha subíto, non si difende con la Nazionale ai Giochi Olimpici. E però, caro dott. Scarpinato, penso che dovremo anche bussare alle porte di non lussuosi palazzi, alle porte delle carceri, palazzi spesso fatiscenti, palazzi spesso buoni per sequestrare e torturare, palazzi spesso buoni per morirvi a causa di mancanze di cure o di frettolose diagnosi, palazzi spesso buoni per il suicidio di detenuti e guardie, era il 5 maggio 1972, lei aveva venti anni, fu a Pisa, Franco Serantini fu pestato a sangue dai celerini venuti da Roma, partecipava a una manifestazione antifascista, lo portarono al Don Bosco, il carcere di Pisa, abitavo allora a pochi passi dal Don Bosco, lo interrogò il giudice, disse che si sentiva male, non gli credette il giudice, e continuò a interrogarlo, morì il 7 maggio ore 9.45, venne poi Stajano a casa mia per raccogliere materiale sull’anarchico «sovversivo», un bel libro di documentata denuncia, e sta agli atti documentato il recente e avvilente episodio di un detenuto quarantenne a Regina Coeli, condanna a cinque anni di reclusione, un anno il residuo di pena da scontare, venti esami sostenuti al Dams di Roma Tre, chiede poche ore di permesso per discutere la sua tesi di laurea, l’avrebbe accompagnato il Garante dei detenuti, niente, il giudice di sorveglianza gli nega il permesso adducendo un motivo procedurale, il laureando deve prima attendere l’esito di un giudizio, ha impugnato il rigetto di un precedente permesso lo scorso gennaio, e il Garante dei detenuti, «Per una settimana la magistratura di sorveglianza, ha tenuto tutti in attesa: la famiglia, il detenuto, il nostro ufficio, la direzione del carcere, l’Università. Poi, a poche ore dalla discussione, ha deciso di respingere la richiesta di permesso facendo sfumare tutto», e tutto è sfumato, e oggi, caro dott. Scarpinato, ricorre il primo anniversario da quando fu lanciato il messaggio della «prepotente urgenza», e veda, caro dott. Scarpinato, la società civile democratica è indignata per le condizioni delle nostre carceri, non siamo più ai tempi di Silvio Pellico, e forse siamo ancora ai tempi del mio maestro di Economia politica Antonio Pesenti, «Dalla cattedra al bugliolo», al bugliolo ancora siamo in molte carceri, bussiamo alle porte delle carceri, caro dott. Scarpinato, per fortuna sua e nostra lei non è un magistrato che si auto celebra, caro dott. Scarpinato, lei alla giustizia tiene e non chiama eroi chi per la giustizia ha combattuto e combatte, e lei sa che la giustizia vive di vita perigliosa e combattente, e sa che nelle carceri si consumano a volte ingiustizie, l’ingiusta detenzione si consuma, l’ingiusto trattamento dei detenuti si consuma, meglio che vinca la giustizia anziché la Vezzali o la Pellegrini, e con stima ed empatia,
Domenico Corradini H. Broussard