martedì 30 ottobre 2012

Leinì non riesce a costituirsi "parte civile" nel processo Minotauro. Colpa dell'avvocato del boss di Scampia Paolo Di Lauro, detto «Ciruzzo o’ milionario».


Chi sono i professionisti (casertani) prescelti dall'ex commissario Provolo a tutelare la città dominata dai Coral e dalla 'ndrangheta? E davvero tutto casuale, frutto solo di quelle che appaiono come inopportune coincidenze?

 

fonte: la Stampa

L’avvocato che ha tradito Leini

Operazione Minotauro. Così il Comune, principale vittima, esce di scena dal processo «Minotauro» contro l’ex sindaco, e non si sa se il nuovo commissario chiederà i danni al legale di Santa Maria Capua Vetere
Il legale salta l’udienza: il Comune
non sarà parte civile contro Coral
RAPHAËL ZANOTTI
TORINO
Leini è una città vittima di intrecci maledetti. Per quasi 20 anni è stata governata dalla genìa dei Coral. Prima il padre Nevio, sindaco per 11 anni, quindi il figlio Ivano, subentratogli. Poi l’operazione Minotauro ha individuato collegamenti tra Coral e le cosche della ’ndrangheta e questa egemonia è stata spazzata via
A Leini è arrivato un commissario: nuova era, nuovo clima, si pensava. Poi però il commissario ha scelto un avvocato perché il Comune si costituisse parte civile contro l’ex sindaco Nevio Coral. L’avvocato non si è presentato alla prima udienza, ha mandato un sostituto senza procura speciale alla seconda, e il Comune di Leini non è riuscito a costituirsi parte civile. E ora tutti si domandano: ma che avvocato ci siamo presi? L’avvocato si chiama Vittorio Giaquinto ed è del foro di Santa Maria Capua Vetere. Qualcuno chiederà: e perché proprio un legale campano? Qui tornano gli intrecci maledetti. Perché l’avvocato Giaquinto ha lo studio a Caserta. La stessa città dove ha famiglia il commissario che lo ha indicato, Francesco Provolo. Coincidenza?  

Quando l’allora commissario Provolo (oggi è prefetto a Rovigo) ha nominato il compaesano Vittorio Giaquinto, qualcuno ha sollevato qualche dubbio. Ma perché prendere un avvocato di un foro così lontano? Non costerà di più visto che dovrà nominare comunque un domiciliatario a Torino? L’allora commissario ha rassicurato tutti: non vi preoccupate, è un esperto della materia. E così la commissione, all’unanimità, ha dato l’incarico allo studio Giaquinto. E poi è successo quel che è successo. 

Che l’avvocato fosse un esperto della materia non c’è dubbio. È un penalista famoso, nel Casertano. Non foss’altro perché Giaquinto è il difensore storico del boss di Scampia Paolo Di Lauro, detto «Ciruzzo o’ milionario». Non che questo crei qualche conflitto, è bene dirlo, ma ai cittadini di Leini magari sarebbe piaciuto sapere chi li avrebbe rappresentati contro le cosche della ’ndrangheta e contro il loro ex sindaco. E magari avrebbero anche apprezzato sapere quanto è costato rivolgersi a un avvocato di chiara fama come Giaquinto. Invece, rintracciando su Internet la determina del Comune di Leini, questo dato non c’è. O meglio, è «oscurato», visto che l’impegno di spesa risulta essere di euro 0,00.  

Ora, dopo la clamorosa uscita di scena dal processo Minotauro del Comune maggiormente colpito (sono riusciti a costituirsi parte civile Comuni come Volpiano e associazioni come Libera, con profili decisamente inferiori), tutti chiedono conto, invocano responsabilità, domandano ragione. Il commissario compaesano, però, è partito alla volta di Rovigo e non si sa ancora se i nuovi commissari, dopo la figuraccia di venerdì, intendano coinvolgere l’avvocato in una causa per responsabilità professionale. 

Di certo c’è che l’avvocato Giaquinto non è l’unico lascito «casertano» del commissario Provolo. Quando si doveva capire se al Comune di Leini conveniva mantenere una quota nella Provana Spa, società produttrice di energia partecipata dal Municipio, è stato infatti chiamato lo studio associato Cioffi di Caserta per una spesa di 12.600 euro. Intrecci maledetti? 

Forse. Oppure semplicemente la scelta di uomini fidati da parte di un commissario che ha passato quasi tutta la sua carriera all’interno della Prefettura di Caserta. La speranza è che queste scelte non danneggino ulteriormente una città, Leini, che sta cercando di rialzare la testa. La partenza non è stata delle migliori. 

lunedì 29 ottobre 2012

Processo Stato-mafia: prima udienza per "la trattativa".

Comunque andrà a finire, è già un processo senza precedenti quello che chiedono i pubblici ministeri di Palermo: il pool coordinato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia vuole portare sul banco degli imputati i vertici della mafia e alcuni vertici dello Stato in carica nella stagione terribile delle bombe
Fonte: La Repubblica
Dopo quattro anni di indagini, inizia l'udienza preliminare. L'atto d'accusa della Procura è in 120 faldoni, in cui sono raccolti i verbali di 6 pentiti e 67 testimoni. Ecco la ricostruzione dell'inchiesta e il ruolo dei principali protagonisti
di SALVO PALAZZOLO

I primi della lista sono i capi mafiosi: Totò Riina, Bernardo Provenzano,LeolucaBagarella, Giovanni Brusca e Antonino Cinà. Tutti gli altri imputati sono uomini delle istituzioni: gli ex ministri Calogero Mannino e Nicola Mancino. Poi, un politico di oggi, il senatore Pdl Marcello Dell'Utri, che nel 1992-1993 era un imprenditore di successo e meditava già di fondare un grande movimento politico fatto su misura per l'amico di una vita, Silvio Berlusconi. 
Eccoli, i nomi che questa mattina verranno chiamati dal giudice dell'udienza preliminare Piergiorgio Morosini nell'aula bunker del carcere palermitano di Pagliarelli. Sono gli imputati del processo per la trattativa mafia-Stato. L'elenco si completa con gli ex vertici del Ros dei carabinieri, i generali Mario Mori e Antonio Subranni, il colonnello Giuseppe De Donno. Fra gli imputati c'è anche il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, Masimo Ciancimino. In tutto, dodici persone.
Comunque andrà a finire, è già un processo senza precedenti quello che chiedono i pubblici ministeri di Palermo: il pool coordinato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia vuole portare sul banco degli imputati i vertici della mafia e alcuni vertici dello Stato in carica nella stagione terribile delle bombe. Era la stagione in cui tutti gli uomini delle istituzioni dichiaravano di essere per la linea dura contro i mafiosi che avevano ucciso Falcone e Borsellino. In realtà, qualcuno avrebbe trattato con i boss. Nella migliore delle ipotesi, per evitare altre stragi. Nella peggiore, per accreditarsi come nuovo referente dei mafiosi. Poco importa ai pm di Palermo, che hanno scritto nella richiesta di rinvio a giudizio firmata a luglio: "Hanno agito per turbare la regolare attività dei corpi politici dello Stato Italiano e in particolare del governo della Repubblica". E' questa l'accusa per tutti, mafiosi e uomini delle istituzioni. 
Solo l'ex ministro Mancino risponde di falsa testimonianza. Massimo Ciancimino, che nel 2008 ha avviato con le sue dichiarazioni questa  indagine, ma poi si è perso per strada, è accusato di calunnia nei confronti dell'ex capo della polizia Gianni De Gennaro e di concorso esterno in associazione mafiosa. 
E' in questa lista di nomi il processo per la trattativa Stato-mafia, che viene chiesto dal procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e dai sostituti Nino Di Matteo, Lia Sava, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. Sul rinvio a giudizio deciderà il giudice Morosini, probabilmente fra un mese. Prima, dovranno essere affrontate diverse questioni preliminari. Alcuni imputati chiedono il trasferimento del processo ad altra sede: Mancino punta ad essere giudicato separatamente, al tribunale dei ministri. Questa mattina, saranno avanzate le richieste di costituzione di parte civile: le hanno già annunciate il governo, i comuni di Palermo e Firenze, poi anche il comitato delle Agende Rosse di Salvatore Borsellino.
Ecco la ricostruzione dell'indagine sulla trattativa, attraverso i principali protagonisti:

Calogero Mannino - Antonio Subranni 
Secondo i pm di Palermo, sarebbe stato l'ex ministro per gli Interventi straordinari nel Mezzogiorno ad avviare la trattativa con i vertici di Cosa nostra, all'inizio del '92, perché temeva di essere ucciso, come il suo compagno di partito Salvo Lima. Avrebbe rassegnato le sue preoccupazioni al maresciallo Giuliano Guzzelli, che pur non facendo parte dei reparti investigativi dell'Arma era in ottimi rapporti con l'allora comandante del Ros Antonio Subranni. Mannino avrebbe avuto un ruolo nella trattativa anche nel 1993, "esercitando  -  scrivono i pm  -  indebite pressioni finalizzate a condizionare in senso favorevole a detenuti mafiosi la concreta applicazione dei decreti del 41 bis". L'autista dell'allora vice direttore del Dap, Francesco Di Maggio, ha parlato di una telefonata di Mannino, a cui Di Maggio avrebbe risposto duramente: "A me non possono chiedersi certe cose". 

Mario Mori - Giuseppe De Donno - Massimo Ciancimino
Dopo l'allerta di Mannino, sarebbero stati i carabinieri del Ros ad avviare il dialogo segreto fra Stato e mafia, tramite l'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino: l'allora vice comandante del raggruppamento, il colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno iniziarono ad incontrare riservatamente Ciancimino. Il figlio dell'ex sindaco, Massimo, che dal 2008 collabora con i magistrati, sostiene che suo padre avrebbe fatto da tramite fra gli ufficiali dell'Arma e il vertice di Cosa nostra. I carabinieri hanno invece sempre negato la trattativa, sostenendo che il loro intento era solo quello di far collaborare con la giustizia Vito Ciancimino. Mori sostiene inoltre di aver incontrato l'ex sindaco solo dopo la strage Borsellino, del luglio 1992. Secondo Ciancimino junior, invece, i primi incontri dell'ufficiale col padre sarebbero stati già a giugno.

Salvatore Riina - Antonino Cinà
Il capo di Cosa nostra avrebbe gestito la trattativa Stato-mafia, tramite Vito Ciancimino, recapitando un "papello", ovvero un foglio con alcune richieste allo Stato: l'abolizione del 41 bis, la revisione dei processi e della sentenze, il via libera alla dissociazione anche per i mafiosi. Secondo la ricostruzione della Procura, il papello sarebbe stato consegnato da Riina a Vito Ciancimino, tramite un intermediario, il medico del capo di Cosa nostra, Antonino Cinà. Attraverso Ciancimino il documento sarebbe poi finito nelle mani dei carabinieri, che però hanno sempre negato di averlo ricevuto. Racconta il pentito Giovanni Brusca che nel giugno 1992, Riina disse che la trattativa doveva essere accelerata, "attraverso un colpetto". E fu ucciso Paolo Borsellino, che probabilmente aveva scoperto il dialogo fra Stato e mafia.

Nicola Mancino
L'ex ministro dell'Interno è accusato di falsa testimonianza e non di attentato a un corpo politico, come tutti gli altri indagati. L'ex ministro della giustizia Claudio Martelli sostiene di avergli detto dell'iniziativa del Ros di avviare un colloquio con Ciancimino. "Gli chiesi di attivarsi per impedire quei contatti", ha ribadito anche di recente Martelli. Mancino nega di aver mai parlato con Martelli del Ros e di Ciancimino. Secondo la Procura di Palermo restano misteriosi i motivi per cui Mancino sostituì all'improvviso al Viminale Vincenzo Scotti, proprio nei giorni della trattativa Stato-mafia, a fine giugno 1992. La Procura ritiene che Scotti fosse per la linea dura contro i boss. Contro Mancino, anche le dichiarazioni del pentito Giovanni Brusca: "Riina mi disse che Mancino era il terminale ultimo della trattativa".  
 
Bernardo Provenzano 
Dopo l'arresto di Totò Riina, catturato dal Ros nel gennaio 1993, i boss di Cosa nostra avrebbero proseguito la trattativa Stato-mafia con l'altro capo corleonese, Bernardo Provenzano, che con Vito Ciancimino ha sempre avuto un rapporto privilegiato. Ma anche Ciancimino, intanto, era finito in cella, dal dicembre 1992. Secondo il racconto di Massimo Ciancimino, il nuovo intermediario di Cosa nostra sarebbe stato Marcello Dell'Utri. Nel 1993, fra maggio e luglio, i mafiosi tornarono a far sentire le proprie richieste attraverso le bombe, scoppiate a Roma, Milano e Firenze, che fecero 10 morti. Al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria  fu imposto un altro direttore, Adalberto Capriotti, al posto di Nicolò Amato, e iniziarono strane manovre per alleggerire il carcere duro ai mafiosi. Provenzano fu poi arrestato nell'aprile 2006: secondo i pm, il boss sarebbe stato protetto dal generale Mori, che per questa ragione è sotto processo a Palermo per favoreggiamento.  

Marcello Dell'Utri  - Giovanni Brusca - Leoluca Bagarella
Il ruolo di Dell'Utri, iniziato secondo i pm nel 1993, sarebbe proseguito anche l'anno successivo, quando Silvio Berlusconi divenne presidente del Consiglio. Scrivono i pm: "I capimafia Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca prospettarono al capo del governo in carica Berlusconi, per il tramite di Vittorio Mangano (deceduto) e di Marcello Dell'Utri, una serie di richieste finalizzate ad ottenere benefici di varia natura per gli aderenti all'associazione Cosa nostra (tra l'altro concernenti la legislazione penale e processuale in materia di contrasto alla criminalità organizzata, l'esito di importanti vicende processuali e il trattamento penitenziario). Ponendo l'ottenimento di detti benefici come condizione ineludibile per porre fine alla strategia di violento attacco frontale alle istituzioni".  

Giovanni Conso - Adalberto Capriotti
Nell'ambito di un'inchiesta bis, l'allora ministro della Giustizia Giovanni Conso è accusato di false dichiarazioni al pubblico ministero. I pm di Palermo gli contestano di aver detto il falso a proposito della mancata revoca di 400 provvedimenti di 41 bis, nel novembre 1993. L'ex Guardasigilli ha sempre detto di aver preso questa scelta in solitudine. La Procura di Palermo sostiene invece che così non fu dopo aver ritrovato una nota dell'allora direttore del Dap, Adalberto Capriotti, che nel giugno 1993 consigliava a Conso di allegerire il carcere duro per i mafiosi, al fine di creare un clima "più distensivo nelle carceri". Anche Capriotti è indagato per false dichiarazioni al pubblico ministero, ma la posizione sua e quella di Conso andranno a giudizio solo dopo la conclusione del processo che riguarda i dodici imputati.
 

martedì 23 ottobre 2012

Lettera dell'Osservatorio 0121 all'amministrazione pinerolese


Prosegue il dibattito sull'assetto urbanistico di Pinerolo. 
La scorsa settimana abbiamo pubblicato l'intervista al dott. Chiabrando e all'ing. Bruera, del gruppo Progetto per Pinerolo. Nei prossimi giorni pubblicheremo l'intervista all'arch. Luca Barbero capogruppo del PD pinerolese in Consiglio Comunale.


L'associazione "Osservatorio 0121", la sezione pinerolese del Forum "Salviamo Il Paesaggio" hanno indirizzato all'amministrazione pinerolese una lettera aperta sul tema urbanistico. 
La pubblichiamo concedendoci la libertà di evidenziare passaggi che riteniamo importanti.
Infine, i commenti alla lettera giunti proprio dai consiglieri che abbiamo intervistato, Andrea chiabrando e Luca Barbero

"Osservatorio 0121 " 
"Salviamo Il Paesaggio"
Al Sindaco
Agli Assessori
Al Presidente del Consiglio comunale
ai Consiglieridella Città di Pinerolo

È in discussione presso la Commissione Urbanistica del nostro comune una deliberazione contenente criteri e procedure di valorizzazione urbanistica delle aree industriali in dismissione. La decisione di adottare un tale atto ci preoccupa grandemente per i motivi di seguito illustrati.
La crisi, innescata dalla speculazione, viene alimentata dalla sovrapproduzione di beni che, poi, restano invenduti. Ciò è particolarmente evidente nell’edilizia. Si è costruito tanto, troppo e, dal punto di vista della qualità architettonica e del risparmio delle risorse energetiche, in modo, a dir poco, disastroso. Sono molte le case invendute ed i capannoni vuoti: non trovano acquirenti e questo ne riduce il valore di mercato, vanificando la garanzia a copertura dei mutui.
I prezzi scendono ma non abbastanza da compensare l’impoverimento che la crisi ha prodotto, soprattutto su chi vorrebbe comprar casa. Difficoltà che aumentano mancando la sicurezza data da un posto di lavoro stabile. In questo quadro Pinerolo non fa eccezione, sono migliaia, infatti, in città vani non utilizzati: un grande spreco di risorse reso possibile anche da un Piano Regolatore, che alla luce dei fatti è risultato fortemente sovradimensionato. Fu un errore di pianificazione (o forse il preciso mandato del partito trasversale del cemento”) che da più parti è stato successivamente riconosciuto, ma senza che si sia posto ancora mano ad una seria revisione.
Nonostante l’evidenza dei danni che, l’eccessivo consumo di suolo e la sua impermeabilizzazione hanno creato al territorio italiano, la legge 106/ 2011, la cui applicazione viene in questi giorni discussa in Comune, rende più agevole costruire ancora. Come? Con le deroghe al P.R.G.C. Si parte con le aree industriali che la proprietà vuole dismettere (una richiesta, in tal senso, è già pervenuta al Comune dalla P.M.T. – ex Beloit). In genere, l’elemento essenziale per convincere tutti è il ricatto occupazionale. Anche se, l’esperienza mostra, che l’aggiornamento degli impianti produrrà altri esuberi. A seguire verranno: la realizzazione di volumetrie aggiuntive in deroga al piano regolatore, il mutamento di destinazione in atto (non solo per quella industriale), la demolizione e la ricostruzione degli edifici anche con modifica di sagoma. Tutte operazioni che l’articolo 5 della legge prevede possano sovrapporsi al P.R.G.C. Già si parla, in Città, di varie possibili iniziative simili, che porterebbero ad aggiungere nuove costruzioni a quelle previste da un piano regolatore che, nei propositi elettorali della maggioranza, sarebbe dovuto “dimagrire”.
La legge, peraltro, secondo noi, è scritta male. La terminologia fantasiosa quanto generica (“razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente”, “tessuti edilizi inorganici o incompiuti”, “destinazioni tra di loro compatibili e complementari”, “armonizzazione architettonica con gli edifici esistenti”, …) si presta a diverse interpretazioni e può generare scelte “disinvolte. E’ facile prevedere contenziosi. “Valorizzazione”, “perequazione”e “contrattazione”, apparentemente, sembrano strumenti messi a disposizione dell’urbanista ma, in realtà, sono il grimaldello con il quale viene scardinato il processo di pianificazione con il risultato di subordinare l’interesse pubblico a quello privato. E’ del tutto evidente che si sostituisce, al sistema delle regole certe, una contrattazione nella quale emerge, come soggetto “forte”ed unico interlocutore della “politica”, chi detiene una proprietà fondiaria. Ad esempio “valorizzare”, come appare in tutta chiarezza, dalla proposta di delibera della Giunta, significa “regalare” valore ad alcune aree. In cambio una parte del ricavabile verrebbe acquisita dal Comune che, in tempo di crisi e di “tagli”, è in grave difficoltà finanziaria . Apparentemente ci guadagnano tutti (privati proprietari delle aree ed Istituzione). Alla lunga, però, a perderci è la città che viene privata della possibilità fare scelte urbanistiche sulla base dell’interesse pubblico.
Per dare una base giuridica a queste politiche urbanistiche “contrattate” si sono inventati i “diritti edificatori” spostabili da un’area all’altra e, con l’iscrizione in un apposito registro, trattabili tra i privati. L’edizione aggiornata de : “Le mani sulla città”.
Vi è un ulteriore rischio : nell’attuale situazione di riduzione dell’utile d’impresa e di scarsa liquidità , ad avere interesse a costruire è, soprattutto, chi dispone di capitali non proprio “puliti”. Sappiamo da tempo che le infiltrazioni malavitose in Piemonte hanno trovato nell’edilizia il loro cavallo di Troia.
Infine vogliamo sottolineare che adottare come “normale” l’uso del regime delle deroghe previsto dalla Legge 106/2011, con un’apposita deliberazione di indirizzo , fa sì che lo si renda, di fatto, alternativo allo strumento delle varianti al Piano Regolatore, facendo così cadere quel poco di partecipazione e di controllo democratico che i cittadini possono esercitare tramite le osservazioni. Accettare o meno il ricorso a questi meccanismi è una scelta politica. Il Consiglio Comunale non ha alcun obbligo di far ricorso allo strumento della” valorizzazione” delle aree, né tantomeno di adottare “criteri generali” che finirebbero per condizionare pesantemente le scelte future. La deroga ai normali strumenti di gestione urbanistica dovrebbe avere alla base solo l’interesse pubblico (non limitato alla riqualificazione dell’area o al versamento di oneri, ma ad esempio nel caso di pericolo) e l’eccezionalità dell’intervento.
Quello che, a nostro parere, serve alla Città è ben altro. I consiglieri, delegati dai cittadini a rappresentarli, ma anche soggetti alla responsabilità che questo comporta, dovrebbero aprire, con tutti i mezzi a disposizione, un dibattito sul futuro urbanistico di Pinerolo. Sono necessarie chiare, indipendenti e ulteriori indagini conoscitive, incontri con la popolazione (anche, e soprattutto, nei quartieri sede di stabilimenti in dismissione) per conoscere i bisogni reali dell’area, confronto con altre esperienze , concorsi di idee, coinvolgimento delle scuole. Occorre elaborare insieme il progetto di una città inserita in un mondo che sta cambiando, anche come conseguenza della crisi in atto . Ciò ci induce, diversamente che nel passato, al risparmio di suolo e alla riqualificazione dell’esistente da attuare con scelte attente e partecipate. Non si può rispondere al nuovo con le vecchie politiche.
Il futuro, che ci piaccia o no, sarà necessariamente altro.
Chiediamo perciò all’Amministrazione di non adottare la deliberazione relativa alle linee guida per lavalorizzazione delle aree industriali in dismissione avviando invece il confronto con i cittadini per la revisione del P.R.G.C.
 Salviamo il paesaggio. Difendiamo i territori.
Osservatorio 0121

Pinerolo 18 ottobre 2012
Andrea Chiabrando: 
Buongiorno,
vi ringrazio per il prezioso contributo.
Mi pare che le posizioni che abbiamo pubblicamente espresso fin dall'inizio del bibattito siano in linea con quanto da voi sottolineato.Vi allego in proposito la lettera da noi inviata al Consiglio e vi rimando al link sul nostro sito per tutto il materiale. http://www.progettopinerolo.it seguendo poi i link da post Valorizzazioni
Cordiali saluti,
Andrea Chiabrando

Luca Barbero:
Due brevissime riflessioni. Non avendo la Regione Piemonte adottato nessun provvedimento normativo o legislativo entro i termini contenuti nell’art. 5 della 106-2011 mi sembra indiscutibile che l’applicazione della deroga dovrebbe avvenire solamente ai sensi dell’art. 14 del testo Unico sull’edilizia n. 380 e quindi in quei casi dove si manifesti un interesse pubblico.  Stabilire in modo oggettivo però cosa significhi interesse pubblico diventa non facile. Nella prima parte della lettera si evidenzia come le scelte urbanistiche degli ultimi anni a Pinerolo siano state dettate da un non meglio identificato partito trasversale del cemento. Essendo io stato segretario del PDS-DS dal 1998 al 2007, e quindi per buona parte degli ultimi mandati amministrativi, vorrei che mi venisse spiegato meglio cosa intendete per partito trasversale del cemento e chi ne sarebbero i “titolari” passati e presenti. Alla fine, anche se per ragioni in parte diverse, condivido però che, probabilmente, sarebbe preferibile non deliberare nulla sull’applicazione o sull’applicabilità di quanto contenuto nella 106 e condivido anche che sarebbe opportuno aprire un confronto ampio sul futuro urbanistico di Pinerolo. 
Luca Barbero

lunedì 22 ottobre 2012

La rabbia di Piera, testimone di giustizia per orgoglio e per amore


"Piera Aiello, testimone di giustizia, è la cognata di Rita Atria. In questi giorni viene pubblicato il suo libro "Maledetta mafia".
Partanna (Trapani). Piera Aiello ha solo 18 anni quando giorni dopo il matrimonio il suocero, Vito Atria un piccolo mafioso locale, viene assassinato. Nel 1991 la stessa sorte tocca a Nicolò, sotto gli occhi impotenti di Piera. "Dopo quell’omicidio in Piera scatta qualcosa:"come impongono le regole della mia terra, con una bimba di tre anni da crescere e una rabbia immensa nel cuore. In quel momento il destino ha messo un bivio lungo il mio percorso: dovevo scegliere quale futuro dare a mia figlia Vita"

Il momento di svolta è l’incontro con un uomo che una mattina, scrive Piera: "mi ha preso sottobraccio e mi ha piazzato davanti ad uno specchio, eravamo in una caserma dei Carabinieri”. 
Quell’uomo è Paolo Borsellino”."Da quando lo"zio Paolo"mi ha piazzato davanti a quello specchio e mi ha ricordato chi ero, da dove venivo e dove sarei dovuta andare, sono diventata una testimone di giustizia. Io non ho mai commesso reati, né sono mai stata complice dei crimini di mio marito e dei suoi amici, gli stessi che poi ho accusato nelle aule dei tribunali e nelle corti d’assise. Quel che è certo è che la mia storia, la mia vita, è stata rivoluzionata dalla morte”.
La morte: la morte di Paolo Borsellino e  la morte di Rita Atria, sua cognata, che a 17 anni decide di ribellarsi al sistema mafioso, ma dopo l’assassinio di Borsellino non riesce a reggere al dolore e si toglie la vita.
Nonostante tutto Piera continua ad andare avanti, sostenuta da una determinazione incrollabile e dalla
consapevolezza che l’eredità di Falcone, Borsellino e Rita non puo' andare perduta:''Ecco perche' oggi ho due nomi e due cognomi che corrono paralleli, che a volte si incrociano, si sovrappongono, che si respingono e si fondono”.(Fonte: Antimafiaduemila)

 Fonte: Corriere della Sera
La rabbia di Piera testimone di giustizia per orgoglio e per amore

Piera Aiello è una donna coraggiosa. Una donna che ha sempre sfidato le regole non scritte della sua terra. Di quella Sicilia degli anni ’80, in cui la parola “mafioso” poteva essere sinonimo di “paciere”. Una ribelle nei gesti e nelle parole che si “permette” di rispondere a suo suocero, don Vito Atria, che non accetta i tradimenti di quello che diventerà suo marito, Nicola. E si piega al matrimonio per far sì che smettano “gli atti di ritorsione contro di me e la mia famiglia”. Accetta il suo destino. “Penso che vivrò una vita tranquilla, pianificata come quelle di molte altre mie amiche. Invece mi sbaglio”. Così non esita nemmeno un secondo a prendere a calci il fucile per cercare di salvare la vita a Nicola. Un gesto disperato che però non serve a nulla. E quindi sceglie. Non vuole “diventare un vedova di mafia”. Ma decide per lei e la figlia di tre anni una nuova vita. Un percorso che le porta lontano da casa. E che si incrocia con il destino di Paolo Borsellino. Piera diventa la prima testimone di giustizia in Italia. Piera, è una donna che non si è mai arresa. Nemmeno quando lo Stato l’ha “abbandonata”.
Lei, continua a lottare. Ed è per questo che ha scritto il libro, con Umberto Lucentini, “Maledetta Mafia” (edizione SanPaolo, 176 pagine euro12,00). “Ho voluto raccontare la mia vita anche perché vorrei che si continuasse a parlare dei testimoni di giustizia, quei cittadini che hanno scelto di aiutare la magistratura, non per uno sconto di pena. Ma perché abbiamo voluto fare il nostro dovere. E quando non siamo più utili, lo Stato ti butta via come se fossimo un limone spremuto”. C’è tanta rabbia nella sua voce. Amarezza per le “delusioni” che le hanno dato “burocrati e persino carabinieri”. Uomini dell’arma che “per leggerezza hanno rivelato la mia vera identità nel Paese in cui vivo”. Già, Piera ha dovuto cambiare nome, città, vita. Perché “la mafia non dimentica”. E il suo è un segreto da non rivelare. Lei e la figlia Vita Maria, oggi ventenne, potrebbero essere in pericolo.
Ma la frustrazione per uno “Stato assente” è stata ripagata “con la solidarietà della società civile”. Nel libro racconta anche questo. Tutte quelle persone che, in un percorso lungo più di vent’anni, l’hanno sostenuta, aiutata anche rischiando la propria incolumità. Dal dirigente scolastico che accetta di iscrivere la figlia a scuola sotto falso nome (l’identità non le era ancora stata cambiata) a quella vicina di casa che, oggi, sapendo la sua storia la protegge con il suo silenzio
Ma “l’incontro più bello della vita” è stato con Paolo Borsellino. È stato lui, proprio quando  Piera era incerta se continuare o no il percorso di testimone, a metterladavanti a uno specchio” e domandarle: “Cosa vedi?”. Era il 1991, aveva 21 anni. Una figlia di tre. E quella voglia di portare avanti i valori trasmessi dai genitori: “L’onestà, il servizio per gli altri, la correzione dei comportamenti sbagliati”. Il suocero era stato assassinato mentre lei era in viaggio di nozze. Da quel momento il marito non ha fatto altro che pensare alla “vendetta”. E lei non è riuscito a convincerlo. “Vai a denunciare tutto ai carabinieri”, continuava a ripetergli. Non è successo. E lui è stato ucciso. Comincia il suo percorso, appunto, con Borsellino. La segue la cognata Rita, 18 anni. Erano legatissime. Insieme lasciano la Sicilia per Roma. E quando Borsellino viene ucciso, dopo una settimana, questa giovane si butta dalla finestra.
Per Piera è un nuovo dolore. Una ferita che non si rimarginerà mai. Ma è riuscita comunque ad andare avanti. Nel 1997 Piera si è resa autonoma dal sistema. E con una certa fierezza spiega: “Io vivo del mio lavoro. Ho fatto tutto da sola, lo Stato non mi ha aiutata”. Nel frattempo ha continuato a testimoniare. Ha onorato quell’impegno preso con Borsellino e portato avanti “con quei procuratori coraggiosi”. Oggi è portavoce dei testimoni di giustizia. “Noi abbiamo fatto il nostro dovere, oggi vogliamo i diritti”. La invitano dovunque. Lei va nelle scuole, parla con i giovani. Racconta la sua storia. “Mai una volta i ragazzi hanno violato la mia privacy. Non mi hanno mai fotografato né hanno divulgato mie immagini”. Ogni volta in classe ripete: “Anche se lo Stato non c’è, dobbiamo essere puliti dentro. Non è necessario essere degli eroi. Basta fare la nostra piccola parte ogni giorno e non ci sarebbe bisogno di nessun testimone”.

venerdì 19 ottobre 2012

Il presidio “Rita Atria” incontra il dott. Andrea Chiabrando e l'ing. Marcello Bruera, consiglieri eletti per il gruppo "Progetto per Pinerolo."

Sentinelle del territorio. Le vicende urbanistiche della città di Pinerolo.
L’urbanistica ci pare un tema importante in quanto, a nostro parere, può rappresentare un indicatore utile ad individuare gli scopi, gli indirizzi,  il “progetto generale” che guida e determina il carattere di una amministrazione locale.
A questo proposito il presidio “Rita Atria” incontra il dott. Andrea Chiabrando e l'ing. Marcello Bruera, consiglieri eletti per il  gruppo "Progetto per Pinerolo".

Le domande rivolte al gruppo “PROGETTO per PINEROLO”

  1. Introduzione all'incontro
  2. (dal min. 3.30) Perché a vostro parere non è stato posto in discussione l’attuale Piano Regolatore Generale di Pinerolo da tutti considerato -a parole- superato e sovradimensionato ?
  3. (dal min. 9.45) Nell’ultima seduta della Commissione urbanistica (seduta del 1 ottobre 2012) è stato detto dal vostro gruppo che l’applicazione della legge 106/2011 contiene elementi che rischiano di depotenziare il disegno e gli indirizzi del Piano Regolatore. Perché?
  4. (dal min. 18.45) Il principio della edificazione regolamentata prevede che colui che detiene il diritto di edificare, impresa o privato, debba versare degli “oneri alla collettività”: in termine tecnico, oneri di urbanizzazione (primaria e secondaria). Quali sono, se vi sono, i cambiamenti introdotti dalla nuova legge?
  5. (dal min. 22.20) Si è detto che si potrebbero creare disparità fra gli operatori del campo edilizio, cioè fra coloro che fruiscono delle agevolazioni previste dalla legge e coloro che non ne possono fruire. Quali sono queste agevolazioni e queste disparità?
  6. (dal min. 24.20) Perché nell’ultima seduta della Commissione Urbanistica la maggioranza politica di Pinerolo ha espresso chiaramente l’intenzione di volersi esprimere su di un caso “particolare e specifico”, l’area della PMT, prima ancora che sia definito il quadro regolamentare generale sul tema delle valorizzazioni?
  7. (dal min. 29.40) Il ricatto occupazionale: una azienda quale la PMT -che impiega circa 250 dipendenti nello stabilimento pinerolese- può davvero fondare il suo piano industriale a medio termine, quindi il mantenimento dei posti di lavoro, sul ricavo derivante da una “speculazione edilizia” quale quella derivante dal cambiamento di destinazione d’uso richiesto per una sua aerea?
  8. (dal min. 30.15) Quali sono a vostro parere gli strumenti coi quali l’amministrazione può vincolare le aziende al mantenimento occupazionale a medio termine, dal momento che sembra essere questo spesso l’oggetto del patto fra impresa e collettività?
  9. (dal min. 37.00) Il momento storico che viviamo: la crisi. Ci è parso interessante il quesito posto alla maggioranza da un consigliere dell’opposizione:  quello proposto dalla PMT, e gli altri interventi abbozzati,  sono “progetti virtuosi” per la città di Pinerolo?”. Ovvero: rispondono davvero quei progetti ai bisogni di una comunità nella quale esistono già 4.000/5.000 alloggi sfitti e che presenta fasce della popolazione già interessata da una crisi economica e quindi dalla cosiddetta “emergenza–casa” ?
  10. (dal min. 44.00) Perché le banche continuano a finanziare l’edilizia generando un eccesso di offerta, mentre invece questi fondi potrebbero esse impiegati più utilmente in altre attività o nel ricercare altre attività? Quali altri e nuovi strumenti da adottare?
  11. (dal min. 51.40) Riproponiamo una domanda che avevamo posto a Marco Gaido e a Massimiliano Puca, promotore e presidente della neo-nata Commissione Consiliare Speciale: “Poichè l'urbanistica  e l'edilizia, come governo e utilizzo del territorio da parte di una amministrazione, sono purtroppo da sempre i settori che maggiormente hanno risentito dell’infiltrazione mafiosa, per il riciclo del "denaro sporco" e come posta per il "voto di scambio", ritenete pertanto che l'urbanistica e l'edilizia del territorio di Pinerolo siano settori da “attenzionare”?
  12. (dal min. 59.40): cenno sulla riflessione del Procuratore della Repubblica dott. Ciro Santoriello sulla penetrazione delle mafie al Nord
  13. (dal h. 01.02.00): Massimiliano Puca ha parlato più volte dell’attuale maggioranza del Consiglio Comunale di Pinerolo come delpartito del cemento”. Questa definizione è solo una battuta o trova conferme, o ipotesi, nell’azione amministrativa dell’attuale maggioranza?  
  14. (dal h. 01.07.50): Come amministratori, vi sentite responsabili della bellezza di questa città? Quali sono le azioni che potrebbero essere intraprese per cercare di superare questo momento di crisi che pare aver scolorito i colori dei nostri orizzonti e dei nostri pensieri?
  15. (dal h. 01.10.50): La domanda di  Andrea Chiabrando rivolta al presidio "Rita Atria"

giovedì 18 ottobre 2012

Ndrangheta in Piemonte: al via il maxi processo


Prima udienza del dibattimento ordinario. Tra gli imputati alla sbarra ci sono l’ex sindaco di Leini’, Nevio Coral, e  Antonino Battaglia ex segretario comunale di Rivarolo (Torino)


fonte : LA Stampa

’Ndrangheta, al via il maxi processo


Il procuratore Gian Carlo Caselli
Sono 75 gli imputati alla sbarra
Altri 58 sono già stati condannati con rito abbreviato il 2 ottobre scorso
TORINO
Si è aperto con il lungo appello dei 75 imputati fatto dal giudice Paola Trovati, la fase dibattimentale del processo nato dall’operazione Minotauro, contro le infiltrazioni della `ndrangheta in Piemonte. Presente nell’aula bunker del carcere delle Vallette di Torino, vicino al pool di magistrati che sostiene l’accusa, coordinato dal procuratore aggiunto Sandro Ausiello, anche il procuratore capo Gian Carlo Caselli.  

Ad assistere all’udienza, anche il presidente del Tribunale di Torino, Luciano Panzani. Dietro i vetri a lato dell’aula ci sono gli imputati ancora detenuti mentre il pubblico, tra cui diversi parenti che cercano di salutare i loro congiunti detenuti, si trova in fondo all’aula, separato da un vetro dalla zona riservata agli avvocati. In tutto circa un centinaio i difensori che nei prossimi mesi saranno impegnati nel dibattimento.  

Una prima tranche del processo Minotauro si è chiusa lo scorso 2 ottobre con 58 condanne, con pene fino a 13 anni e sei mesi in rito abbreviato e con 14 assoluzioni. Tra gli imputati alla sbarra ci sono l’ex sindaco di Leini’, Nevio Coral e l’ex segretario comunale di Rivarolo (Torino) Antonino Battaglia. A Leini’ e Rivarolo, la scorsa primavera, i consigli comunali sono stati sciolti per mafia. In apertura del processo si sono costituiti parte civile la Regione Piemonte, la Provincia e il Comune di Torino, e i comuni di Leini’, Volpiano, Chivasso e Moncalieri, oltre all’associazione Libera di don Luigi Ciotti.  

mercoledì 17 ottobre 2012

Processo Minotauro, il Comune di Torino si costituisce parte civile

fonte; CITTAGORA', Periodico del Consiglio comunale di Torino

Processo Minotauro, il Comune di Torino parte civile

16-10-2012
Giovedì 18 ottobre alla prima udienza interverrà il presidente della Commissione Antimafia Roberto Tricarico
La seduta del 16 ottobre 2012








“Come chiesto dalla Commissione Speciale di promozione della cultura della legalità e del contrasto dei fenomeni mafiosi, la Città di Torino ha formalizzato con una deliberazione di Giunta l’impegno a costituirsi parte civile nel cosiddetto Processo Minotauro”. Lo ha riferito il presidente della Commissione Roberto Tricarico, durante la seduta del 16 ottobre, dedicata ad approfondire il tema delle opere pubbliche e delle grandi infrastrutture nel settore dei trasporti, in cui Giancarlo Guiati, a.d. di Infra.To srl, ha presentato la bozza di protocollo per la prevenzione di infiltrazioni della criminalità organizzata nei lavori della linea 1 della metropolitana, nel tratto Lingotto-Bengasi.
Il processo Minotauro mira ad accertare fatti di reato di estrema gravità, perché l’indagine svolta dalla Procura della Repubblica ha disvelato l’esistenza di un’associazione per delinquere di stampo mafioso che, avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà, si proponeva di commettere una serie di reati nel territorio di Torino e Comuni limitrofi.
Il Comune di Torino – ha spiegato Roberto Tricarico – ha subito danni patrimoniali e non patrimoniali riconducibili ai fatti di reato contestati, anche in quanto Ente esponenziale della collettività residente sul territorio. La costituzione di parte civile era un atto doveroso, per affermare la cultura della legalità nel nostro territorio”.
Giovedì 18 ottobre, alla prima udienza avanti alla Quinta sezione penale del Tribunale di Torino, l’avvocatura del Comune di Torino depositerà la richiesta al magistrato. Presenzierà nell’aula giudiziaria il presidente Tricarico.
Diversi i reati contestati: delitti in materia di armi, esplosivi e munizionamento, contro il patrimonio, la vita e l’incolumità individuale, in particolare commercio di sostanze stupefacenti, estorsioni, usure, furti, abusivo esercizio di attività finanziaria, riciclaggio, re-impiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche, corruzioni, favoreggiamento di latitanti e di persone attinte da ordine di esecuzione pena, corruzione e coercizione elettorale, intestazione fittizia di beni, ricettazione, omicidi; gestione e/o controllo di attività economiche, in particolare nel settore edilizio, movimento terra, esercizi commerciali, locali di intrattenimento, ristorazione, sale da gioco e distribuzione e installazione di apparecchi videopoker; acquisizione di appalti pubblici e privati; ostacolo al libero esercizio del voto, procurando a sé oppure ad altri voti in occasione di competizioni elettorali, convogliando le preferenze su candidati direttamente o in via mediata contattati ovvero su candidati a loro vicini in cambio di future utilità.

Nella foto: La seduta della Commissione Speciale del 16 ottobre 2012.
Massimiliano Quirico


Yvan Sagnet. L'eroe qualunque, il ragazzo africano che si è ribellato ai "caporali" del Sud



Quando gli stranieri ci insegnano le regole della democrazia: rischiare la vita per una democrazia diversa. Una battaglia che molti italiani hanno rinunciato a combattere. 
Accadde già con Anne Marie Tsagueu, la  donna che ebbe il coraggio di testimoniare contro gli agenti nell’ambito dell’inchiesta sulla morte di Federico Aldrovandi, sebbene all'epoca fosse una "clandestina"


Fonte : LA Repubblica
di ROBERTO SAVIANO
L'eroe qualunque, il ragazzo africano che si è ribellato ai "caporali" del Sud
la copertina del libro
Yvan Sagnet arriva dal Camerun anche grazie alla passione per il calcio. Ma scopre il lato peggiore dell'Italia. La sua storia è diventata un libro che racconta la rivolta contro lo sfruttamento dei migranti nelle campagne pugliesi. http://www.migrantitorino.it/?p=16753
 QUESTA è una storia d'amore nata per caso tra un bambino e un Paese, la racconta Yvan Sagnet nel suo libro Ama il tuo sogno (Fandango). Il bambino è Yvan che nel 1990 aveva 5 anni e il Paese è l'Italia. È una storia d'amore che parte dal calcio. Yvan è nato Douala, in Camerun, nel 1985 e nel 1990, come molti bambini camerunensi, visse la cavalcata trionfale dei Leoni d'Africa nel mondiale, dalla prima partita con l'Argentina di Maradona fino ai quarti di finale contro l'Inghilterra. Napoli, domenica primo luglio. Ancora oggi chi c'era ricorda i tifosi del Camerun, coloratissimi, sportivi e con l'espressione di chi non poteva credere a ciò che stava accadendo. 
Essere arrivati fino a lì aveva del miracoloso: il Camerun era la prima squadra africana a raggiungere i quarti di finale in Coppa del Mondo. E Napoli, dove si svolse la partita, tifò con loro sperando nel miracolo. La partita fu incredibile, con il Camerun in vantaggio per 2-1 fino a otto minuti dal termine dei tempi regolamentari. Poi il primo rigore all'Inghilterra, i supplementari, il secondo rigore e la sconfitta. A Yvan quella partita ha cambiato la vita. Il ricordo del rientro in patria della nazionale, che pur non avendo vinto il mondiale aveva ottenuto il rispetto di tutto il mondo, per Yvan significava una sola cosa: un nuovo sguardo sul suo paese, maggiore attenzione su un Camerun in crisi economica e politica. E questo nuovo sguardo era stato possibile proprio grazie al mondiale e al paese che lo aveva ospitato.A scuola il programma di economia dei licei camerunensi prevedeva lo studio del sistema economico francese, ma lui decise per conto suo di specializzarsi sull'economia italiana. 

Dal calcio all'economia. Yvan impara l'italiano e con un permesso di studio si iscrive all'università di Torino perché vuole diventare ingegnere. Finalmente può conoscere dal vivo il calcio italiano che ha amato da bambino. Tifa Juventus ma la prima partita dal vivo della sua vita la vede di spalle, come steward, allo stadio. Sono i primi di luglio del 2011 e i soldi della borsa di studio non bastano. Alcuni amici di Torino gli dicono che al Sud si può andare a lavorare per la raccolta del pomodoro perché serve manodopera. Così Yvan decide di trasferirsi nelle campagne salentine, a Nardò, dove sa di una masseria che accoglie i braccianti che fanno la stagione, togliendoli dalla strada, dove spesso dormono accampati sotto gli alberi, dentro case di cartone, senza acqua né corrente elettrica. Eppure anche alla Masseria Boncuri, nonostante l'impegno di tante associazioni di volontariato, la longa manus dei caporali detta le sue leggi.

   Appena arrivati, i caporali requisiscono i documenti ai braccianti e li usano per procurarsi altra mano d'opera, altri immigrati, ma clandestini. Il rischio che i documenti vadano persi è altissimo e quando accade i braccianti diventano schiavi. Le condizioni di lavoro sono agghiaccianti: diciotto ore consecutive, di cui molte sotto il sole cocente. Chi sviene non è assistito e se vuole raggiungere l'ospedale deve pagare il trasporto ai caporali. Il guadagno è di appena 3,5 euro a cassone, un cassone è da tre quintali e per riempirlo ci vuole molto tempo, ore. Si lavora con questi ritmi anche durante il Ramadan, quando molti lavoratori di religione islamica non bevono e non mangiano. In Italia la disoccupazione è una piaga che sembra insanabile. Eppure questi ragazzi trovano lavoro, trovano un lavoro a condizioni inaccettabili per quasi la totalità dei disoccupati italiani.
Si crede che i ragazzi africani siano abituati a una vita di disumanità, sporcizia, alloggi immondi e quindi questa attitudine alla suburra la sopportino in Italia perché medesima nel loro paese. 
Nulla di più falso. Yvan scrive: "Mentre nel mio paese la dignità è sacra, a tutti livelli della scala sociale, il sistema dei campi di lavoro (in Italia, ndr) è appositamente studiato per togliere ai braccianti anche l'ultimo scampolo di umanità". Ma accade qualcosa che i caporali non hanno previsto. I braccianti in genere strappano le piantine alla radice per batterle sulle cassette così che i pomodori cadono tutti. Ma quel giorno il caporale impone un altro metodo. Servono pomodori da vendere ai supermercati per le insalate, quindi devono essere presi e selezionati uno a uno. Si tratta di riempire gli stessi cassoni di sempre, ma selezionare i pomodori significa raddoppiare la fatica. Il caporale impone tutto questo lavoro allo stesso prezzo: Yvan e gli altri braccianti non trovano alternative, si sollevano. È l'inizio della rivolta e Masseria Boncuri ne diventerà il simbolo con l'enorme striscione "Ingaggiami contro il lavoro nero". Ma lo sciopero non è facile da gestire soprattutto perché è quasi impossibile comunicare tra i diversi gruppi etnici. Gli unici a esprimersi facilmente in italiano sono i tunisini; per altri (bukinabé, togolesi, ivoriani, ghanesi, nigeriani, etiopi, somali) è necessario parlare in inglese e francese; altri capiscono solo la lingua araba. Eppure, nonostante le diversità, lo sciopero continua: tante culture e tante visioni della lotta hanno finito per essere non la debolezza ma la forza della protesta, che a un anno e mezzo da quella di Rosarno, è più organizzata e riesce a guadagnare un'eco nazionale.
Gli italiani sembrano prendere finalmente coscienza delle condizioni difficili di chi lavora nei campi e le istituzioni sono costrette ad ammettere che il problema caporalato esiste.

La magistratura trova la forza per continuare le indagini già in corso, spesso protette da omertà e scarsa collaborazione, e a maggio 2012 i carabinieri del Ros arrestano 16 persone  -  presunti caporali e imprenditori agricoli  -  nell'ambito dell'operazione "Sabr" che ha colpito un'organizzazione criminale attiva tra Rosarno, Nardò e altre città della Puglia. Ma la reazione alla rivolta, allo sciopero, al clamore mediatico, all'inchiesta della magistratura e agli arresti, non si fa attendere. Alessandro Leogrande (autore peraltro di un importante reportage Uomini e caporali sui desaparecidos polacchi nel triangolo del pomodoro vicino Foggia) nell'intervista finale che accompagna il libro di Yvan Sagnet, svela che c'è un piano per uccidere Yvan e lo hanno ordito alcuni caporali tunisini che ancora operano a Nardò. 
La vita del primo leader nero italiano è, oggi, seriamente in pericolo. 
Quello che sento di poter fare con queste righe è non lasciarlo solo. Senza il suo impegno, senza questo ragazzo africano e gli altri che hanno lottato con lui, non esisterebbe la legge contro il caporalato, eppure i caporali esistono al Sud da più di un secolo. 
La speranza del mezzogiorno italiano sta proprio in questa parte d'Africa che arrivata al Sud, trasforma il Sud e rimette in gioco interi territori, migliorandoli.
Rischia la vita per una democrazia diversa, una battaglia che molti italiani hanno rinunciato a combattere

martedì 16 ottobre 2012

Corruzione: all'Italia costa 60 miliardi. Appalti gonfiati del 40%

Mentre la crisi economica segna la vita di molti italiani, per i quali "non si trovano le risorse" che possano acconsentire a misure di sostegno del reddito, corrotti e corruttori, cosche-cricche e caste continuano a godere di immensi guadagni illeciti.
Il "libro dei sogni" di come potrebbe essere l'Italia se, a strangolarla, non ci fosse l'Idra a tre teste della corruzione ( a cui si aggiunge il mostro delle mafie) 

fonte: La Repubblica
Il libro bianco del governo sarà presentato lunedì prossimo a Palazzo Chigi. Oltre 400 pagine frutto del lavoro della commissione del ministero della Funzione pubblica: "Intervenire ora con la prevenzione". Il premier: "Il diffondersi di pratiche corruttive mina la fiducia dei mercati, scoraggia gli investimenti, danneggia la competitività". Deleghe subito dopo l'ok al testo Severino. Stop ai condannati nelle liste elettorali

ROMA - Lo apre una prefazione di Monti. Lo chiude un elenco dei più importanti documenti internazionali sulle politiche anti-corruzione. In mezzo c'è il "libro dei sogni" di come potrebbe essere l'Italia se, a strangolarla, non ci fosse l'Idra a tre teste della corruzione. Quella che condanna le imprese grandi e medie del nostro Paese a perdere il 25% del loro tasso di crescita, che sale al 40% per quelle più piccole. Il rapporto sulla corruzione in Italia - di cui Repubblica anticipa i contenuti - sarà presentato lunedì 22 ottobre, a palazzo Chigi, e poi ancora il 6 novembre alla Treccani. Le oltre 400 pagine sono il frutto del lavoro della commissione costituita presso il ministero della Funzione pubblica dal titolare Filippo Patroni Griffi. Con l'obiettivo, come ha detto più volte lo stesso ministro, di "contrastare il fenomeno con la prevenzione, perché la repressione arriva ormai a danni già fatti".

L'ALLARME DI MONTI
Non servono molte parole al capo del governo per etichettare la corruzione per quello che è e per gli effetti che produce. Scrive: "Il diffondersi delle pratiche corruttive mina la fiducia dei mercati e delle imprese, scoraggia gli investimenti dall'estero, determina quindi, tra i suoi molteplici effetti, una perdita di competitività del Paese". Per questo, dice ancora Monti, "la lotta alla corruzione è stata assunta come una priorità del governo".
I dati parlano chiaro: nella classifica del Corruption Perception Index di Trasparency International l'Italia è al 69° posto con Ghana e Macedonia. E nell'indice di percezione della corruzione che va da 1 a 5, come scrive il rapporto, "le rilevazioni attribuiscono 4,4 ai partiti, 4 al Parlamento, 3,7 al settore privato e della pubblica amministrazione".
la campagna di Libera contro i corrotti
Nel volume si ammette che il 64% degli intervistati "ritiene inefficace la risposta del governo ai problema della corruzione".

SUBITO LE DELEGHE
Al richiamo di Monti la commissione anti-corruzione - l'ha coordinata il capo di gabinetto Garofoli, ne facevano parte i magistrati Granelli e Cantone, i professori di diritto amministrativo Mattarella e Merloni, di procedura penale Spangher - risponde mettendo in cantiere un pacchetto di deleghe che il governo potrà esercitare un minuto dopo che la legge contro i corrotti sarà votata a Montecitorio. Innanzitutto sulla non candidabilità dei condannati (Patroni Griffi ha lavorato con il ministro dell'Interno Cancellieri), sulla trasparenza nella pubblica amministrazione, sulle incompatibilità dei dirigenti, sulle sanzioni disciplinari per chi sgarra, sul codice di condotta, il primo dopo quello famoso di Sabino Cassese.

STATO DESTABILIZZATO 
Parla chiaro il rapporto quando si addentra nella disamina dei costi della corruzione. Che certo sono sotto stimati rispetto al loro effettivo ammontare perché bisogna considerare "il dato della scarsa propensione a denunciare i fatti di corruzione propria delle vittime che pure ne siano a conoscenza". Ma ai 60 miliardi di euro all'anno valutati dalla Corte dei conti vanno aggiunti quelli "indiretti". Scrive il rapporto: "Si pensi a quelli connessi ai ritardi nel definire le pratiche amministrative, al cattivo funzionamento degli apparati pubblici, all'inadeguatezza, se non inutilità, delle opere pubbliche, dei servizi pubblici, delle forniture pubbliche". Eccoci ai "costi striscianti", al "rialzo straordinario che colpisce le grandi opere, valutabile intorno al 40 per cento". Sta qui quella che Monti chiama "la perdita di competitività del Paese". Si legge nel rapporto che "la corruzione, se non combattuta adeguatamente, produce costi enormi, destabilizzando le regole dello Stato di diritto e del libero mercato".

CODICI E TRASPARENZA
Per pagine e pagine il "libro dei sogni" di Patroni Griffi discetta di dirigenti obbligati a rigide regole di incompatibilità, di draconiani codici di comportamenti nel settore pubblico, della mannaia disciplinare che, appena passa la legge anti-corruzione e la relativa delega, colpirà i funzionari infedeli. Alle "gole profonde" sarà garantita copertura, ma la vera scommessa è quella della trasparenza online, "nella possibilità per tutti i cittadini di avere accesso diretto all'intero patrimonio informativo delle pubbliche amministrazioni", fatta salva solo la privacy più stringente. Gli enti locali dovranno diventare un libro aperto disponibile per chiunque voglia curiosare sul web. L'Italia potrà sfidare altri paesi che, come gli Usa, già si sono incamminati su questa strada. Chi sarà eletto, a qualsiasi livello, dovrà garantire la totale trasparenza della sua vita e dei suoi averi
Un Grande Fratello che potrebbe evitare in futuro gli ormai innumerevoli casi di patrimoni e ricchezze improvvise costruite grazie al denaro pubblico.

SCURE SU APPALTI E SANITA'
Diventa un "super libro dei sogni" quello che descrive i futuri interventi sulla sanità e sugli appalti pubblici. Rispetto alla totale "insindacabilità odierna" la commissione ipotizza automatismi nella selezione e nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie. Un albo nazionale o regionale e soprattutto nessun incarico "eterno". Controlli incrociati su acquisti e commesse. Idem per gli appalti pubblici dove la commissione prevede "una drastica riduzione delle stazioni appaltanti, la centralizzazione delle gare, un regime più severo delle varianti, l'azionariato esclusivamente pubblico delle Soa", le società che certificano i requisiti complessivi di un'impresa e la sua ammissibilità a una gara pubblica. E qui il rapporto si chiude.

lunedì 15 ottobre 2012

Quella cronista che sfida i boss. Per sua fortuna, qualcuno ha scoperto un po' di mafia anche lì, alle porte di Milano.


Le minacce del sindaco amico dei boss: " Tu non devi più scrivere contro di me".
fonte : La Repubblica
Ester Castano
CHE cosa può fare contro la 'ndrangheta una giovane giornalista del profondo Nord? 
Può scrivere o stare zitta. Se scrive però, si può fare molto male. Sollevare polvere è pericoloso nei dintorni di Milano, soprattutto se il sindaco è amico di quelli là: i mafiosi. In quest'Italia che sembra capovolta è quasi più difficile parlare di boss e di «amicizie» nelle grandi periferie lombarde contagiate da cosche e ' ndrine piuttosto che laggiù, nel labirinto di Reggio o nella soffocata Palermo. Leggete cosa è capitato a una reporter di Sedriano, il paese vicino a Magenta dove l' altro giorno hanno arrestato il sindaco Alfredo Celeste per i suoi ravvicinati rapporti con Eugenio Costantino, uno degli uomini in odore di ' ndrangheta coinvolti nell' inchiesta che ha portato in carcere anche l' assessore alla Casa della regione Lombardia Domenico Zambetti. Leggete bene come si muoveva nel suo reame quel sindaco accusato di avere preso voti in cambio di favori agli emissari del clan, come pretendeva il silenzio, l' omertà.
Lei, la giornalista, si chiama Ester Castano e ha 22 anni, lavora per l' Altomilanese che è un settimanale. Per mesi ha fatto una vita d' inferno in un comune di poco più di diecimila abitanti, pendolari, una quiete apparente e tanta ' ndrangheta. La colpa di Ester: scrivere. Scrivere sul sindaco e i suoi compari. Troppe domande. Troppi articoli. Troppa curiosa quella ragazzina con il vizio del giornalismo. Così il sindaco di Sedriano si è scatenato con querele e diffide contro Ester, richieste di risarcimento danni, false accuse di molestie, persino l' intimazione- attraversoi solerti carabinieri della locale stazione - a non avvicinarsi fisicamente a lui. L' ultimo «consiglio» di Alfredo Celeste a Ester Castano: cambia zona, scrivi d' altro. Ogni volta che lei pubblicava un articolo partiva subito la chiamata del comandante dei carabinieri. Ricorda lei: «Era sempre la stessa storia: "Vieni in caserma il prima possibile", mi dicevano i carabinieri e poi mi notificavano una nuova diffida». Così Alfredo Celeste ha tentato di sbarazzarsi di una cronista che aveva intuito prima di tutti gli altri chi aveva allungato le mani sul Comune di Sedriano.
La «campagna» contro Ester e l' Altomilanese - rivelata con molti dettagli ieri mattina da un articolo di Alberto Spampinato su Ossigeno per l' Informazione, l' Osservatorio sui giornalisti minacciati - è iniziata dopo una cronaca del maggio 2011 su Nicole Minetti a Sedriano
La consigliera regionale amica di Ruby era stata invitata da Celeste- laureato in teologia, devotissimo alla Madonna di Medjugorie, insegnante di religione che non ha mai voluto sposare coppie nel suo comune («Per me il matrimonio è solo quello davanti a Dio») - per una serata sulla «creatività femminile». Siccome il sindaco aveva paura di polemiche, ha avuto l' idea di chiamare in suo soccorso il suo amico «calabrese» Eugenio Costantino - così scrivono i magistrati milanesi nella loro ordinanza di custodia cautelare - «per portare con sé un certo numero di persone per poter far frontea eventuali contestatori». La Minetti arriva a Sedriano e la temuta protesta c' è. Una suora e una maestra vengono maltrattate dal servizio d' ordine, quello organizzato dal sindaco e dalla  ‘ndrangheta.
Loro presentano denuncia per violenza, Ester Castano scrive. E scrive pure che il Comune stanzia 7.020 euro per l' ingaggio di un legale incaricato di querelare suora e maestra. Un' altra denuncia parte contro la giornalista (Ester riporta nella sua cronaca che l' avvocato «è amico del sindaco») e tutti gli edicolanti di Sedriano vengono diffidati da Celeste a esporre le locandine dell' Altomilanese.
Ma non è finita. Pochi mesi dopo a Sedriano qualcuno esplode sei colpi di pistola contro un' automobile, è parcheggiata davanti a un locale collegato al giro delle slot machine. Ester prova a chiedere ad Alfredo Celeste «che cosa sta accadendo» nel loro tranquillo paese, dopo pochi giorni i carabinieri tornano alla carica e la diffidano «a non entrare più in contatto con il sindaco». Ricorda ancora Ester: «Il comandante dei carabinieri mi ha riferito che il sindaco gli aveva espressamente detto che dovevo smetterla di scrivere articoli su Sedriano». Passa qualche settimana ed Ester viene accusata ancora, questa volta di aver dato fuoco ad alcune auto alle spalle del palazzo comunale. Un paio di giorni prima aveva chiesto informazioni su come funzionava il servizio antincendio in Comune. A Sedriano Ester è isolata. Le vietano di parlare con i vigili urbani. Le vietano di avvicinarsi alle fonti. Provano a cucirle la bocca.
Per fortuna, in questo anno di incubo nel paese del sindaco «amico degli amici» Ester Castano è stata più volte difesa dal suo direttore Ersilio Mattioni, con tanti editoriali contro le prepotenze di Alfredo Celeste.
Per fortuna, ha trovato sostegno legale dai colleghi di Ossigeno.
Per fortuna, qualcuno ha scoperto un po' di mafia anche lì, alle porte di Milano.

venerdì 12 ottobre 2012

LA LEGALITA' E' UN'OPINIONE? La lettera di Pippo Callipo, imprenditore calabrese, e le dichiarazioni di Angelino Alfano, segretario nazionale del PdL.


Lo scioglimento per contiguità mafiosa del comune di Reggio Calabria suscita commenti differenti. 
Mettiamo a confronto la lettera indirizzata al ministro Cancellieri da Pippo Callipo, imprenditore calabrese, e le dichiarazioni di Angelino Alfano, segretario nazionale del PdL.

La lettera di  Pippo Callipo 
( fonte: Sole 24 ore - rubrica "Guardie e Ladri" di R. Gallullo )


Pippo Callipo

 Ci voleva un governo tecnico per mettere finalmente a nudo un sistema di potere che per anni ha imperversato nella città più importante della Calabria, emblema insieme dei mali e delle virtù di un’intera Regione. Ci voleva un governo tecnico per fare quello che nessun esecutivo politico avrebbe mai osato fare, mettendosi contro colleghi e sodali politicamente troppo in vista. Certo ci saremmo aspettati che questa decisione fosse giunta ben prima e con maggiore determinazione, poiché è noto che il “sacco” di Reggio Calabria non è certo maturato nei diciassette mesi della consiliatura che oggi viene sciolta, ma tant’è.
E allora grazie caro Ministro Cancellieri. Grazie a nome dei tanti calabresi onesti per questa decisione che, ci auguriamo, possa contribuire a liberare questa città dai ceppi ai quali era vincolata, con uno slancio che possa, magari, contagiare l’intera Regione. Si perché con il tanto decantato “Modello Reggio” che oggi vede la sua impietosa deriva giuridica, viene bollato con il marchio dell’infamia un intero sistema politico: quello che va per la maggiore in questa Regione. Basato com’è sulle clientele, sulle interessenze, sulle commistioni tra zone più o meno grigie, lobby affaristico-mafiose, consorterie di ogni risma.
Dunque, caro Ministro, non dimentichi che se il “Modello Reggio” frana oggi miseramente, rimane ancora in piedi un ben più deforme “Modello Calabria” il quale ha, per molti versi, aspetti identici se non più aberranti di quelli in uso nella città dello Stretto. Ce lo dicono già molte inchieste giudiziarie, il lavoro encomiabile della magistratura, gli avvisi di garanzia, gli arresti in seno al Consiglio regionale. Ecco, caro Ministro, il suo lavoro in questo senso è ancora all’inizio… trovi lei nella sua autonomia politica e decisionale quel coraggio che ad altri, guidati dalle logiche di consenso, è mancato evitando così alla Calabria onesta e all’Italia tutta l’agonia di un’intera Regione.
 Pippo Callipo 


 Le dichiarazioni di Angelino Alfano 
( fonte : La Repubblica) 

"Il provvedimento assunto dal governo riguardo lo scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria 1, penalizza e condanna un'intera comunità e non rafforza la presenza dello stato in questa parte di Paese". Così il segretario del Pdl, Angelino Alfano. La decisione di azzerare il consiglio è stata presa nei giorni scorsi dal ministero dell'Interno a causa di contiguità con la 'ndrangheta.
Alfano ha espresso la sua solidarietà "a tutti quegli amministratori che, col sindaco di Reggio, Demetrio Arena, hanno fatto della trasparenza, della moralità e della legalità, elementi cardine dell'azione politico amministrativa in questi anni". L'ex ministro della Giustizia ha aggiunto che "il Pdl si stringe ancora una volta attorno ai cittadini reggini, consapevole che quanto accaduto, anche in termini di proiezione mediatica, non rende giustizia del grande processo di crescita avuto negli ultimi dieci anni".
Secondo il segretario del Pdl la città "dal governo di centrodestra, ha ricevuto sempre sostegno", mentre lo stesso "non si può dire di coloro che, orfani di consenso popolare, hanno tifato cinicamente per lo scioglimento, incuranti del bene della citta".

Ci chiediamo: la Legalità è un'opinione?